Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9354 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9354 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
CAPOFtASO ANTONIO

n. il 9.04.1956

avverso l’ORDINANZA n. 195/2010 della Corte d’appello di Napoli del
27.09.2011
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 10 dicembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott.
Enrico Delehaye che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Letta la memoria del MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE che
chiede dichiarasi il ricorso inammissibile.

Data Udienza: 10/12/2013

RITENUTO IN FATTO E DIRITTO

Con l’ordinanza, indicata in epigrafe, la Corte d’Appello di Napoli ha
rigettato la richiesta, presentata da CAPORASO Antonio,

di riparazione

per ingiusta detenzione patita in riferimento al procedimento penale che lo
aveva visto imputato dei reati di partecipazione ad associazione di stampo
mafioso e di rivelazione di segreti di ufficio aggravato dall’art. 7

L. 203/91.

Assolto dal secondo reato con sentenza del Tribunale di Benevento del

dalla Corte d’appello partenopea con sentenza del 10.09.1009, irrevocabile il
2.11.2009.
Rifacendosi alle risultanze istruttorie esaminate nella sentenza assolutoria,
la Corte di Appello ha evidenziato che l’applicazione della misura cautelare
restrittiva era stata disposta, tra l’altro, sulla base di elementi probatori
emersi nella fase delle indagini e rimasti provati con certezza. In particolare
si rileva che secondo le dichiarazioni accusatorie rese da Rainone Donato ed il
contenuto di alcune conversazioni tra presenti tra il capoclan Esposito
Francesco ed il suo fido Cavaiuolo Rafaele, il Caporaso, agente di polizia
presso la Questura di Benevento, avrebbe richiesto all’Esposito di intervenire
per recuperare un assegno di C 4.000,00, privo di provvista, da lui emesso e
consegnato a tale Fiscante Walter e da questi al Rainone. Il Rainone aveva
eseguito, in subappalto, lavori edili presso l’abitazione del Caporaso, su
commissione del Fiscante Walter, il quale era ancora suo debitore, per tali
lavori, per C 4.000,00; il Fiscante gli consegnò, quindi, un assegno di pari
importo, postdatato, che il Rainone girò al proprio fornitore; poco dopo fu
convocato dall’Esposito che gli ordinò di restituire l’assegno, sostenendo che
era stato emesso da un poliziotto t che era impossibilitato a coprirlo, e che
aveva segnalato al clan in anticipo alcuni blitz della polizia nei confronti degli
associati; appreso della sorte dell’assegno, l’Esposito gli aveva ordinato di
consegnargli il controvalore del titolo girato; il Rainone aveva giocoforza
assentito e non aveva più recuperato il danaro.
Il Caporaso, nel corso dell’interrogatorio, reso ex art. 294 c.p.p., ha
dichiarato di avere effettivamente consegnato l’assegno al Fiscante, per C
4.000,00, chiedendogliene il cambio, ma il Fiscante lo aveva trattenuto senza
consegnare il controvalore pattuito, fino a che, dopo alcuni mesi, richiesto al
Fiscante il pagamento, questi gli aveva riferito di aver girato l’assegno al
Rainone, ed in cambio lo stesso Fiscante gli aveva versato altro assegno,
emesso dalla sua compagna per C 4.500,00.

21.07.2008, fu poi assolto anche dal delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen,

Rileva il giudice della riparazione che la Corte d’appello, in sede di
gravame, ha confermato totalmente la ricostruzione dei fatti svolta dal
Tribunale di Benevento, ma ha ritenuto che, in assenza di una comprovata
specifica condotta di agevolazione, consapevole, delle attività del clan
camorristico, la mera disponibilità del Caporaso non poteva configurare il
delitto contestato.
La su descritta condotta è stata ritenuta ostativa all’accoglimento della
domanda di riparazione.

del difensore. L’istante denuncia vizi di motivazione dell’atto, consistenti in
una errata valutazione della sua condotta, apoditticamente ritenuta integrare
l’ipotesi di colpa grave; gravità sulla quale manca una convincente ed analitica
motivazione, che possa superare la valutazione della sentenza di assoluzione,
per la quale gli indicati elementi sono stati ritenuti inconsistenti o insufficienti
per una affermazione di penale responsabilità. In sostanza il provvedimento
restrittivo era stato emesso non per comportamenti illeciti od equivoci del
ricorrente, ma solo sulla base di accertamenti (intercettazioni ambientali) che
hanno avuto ad oggetto dichiarazioni intercorsi tra altri. La sentenza di
assoluzione della Corte d’appello, contrariamente a quanto si opina
nell’impugnata ordinanza, nomfa riferimento ad alcun rapporto tra il Caporaso
ed il clan camorristico dell’Esposito.
Con il parere scritto il P.G., nel chiedere 01:rigettare

il ricorso ha

evidenziato che l’impugnata ordinanza appare adeguatamente motivata in
quanto in essa vengono specificati, con riferimento al caso concreto, i
comportamenti del ricorrente caratterizzati da spiccata leggerezza o
macroscopica trascuratezza o evidente imprudenza. Il provvedimento,
dunque, era stato emesso in un quadro gravemente indiziario cui aveva
dato luogo anche il ricorrente con un comportamento gravemente colposo
che aveva reso credibili le accuse mosse nei suoi confronti.
Il ricorso va dichiarato inammissibile essendo i relativi motivi
manifestamente infondati.
Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui
(cfr. fra tutte Cass. Pen., IV” sez., n. 2830, del 12.5.2000) “il sindacato del
Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del
procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o
negare il presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece
nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e

Avverso l’ordinanza il Caporaso propone ricorso per cassazione, a mezzo

la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità
soltanto il compito di verificare la correttezza logica del ragionamento”
Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, sia pure sintetico, seguito
dalla Corte d’Appello, resiste alle censure di cui al ricorso in quanto, gli
elementi probatori già sussistenti nella fase delle indagini che, se da un lato
non sono stati ritenuti, successivamente all’esito del giudizio di appello,
sufficienti per un’affermazione di responsabilità penale del CAPORASO in
ordine ai fatti a lui addebitati, costituiscono, per altro verso, condotte

presupposto che ha ingenerato la falsa apparenza della loro configurabilità
come illecito penale * dando luogo, così, alla detenzione con rapporto di
causa ed effetto.
In sostanza, la Corte d’appello, nella sentenza di assoluzione,
diversamente da come argomenta il ricorrente, sebbene non ritenga
condivisibile l’affermazione da parte del Tribunale di responsabilità del
Caporaso in ordine al reato associativo (a tal fine richiama la giurisprudenza
di questa Corte secondo cui la sola contiguità compiacente o vicinanza o
disponibilità nei riguardi del sodalizio non è sufficiente per la configurabilità
del reato concorsuale), ritiene veritiero l’episodio riferito dal Rainone che ha
ricostruito l’incontro con l’Esposito che gli aveva chiesto di recuperare un
assegno emesso dal Caporaso e privo di copertura. Orbene, la circostanza che
l’Esposito fosse a conoscenza di tali particolari fondatamente fa ritenere che il
Caporaso si fosse “mosso” anche se non direttamente
l’Esposito, rivolgendosi a persone a lui vicine (gli Sperandeo). Correttamente
questo comportamento viene stigmatizzato nell’impugnata ordinanza, in
quanto il ricorrente, soprattutto in virtù delle proprie qualità di agente di
polizia, avrebbe dovuto astenersi dall’intrattenere rapporti con persone
prossime all’ambiente camorristico; la condotta, dunque, è da ritenersi
gravemente colposa.
Ciò che la Corte della riparazione pone correttamente in evidenza è che la
richiesta di far recuperare l’assegno emesso dall’istante è un fatto storico
accertato.
Di fronte alla condotta volontaria del ricorrente su descritta, sussistevano,
dunque, concrete probabilità che egli potesse essere jr-b—snresponsabile dei reati
contestatigli e, comunque, lotcli aver colpevolmente indotto l’Autorità giudiziaria a
credere nel suo coinvolgimento e a procedere all’applicazione della misura
cautelare personale.
Ed appare evidente che il GIP, nella valutazione complessiva della condotta

rilevanti una eclatante e macroscopica negligenza ed imprudenza;

criminosa del ricorrente, in relazione alla verifica dei presupposti per emettere il
provvedimento cautelare, ha tenuto senz’altro conto dei dati oggettivi ma anche
del comportamento dell’indagato, e di tanto 4.14. ha tenuto in conto la Corte
territoriale, nell’esaminare la richiesta

de qua, sotto il profilo della colpa,

indipendentemente dalla relativa valutazione di non valenza criminale operata
dalla sentenza della Corte d’Appello in sede di gravame.
Alla dichiarazione di inammissibilità ricorso segue al condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1000,0 in

Vanno, invece, compensate le spese tra l’istante ed il costituito Ministero
in ragione di una difesa di quest’ultimo che si rivela del tutto generica per
essersi riportata alle richieste del Procuratore Generale..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Compensa le spese tra le parti.
Così deciso in Roma alla udienza camerale del 10 dicembre 2013.

favore della cassa delle ammende.

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