Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9349 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9349 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIENI PASQUALE N. IL 19/10/1966
nei confronti di:
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 115/2010 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 10/01/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE .
lette/spde le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Dieni Pasquale, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 18.6.2008 al
19.2.2009 (custodia cautelare in carcere), in relazione al delitto di
partecipazione ad associazione di stampo mafioso, per il quale era stato mandato
assolto per non aver commesso il fatto.
La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto.
Il Collegio distrettuale ha premesso che all’istante era stato ascritto di svolgere
la propria attività di imprenditore edile nel quadro dell’accordo intervenuto tra i
capi delle cosche reggine Vadalà e Talia, ovvero Vadalà Domenico e Talia
Giovanni, per assicurare la pacifica convivenza dei due sodalizi, in passato in
conflitto tra loro per il predominio sul territorio. In tale contesto il ruolo del Dieni
era stato identificato nella partecipazione ad appalti pubblici e privati del settore
edilizio della fascia ionica reggina facendo valere l’appartenenza al sodalizio; e,
in particolare, la presenza del Dieni era stata collegata ai lavori per la
realizzazione di uno stabile destinato ad accogliere due istituti di istruzione
superiore.
Nel corso delle indagini – ha ricordato la Corte territoriale – gli indizi di reità a
carico del Dieni erano stati tratti principalmente da alcune conversazioni oggetto
di captazione da parte degli inquirenti, dalle quali emergeva sostanzialmente che
quegli operava violando il patto intervenuto tra le cosche, non preoccupandosi di
limitare le proprie attività in modo da consentire che anche altre imprese
riconducibili ad affiliati all’uno e all’altro sodalizio acquisissero parte dei lavori.
Con la sentenza di assoluzione, ha aggiunto la Corte di Appello, era stato
confermato che esistevano elementi significativi di collegamenti del Dieni con la
cosca Talia, essendo peraltro il Dieni cognato di Talia Giovanni, ma si era
concluso che non poteva escludersi una lettura del materiale probatorio
conducente ad una ricostruzione dei fatti non coincidente con quella prospettata
dall’accusa.
Su simili premesse la Corte di Appello ha ritenuto che il Dieni fosse stato
contiguo alla cosca Talia, godendo dell’appoggio di Talia Giovanni per
l’esecuzione dei lavori per i quali era stata concordata la logica spartitoria tra le
due associazioni criminali e che tale contiguità non fosse causata dal rapporto di
affinità con il capocosca.

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riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, rilevando che
la Corte di Appello non è riuscita ad individuare una sola condotta addebitabile al
Dieni che avesse influito o dato causa alla carcerazione. Il ricorrente era stato
raggiunto dal provvedimento restrittivo per alcune conversazioni intercorse tra
terzi soggetti e per le conclusioni errate che il giudice della cautela aveva
inizialmente tratto da esse. Tanto che quel medesimo giudice revocò il
provvedimento restrittivo allorquando venne data di quelle conversazioni una
interpretazione più corretta; interpretazione che l’esponente ripropone in chiave

sostanza l’errata valutazione da parte del Collegio distrettuale degli elementi
disponibili al giudizio sull’istanza di riparazione. Aggiunge l’esponente che la
Corte di Appello non solo ha omesso di individuare comportamenti del ricorrente
che possano essere definiti ‘gravemente colposi’, ma ha anche proposto
un’interpretazione alternativa delle conversazioni intercettate ponendosi in
palese conflitto con il giudicato di assoluzione. Inoltre, l’ordinanza ha omesso di
considerare che nel provvedimento di revoca dell’ordinanza cautelare era stato
segnalato che in una intercettazione i conversanti affermavano che il Dieni non
era mai stato un associato ed esternavano disprezzo nei suoi confronti per non
aver impedito alla moglie di testimoniare contro gli assassini del padre; ha
omesso di considerare che la ditta del Dieni non eseguì alcuna attività lavorativa
per la costruzione dell’edificio da adibire ad uso scolastico, menzionato dalla
contestazione. Allorquando la sentenza di assoluzione asserisce che “i dati tutti
che precedono rimangono significativi di collegamenti del Dieni con la cosca
Ta/la”, l’affermazione è subito seguita dalla precisazione che esistevano ragioni di
parentela, essendo il Dieni cognato di Talia Giovanni. Le sole condotte
direttamente riferibili al Dieni delle quali si fa cenno nel provvedimento
impugnato sono la partecipazione ad un funerale ed un incontro in un bar con
D’Aguì Terenzio ed altre persone che non sono state neanche indagate. Si tratta
di circostanze che neppure il giudice della cautela aveva valorizzato per
l’emissione del provvedimento restrittivo e che, anzi, neppure compaiono nel
medesimo.

3. Si è costituito in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendo
la declaratoria di inammissibilità del ricorso o il suo rigetto, rilevando che la
Corte di Appello ha giustamente posto in rilievo il fatto che il Dieni ha fatto
riferimento alle risultanze acclarate con la sentenza assolutoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso è infondato.

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critica rispetto a quanto riportato nell’ordinanza impugnata, lamentando in

4.1. In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per
valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa
grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).

ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma
anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del
predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).

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In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha

Con particolare riferimento alle ipotesi di ‘contiguità’ all’altrui attività illecita,
questa Corte ha puntualizzato che integra gli estremi della colpa grave ostativa
al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, la condotta di chi, nei reati
contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale
altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (Sez. 4, n.
45418 del 25/11/2010 – dep. 27/12/2010, Carere, Rv. 249237; Sez. 4, n. 37528
del 24/06/2008 – dep. 02/10/2008, Grigoli, Rv. 241218).
Il giudizio al quale è chiamato il giudice della riparazione è autonomo e

assumere i dati di fatto accertati nella sede a ciò deputata.
4.2. Occorre quindi stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo
congruo e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante
ad ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’odierno ricorrente
nell’attività illecita che gli è stata attribuita.
Orbene, va in primo luogo rilevato che non coglie il segno la censura del
ricorrente circa la indeterminatezza della condotta colposa attribuita al Dieni. La
Corte di appello, rifacendosi ai contenuti della sentenza assolutoria, ha
chiaramente affermato che tale condotta è consistita nell’avere avuto e nell’aver
mantenuto collegamenti con la cosca Talia; collegamenti non limitatisi all’ambito
familiare perché manifestatisi nelle vicende che riguardarono l’attuazione
dell’accordo spartitorio intervenuto tra i Vadalà ed i Talia. L’affermazione è
nutrita di numerosi riferimenti alle circostanze di fatto emergenti dalle
conversazioni intercettate. La diversa lettura che di alcune di queste propone
l’esponente non può valere ad evidenziare vizio motivazionale alcuno, perché
non si denunciano né si rinvengono argomenti viziati da evidenti errori di
applicazione delle regole della logica, o fondati su dati contrastanti con il senso
della realtà degli appartenenti alla collettività, o connotati da vistose e
insormontabili incongruenze tra loro ovvero dal non aver il decidente tenuto
presente fatti decisivi, di rilievo dirompente dell’equilibrio della decisione
impugnata, oppure dall’aver assunto dati inconciliabili con “atti del processo”,
specificamente indicati dal ricorrente e che siano dotati autonomamente di forza
esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero
ragionamento svolto, determinando al suo interno radicali incompatibilità cosi da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2,
n. 13994 del 23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n.
20370 del 20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584
del 05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del
26/09/2006, imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).

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strutturalmente altro rispetto a quello del giudice del merito; ma non può che

Neppure è fondato l’assunto secondo il quale l’ordinanza si sarebbe posta in
palese conflitto con la sentenza di assoluzione, dal momento che il medesimo
ricorrente conviene sul fatto che in quest’ultima si afferma (a pg. 1212) che i
dati acquisiti rimangono significativi di collegamenti del Dieni con la cosca Talia.
E l’affermazione che tale giudizio sia stato subito dopo esplicato come fondato
sulle ragioni di parentela risulta da un verso illogica, posto che se tanto fosse
vero non si comprenderebbe quali mai potrebbero essere “i dati tutti che
precedono” ai quali ha fatto riferimento la sentenza di assoluzione, dall’altro

provvedimento dal quale si sono estrapolate le poche locuzioni appena
esaminate.
Tutti gli ulteriori rilievi svolti dal ricorrente risultano non consentiti perché, senza
neppure denunciare il travisamento della prova (si parla, d’altronde, di ‘errata
interpretazione’), mirano a vedere affermata una situazione di fatto diversa da
quella accertata dal giudice della riparazione ed esplicata con puntuale
motivazione; in tal modo postulando la possibilità di un accertamento nel merito
precluso a questa Corte.
Il ricorso va pertanto rigettato.

5. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonchè al rimborso al Ministero resistente delle spese sostenute per questo
giudizio di Cassazione; spese che si liquidano in complessivi euro 750,00.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del
presente giudizio che liquida in complessivi € 750,00.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/11/2013.

meramente assertiva, non essendo stato posto a disposizione di questa Corte il

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