Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9362 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 9362 Anno 2014
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Deganutti Gerardo, nato a Trieste il 23.12.1956, avverso la sentenza
pronunciata dalla corte di appello di Trieste il 12.6.2012;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Alfredo Guardiano;
udito il pubblico ministero nella persona del sostituto procuratore
generale dott. Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza pronunciata il 12.6.2012 la corte di appello di Trieste, in
parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Trieste, in data
15.12.2010, aveva condannato Deganutti Gerardo, imputato di una serie
di reati, tentati e consumati, ex art. 612, co. 2, c.p., di cui ai capi A);

Data Udienza: 13/11/2013

B); C); D); E); F); G) dell’imputazione, nonché del reato ex art. 699, di

cui al capo H), alla pena ritenuta di giustizia, rideterminava in senso più
favorevole all’imputato il trattamento sanzionatorio, qualificati i reati di
cui ai capi B) e c) come tentativo di minaccia grave, confermando, nel
resto, l’impugnata sentenza.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il Deganutti, a mezzo
del suo difensore di fiducia, lamentando: 1) violazione di legge in ordine
alla possibilità di configurare il tentativo nel delitto di minaccia, stante la
sua natura di reato di pericolo; 2) violazione di legge e vizio di
motivazione della sentenza impugnata con riferimento agli episodi
contestati nei capi A) e G) dell’imputazione, difettando la prova che vi
sia stato in questi casi un perturbamento psicologico della persona
offesa, evento necessario per ritenere integrata la fattispecie delittuosa
di cui all’art. 612, co. 2, c.p.; 3) mancanza o manifesta illogicità della
motivazione della sentenza impugnata difettando la prova certa della
riconducibilità all’imputato degli scritti costituenti le asserite minacce, in
quanto nessuna delle buste inviate sono state rinvenute presso
l’abitazione

dell’imputato,

difettando

l’utilizzabilità

dell’analisi

comparativa effettuata dalla polizia giudiziaria, in mancanza di una
consulenza tecnica o di una perizia; 4) violazione di legge e vizio di
motivazione in relazione al reato di cui all’art. 699, per la cui
integrazione è necessario che sia accertata la presenza di una carica
esplodente, laddove nel caso in esame la corte di appello fonda la sua
decisione al riguardo, limitandosi ad affermare che i proiettili rivenuti
avevano “un aspetto integro”; 5) violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, che andava mitigato,
non giustificandosi il mancato riconoscimento delle circostanze
attenuanti generiche, fondato dalla corte di appello solo su di uno dei
parametri indicati dall’art. 133, c.p., trascurandone altri, come la tenuità
del fatto.
3. Il ricorso non può essere accolto.

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2.

4. Ed invero, con riferimento al primo motivo di ricorso, se ne deve
rilevare l’infondatezza.
Come affermato da condivisibile dottrina il tentativo è configurabile nel
delitto di minaccia, in quanto il reato può essere commesso mediante un
processo esecutivo frazionabile, come nei casi di cui ai capi B) e C)

dell’imputazione, nei quali la lettera minatoria, contenente un proiettile,
è stata intercettata prima che giungesse al suo destinatario.
Peraltro, trattandosi di minaccia grave,

ex art. 612, co. 2, c.p.,

perseguibile d’ufficio, non è di ostacolo alla ammissibilità del tentativo
nemmeno la circostanza, evidenziata da altra autorevole dottrina, che il
reato di minaccia è perseguibile a querela di parte, la quale presuppone
che l’interessato ne sia venuto a conoscenza.
Né a sostegno della tesi difensiva può invocarsi il lontano precedente
citato dal ricorrente (Cass., sez. V, 28/12/1979, n. 2301, Proietti, rv.
144388), secondo cui perché si perfezioni il reato di minaccia è
necessario che l’agente cagioni l’effetto di far percepire l’intimidazione al
soggetto passivo, in quanto in tale arresto il Supremo Collegio non si
occupa specificamente del tema della configurabilità del tentativo in un
caso di minaccia grave.
5. Infondato appare anche il secondo motivo di ricorso.
Come è noto, infatti, la gravità della minaccia va accertata avendo
riguardo a tutte le modalità della condotta onde verificare se, ed in quale
grado, essa abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa
(cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 26.9.2008, N. 43380, De Marco, rv.
242188).
Orbene non può non rilevarsi che, nel caso in esame, le modalità con cui
si è estrinsecata la minaccia hanno ingenerato un notevole turbamento
nei destinatari della minaccia stessa, come inequivocabilmente
dimostrato dalla circostanza che in entrambi gli episodi di cui ai capi A) e
G) dell’imputazione, è stato sollecitato l’intervento delle forze dell’ordine,
cui è stata consegnata la busta, contenente un proiettile, destinata al
presidente del consiglio regionale del Friuli Venezia-Giulia, Eduard

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Ballaman, e quella consegnata all’imam del “Centro Culturale Islamico di
Trieste e della Venezia Giulia”.
6. Inammissibile, per genericità e perché con esso si rappresentano
censure in fatto, non consentite nel giudizio di legittimità, deve
considerarsi il motivo di ricorso sub n. 3).

La corte territoriale, peraltro, con motivazione approfondita ed immune
da vizi, si è soffermata sulle molteplici ragioni che consentono di
attribuire al Deganutti la paternità delle missive minatorie (cfr. p. 5
dell’impugnata sentenza), che non hanno formato oggetto di specifica
contestazione da parte del ricorrente.
Manifestamente infondata, in questo contesto, è la doglianza relativa al
mancato espletamento di una consulenza tecnica o di una perizia
comparativa, è da presumere sui fogli rinvenuti nell’abitazione
dell’imputato e sulle lettere su essi impresse, posto che, in mancanza di
una richiesta di parte, il giudice, nei casi in cui la decisione della causa
richiede competenze tecniche o scientifiche, non ha l’obbligo di disporre
perizia se sia in grado di ricostruire il fatto in base ad altre prove
acquisite al processo (cfr. Cass., sez. IV, 02/12/2010, n. 4369, F.)
7. Del pari inammissibile è il motivo di ricorso sub n. 4), in quanto anche
con esso si rappresentano censure di merito non consentite in sede di
legittimità, rappresentando una mera congettura del ricorrente che i
proiettili rinvenuti nelle buste fossero privi della carica esplodente.
8. Inammissibile, per manifesta infondatezza, infine appare l’ultimo
motivo di ricorso.
Come è noto, infatti, secondo il consolidato e condivisibile orientamento
della giurisprudenza di legittimità in tema di circostanze attenuanti
generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione
normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso
più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in
considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto
quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, la meritevolezza
di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per
presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di

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escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo l’affermata
insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita,
essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione
dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti
a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio; trattamento

condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato
volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili
ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti
tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione
degli elementi sui quali la richiesta mesta stessa si fonda.
In questa prospettiva, anche uno solo degli elementi indicati nell’art.
133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla entità del reato e
alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per negare o
concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando,
queste ben possono essere negate, come nel caso in esame anche
soltanto in base ai precedenti penali dell’imputato (cfr. Cass., sez. IV,
28/05/2013, n. 24172, H.).
9. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso del Deganutti va,
dunque, rigettato, con condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13.11.2013.

la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola

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