Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 936 del 11/10/2013

Penale Sent. Sez. 2 Num. 936 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
A.A.
avverso la sentenza n. 70/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
08/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 11/10/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. S <1,4 che ha concluso per i +e— 1,te Data Udienza: 11/10/2013 I RITENUTO IN FATTO 1. La Corte d’appello di Milano, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale della stessa città, che in data 2 maggio 2011, aveva dichiarato l’odierno ricorrente colpevole della ricettazione di una chitarra rubata il 29 marzo 2008 (fatti commessi in Garbagnate Milanese il 17 maggio 2008, con la recidiva giustizia. 2. Avverso tale provvedimento, l’imputato (con l’ausilio di un difensore iscritto all’apposito albo speciale) ha proposto ricorso per cassazione, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. c.p.p.: I – inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 648 c.p. ed omessa motivazione, lamentando il diniego dell’invocata derubricazione della ricettazione nel reato di cui all’art. 712 c.p.; H – erronea applicazione degli artt. 62-bis e 648, comma 2, c.p., con omessa motivazione, lamentando il diniego delle attenuanti generiche e contraddittorietà ed illogicità della motivazione in ordine al diniego dell’altra attenuante (a suo dire, le modalità dell’illecito e la relativa modesta gravità del fatto, unitamente alla personalità ed al comportamento processuale del ricorrente, avrebbero dovuto legittimare la concessione di almeno una delle circostanze attenuanti in oggetto; aggiunge che la pena finale è sicuramente sproporzionata). Ha concluso chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata, con le conseguenze del caso. 3. All’odierna udienza pubblica, dopo il controllo della regolarità degli avvisi di rito, la parte presente ha concluso come da epigrafe, e questa Corte Suprema ha deciso come da dispositivo in atti, pubblicato .+_ mediante lettura in udienza. specifica ed infraquinquennale), condannandolo alla pena ritenuta di 2 CONSIDERATO IN DIRITTO Il ricorso è, nel suo complesso, infondato, e va pertanto integralmente rigettato. 1. E’ necessario premettere, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità, delineati dall’art. 606, comma 1, lettera e), c.p.p., come che, a parere di questo collegio, la predetta novella non ha comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta quale motivo di ricorso qualora comporti il c.d. travisamento della prova, purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato. 1.1. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, poi, deve risultare di spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivise, Cass. pen., …….1(i,…Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Spina, rv. 214794; Sez. un., n. 2 vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, 3 12 del 31 maggio 2000 n. 12, Jakani, rv. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Petrella, rv. 226074). A tal riguardo, devono tuttora escludersi la possibilità di «un’analisi orientata ad esaminare in modo separato ed atomistico i singoli atti, nonché i motivi di ricorso su di essi imperniati ed a fornire risposte circoscritte ai diversi atti ed ai motivi ad essi relativi» (Cass. pen., sez. VI, n. 14624 del 20 marzo 2006, Vecchio, rv. 233621; la possibilità per il giudice di legittimità di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Cass. pen., sez. VI, n. 27429 del 4 luglio 2006, Lobriglio, rv. 234559; sez. VI, n. 25255 del 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253099). 1.2. Il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. intenda far valere il vizio di «travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve, inoltre, a pena di inammissibilità (Cass. pen., sez. I, n. 20344 del 18 maggio 2006, Salaj, rv. 234115; sez. VI, n. 45036 del 2 dicembre 2010, Damiano, rv. 249035): (a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza; (b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata; (c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento; 3 conforme, sez. II, n. 18163 del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789), e 4 (d) indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale “incompatibilità” all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato. 1.2.1. In proposito, può ritenersi ormai consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, il principio della c.d. “autosufficienza del Suprema. Valorizzando dapprima la formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (a norma del quale le sentenze pronunziate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per Cassazione: «(…) 5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio»; la disposizione stabilisce attualmente, all’esito delle modifiche apportate dall’art. 54 d.l. n. 83 del 2012, convertito in I. n. 134 del 2012, che le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione «(…) 5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti»), ed attualmente la formulazione (introdotta dal D. Lgs. n. 40 del 2006) dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c. (a norma del quale il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità: «(…) 6) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda»), si è osservato che il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio dell’autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza r…….., impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte (Cass. civ. 4 ricorso”, inizialmente elaborato dalle Sezioni civili di questa Corte 5 sez. II, 2 dicembre 2005, n. 26234, rv. 585217; sez. lav., 17 agosto 2012, n. 14561, rv. 623618). Tenuto conto dei principi e delle finalità complessivamente sottesi al giudizio di legittimità, si è ritenuto che «la teoria dell’autosufficienza del ricorso elaborata in sede civile debba essere recepita e applicata anche in sede penale con la conseguenza che, compiuta valutazione si assume essere stata omessa o travisata, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti specificamente indicati (ovviamente nei limiti di quanto era stato già dedotto in precedenza), posto che anche in sede penale – in virtù del principio di autosufficienza del ricorso come sopra formulato e richiamato -deve ritenersi precluso a questa Corte l’esame diretto degli atti del processo, a meno che il fumus del vizio dedotto non emerga all’evidenza dalla stessa articolazione del ricorso» (Cass. pen., sez. I, 18 marzo – 22 aprile 2008, n. 16706, rv. 240123; sez. I, 22 gennaio 12 febbraio 2009, n. 6112, rv. 243225; sez. V, 22 gennaio – 26 marzo 2010, n. 11910, rv. 246552, per la quale è inammissibile il ricorso per cassazione che deduca il vizio di manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con riferimento alle relative doglianze; sez. VI, 8 – 26 luglio 2010, n. 29263, rv. 248192, per la quale il ricorso per cassazione che denuncia il vizio di motivazione deve contenere, a pena di inammissibilità e in forza del principio di autosufficienza, le argomentazioni logiche e giuridiche sottese alle censure rivolte alla valutazione degli elementi probatori, e non può limitarsi a invitare la Corte alla lettura degli atti indicati, il cui esame diretto è alla stessa precluso; sez. II, 20 marzo – 27 giugno 2012, n. 25315, rv. 253073, per la quale in tema di ricorso per cassazione, è onere del ricorrente, che lamenti l’omessa o travisata valutazione dei risultati delle intercettazioni effettuate, indicare l’atto 15 asseritamene affetto dal vizio denunciato, curando che esso sia 5 quando la doglianza abbia riguardo a specifici atti processuali, la cui 6 effettivamente acquisito al fascicolo trasmesso al giudice di legittimità o anche provvedendo a produrlo in copia nel giudizio di cassazione). 1.3. Il giudice di legittimità ha, ai sensi del novellato art. 606 c.p.p., il compito di accertare (Cass. pen., sez. VI, n. 35964 del 28 settembre 2006, Foschini ed altro, rv. 234622; sez. III, n. 39729 del 18 giugno 2009, Belloccia ed altro, rv. 244623; sez. V, n. 39048 del del 22 aprile 2008, Ferdico, rv. 239789): (a) il contenuto del ricorso (che deve contenere gli elementi sopra individuati); (b) la decisività del materiale probatorio richiamato (che deve essere tale da disarticolare l’intero ragionamento del giudicante o da determinare almeno una complessiva incongruità della motivazione); (c) l’esistenza di una radicale incompatibilità con l’iter motivazionale seguito dal giudice di merito e non di un semplice contrasto (non essendo il giudice di legittimità obbligato a prendere visione degli atti processuali anche se specificamente indicati, ove non risulti detto requisito); (d) la sussistenza di una prova omessa o inventata, e del c.d. «travisamento del fatto», ma solo qualora la difformità della realtà storica sia evidente, manifesta, apprezzabile ictu °cui/ ed assuma anche carattere decisivo in una valutazione globale di tutti gli elementi probatori esaminati dal giudice di merito (il cui giudizio valutativo non è sindacabile in sede di legittimità se non manifestamente illogico e, quindi, anche contraddittorio). 1.4. Anche il giudice d’appello non è tenuto a rispondere a tutte le argomentazioni svolte nell’impugnazione, giacché le stesse possono essere disattese per implicito o per aver seguito un differente iter motivazionale o per evidente incompatibilità con la ricostruzione (per tutte, Cass. pen., sez. VI, n. 1307 del 26 settembre effettuata (per 2002, dep. 14 gennaio 2003, Delvai, rv. 223061). 6 25 settembre 2007, Casavola ed altri, rv. 238215; sez. II, n. 18163 7 1.4.1. In presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, va, peraltro, ritenuta l’ammissibilità della motivazione della sentenza d’appello per relationem a quella della decisione impugnata, sempre che le censure formulate contro la sentenza di primo grado non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi, in quanto il giudice di appello, regge la sentenza impugnata, non è tenuto a riesaminare questioni sommariamente riferite dall’appellante nei motivi di gravame, sulle quali si sia soffermato il primo giudice, con argomentazioni ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In tal caso, infatti, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell’appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, sicché le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità (Cass. pen., sez. II, n. 1309 del 22 novembre 1993, dep. 4 febbraio 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250; sez. III, n. 13926 del 10 dicembre 2011, dep. 12 aprile 2012, Valerio, rv. 252615). 1.5. Per quel che concerne il significato da attribuire alla locuzione «oltre ogni ragionevole dubbio>>, presente nel testo novellato
dell’art. 533 c.p.p. quale parametro cui conformare la valutazione
inerente all’affermazione di responsabilità dell’imputato, è opportuno
evidenziare che, al di là dell’icastica espressione, mutuata dal diritto
anglosassone, ne costituiscono fondamento il principio costituzionale
della presunzione di innocenza e la cultura della prova e della sua
valutazione, di cui è permeato il nostro sistema processuale.

7

nell’effettuazione del controllo della fondatezza degli elementi su cui si

8
Si è, in proposito, esattamente osservato che detta espressione ha
una funzione meramente descrittiva più che sostanziale, giacché, in
precedenza, il «ragionevole dubbio» sulla colpevolezza
dell’imputato ne comportava pur sempre il proscioglimento a norma
dell’art. 530, comma 2, c.p.p., sicché non si è in presenza di un
diverso e più rigoroso criterio di valutazione della prova rispetto a
quello precedentemente adottato dal codice di rito, ma è stato ribadito
il principio, già in precedenza immanente nel nostro ordinamento

costituzionale ed ordinario (tanto da essere già stata adoperata dalla
giurisprudenza di questa Corte Suprema – per tutte, cfr. Cass. pen.,
Sez. un., n. 30328 del 10 luglio 2002, Franzese, rv. 222139 -, e solo
successivamente recepita nel testo novellato dell’art. 533 c.p.p.),
secondo cui la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza
processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (cfr. Cass. pen.,
sez. II, n. 19575 del 21 aprile 2006, Serino ed altro, rv. 233785; sez.
II, n. 16357 del 2 aprile 2008, Crisiglione, rv. 23979; sez. II, n. 7035
del 9 novembre 2012, dep. 13 febbraio 2013, De Bartolomei ed altro,
rv. 254025).

1.6.

La giurisprudenza di questa Corte Suprema è, inoltre,

orientata nel senso dell’inammissibilità, per difetto di specificità, del
ricorso presentato prospettando vizi di motivazione del provvedimento
impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma perplessa o alternativa
(Cass. pen., sez. VI, n. 32227 del 16 luglio 2010, T., rv. 248037: nella
fattispecie il ricorrente aveva lamentato la “mancanza e/o insufficienza
e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale; conforme, sez.
VI, n. 800 del 6 dicembre 2011, dep. 12 gennaio 2012, Bidognetti ed
altri, rv. 251528).
Invero, l’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. stabilisce che i
provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o
manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo
del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo
specificamente indicati nei motivi di gravame»; la disposizione, se

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t

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letta in combinazione con l’art. 581, comma 1, lett. c), c.p.p. (a norma
del quale è onere del ricorrente «enunciare i motivi del ricorso, con
l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto
che sorreggono ogni richiesta») evidenzia che non può ritenersi
consentita l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso,
essendo onere del ricorrente di specificare con precisione se la
deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla
contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di

tali vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti
della motivazione censurata.
Il principio è stato più recentemente accolto anche da questa
sezione, a parere della quale

«È inammissibile, per difetto di

specificità, il ricorso nel quale siano prospettati vizi di motivazione del
provvedimento impugnato, i cui motivi siano enunciati in forma
perplessa o alternativa, essendo onere del ricorrente specificare con
precisione se le censure siano riferite alla mancanza, alla
contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a più di uno tra tali
vizi, che vanno indicati specificamente in relazione alle parti della
motivazione oggetto di gravame» (Sez. II, n. 31811 dell’8 maggio
2012, Sardo ed altro, rv. 254329).
Per tali ragioni la censura alternativa ed indifferenziata di
mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione
risulta priva della necessaria specificità, il che rende il ricorso
inammissibile.

1.7. Infine, secondo altro consolidato orientamento di questa Corte
Suprema (per tutte, Sez. IV, sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24
aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27
giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133), è inammissibile per
difetto di specificità il ricorso che riproponga pedissequamente le
censure dedotte come motivi di appello (al più con l’aggiunta di frasi t._
‘..

incidentali contenenti contestazioni, meramente assertive ed

9

10
apodittiche, della correttezza della sentenza impugnata) senza
prendere in considerazione, per confutarle, le argomentazioni in virtù
delle quali i motivi di appello non siano stati accolti.

1.8. Alla luce di queste necessarie premesse va esaminato l’odierno
ricorso.

2.1.

2. Il primo motivo è infondato.
Deve premettersi che, come più volte chiarito dalla

giurisprudenza di questa Corte Suprema (Sez. II, sentenze n. 3706 del
21. – 27 gennaio 2009, CED Cass. n. 242634, e n. 19696 del 20 – 25
maggio 2010, CED Cass. n. 247123), anche sotto la vigenza
dell’abrogato codice di rito (Sez. IV, sentenza n. 6243 del 7 marzo – 24
maggio 1988, CED Cass. n. 178442), il vizio di motivazione denunciabile
nel giudizio di legittimità è solo quello attinente alle questioni di fatto e
non anche di diritto, giacché ove queste ultime, anche se in maniera
immotivata o contraddittoriamente od illogicamente motivata, siano
comunque esattamente risolte, non può sussistere ragione alcuna di
doglianza, mentre, viceversa, ove tale soluzione non sia giuridicamente
corretta, poco importa se e quali argomenti la sorreggano.
E, d’altro canto, l’interesse all’impugnazione potrebbe nascere solo
dall’errata soluzione di una questione giuridica, non dall’eventuale
erroneità degli argomenti posti a fondamento giustificativo della
soluzione comunque corretta di una siffatta questione (Sez. IV, sentenza
n. 4173 del 22 febbraio – 13 aprile 1994, CED Cass. n. 197993).
Pertanto nel giudizio di legittimità il vizio di motivazione non è
denunciabile con riferimento alle questioni di diritto decise dal giudice di
merito.
Nel caso in esame, come si vedrà nel § che segue, la questione di
diritto evocata in ricorso è stata decisa correttamente dal primo giudice.

2.2.

Questa Corte Suprema ha già osservato, con orientamento

ormai consolidato, in difetto di voci difformi (per tutte, Sez. II, sentenza

10

4…

11
n. 29198 del 25 maggio 2010, CED Cass. n. 248265) che ai fini della
configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo
può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa o non attendibile
indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente
rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un
acquisto in mala fede.

c.p. (acquisto di cose di sospetta provenienza) si distinguono
tradizionalmente in relazione all’elemento psicologico, nel senso che, nel
primo caso, l’agente ha la consapevolezza della provenienza delittuosa
della cosa acquistata o ricevuta, mentre nel secondo caso, ricorre da
parte dell’agente una condotta colposa consistente nel mancato
accertamento della provenienza della cosa acquistata o ricevuta (Sez. I,
sentenza n. 6684 del 12 maggio – 7 giugno 1995, CED Cass. n.
201542).
Si è anche chiarito che, in tema di ricettazione, ricorre il dolo nella
forma eventuale quando l’agente ha consapevolmente accettato il rischio
che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, non
limitandosi ad una semplice mancanza di diligenza nel verificare la
provenienza della cosa, che invece connota l’ipotesi contravvenzionale
dell’acquisto di cose di sospetta provenienza (Sez. II, sentenza n. 45256
del 22 novembre – 5 dicembre 2007, CED Cass. n. 238515).

2.2.1. Nel caso di specie, la Corte di appello, con rilievi esaurienti,

Il delitto di ricettazione e la contravvenzione prevista dall’art. 712

logici, non contraddittori, e pertanto incensurabili in questa sede,
richiamando anche la sentenza di primo grado, come è fisiologico in
presenza di una doppia conforme affermazione di responsabilità, si è
correttamente attenuta, ai fini della qualificazione giuridica del fatto
accertato, ai predetti principi, condivisibilmente valorizzando in fatto la
consapevolezza che l’imputato aveva del reale valore del bene
acquistato, ed il silenzio mantenuto sull’identità del dante causa, che _.1
mal si concilia con la notevole pratica dei mercatini che egli aveva.

11

……

12
3. Anche il secondo ed il terzo motivo, che possono essere esaminati
congiuntamente, sono infondati.

3.1. Questa Corte Suprema ha in più occasioni chiarito che, ai fini

della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il
giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati
dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o

attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle
modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso (così,
da ultimo, Sez. II, sentenza n. 3609 del 18 gennaio – 10 febbraio 2011,
CED Cass. n. 249163).

3.2.

Si è anche chiarito (Sez. VI, sentenza n. 7554 del 2 – 25

febbraio 2011) che, in tema di ricettazione, ai fini della configurabilità
dell’ipotesi attenuata, non rileva esclusivamente il valore della cosa
ricettata, ma devono considerarsi anche tutti gli elementi previsti
dall’art. 133 c.p., ivi compresa la capacità a delinquere dell’imputato.

3.3. A questi orientamenti si è correttamente conformata la Corte di

appello valorizzando, con rilievi esaurienti, logici, non contraddittori, e
pertanto incensurabili in questa sede, ai fini del diniego delle due
circostanze attenuanti, e più in generale della determinazione del
trattamento sanzionatorio, i precedenti penali specifici (pur se non
recenti) dell’imputato, ed il significativo valore del bene ricettato.

4. Il rigetto totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 c.p.p.,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, udienza pubblica 11 ottobre 2013.

meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento

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