Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9348 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9348 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FRUSTACI BRUNO N. IL 08/03/1955
avverso l’ordinanza n. 90/2011 CORTE APPELLO di MILANO, del
29/11/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE;
le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Frustaci Bruno, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita dal 28.1.2000 al
19.4.2000 (custodia cautelare in carcere), in relazione al

delitto di

partecipazione ad associazione per delinquere aggravata ai sensi dell’art. 7 I.
M03/91, per il quale era stato mandato assolto per non aver commesso il fatto
(sentenza irrevocabile il 9.6.2007).

riparazione di cui all’art. 314, 1° comma, cod. proc. pen., in quanto il
comportamento dell’odierno ricorrente aveva dato corso all’ordinanza di custodia
cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al
riconoscimento dell’indennizzo richiesto.
Il Collegio distrettuale ha premesso che all’istante era stato ascritto di avere
avuto un ruolo nel gruppo criminale collegato ad una figura di spicco della
criminalità organizzata della zona di Vibo Valentia, Mancuso Pantaleone, a capo
del quale era Speranza Piero e creato allo scopo di commettere una serie
indeterminata di truffe, il provento delle quali almeno in parte veniva versato dai
componenti alla n’drina capeggiata dai Mancuso. In particolare il Frustaci aveva
preso parte all’operazione compiuta in danno di Cicchetti Gabriele, quale legale
rappresentante della Quick Italia, società di produzione di elettrodomestici. La
sentenza di assoluzione per il reato di truffa era stata emessa per il dubbio sulla
buona fede del Frustaci in ordine al dolo specifico di truffa in danno del Cicchetti;
quanto al reato associativo la soluzione si fondava sull’assenza di prova della
organicità del Frustaci all’associazione finalizzata alle truffe, pur confermando
che egli era “pericolosamente vicino a Mancuso e ai soggetti che giravano loro
intorno”.
Su simili premesse la Corte di Appello ha ritenuto che l’istante, per il fatto di
essere vicino al Mancuso, dell’aver cooperato con questi nell’operazione
truffaldina portata a compimento dal medesimo non ignorandone almeno la fama
e nonostante fossero intervenuti gli inquirenti nel corso di una riunione presso la
Quick Italia, avesse dato corpo a una condotta gravemente colposa ostativa del
diritto alla riparazione.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, deducendo
con vizio motivazionale e violazione degli articoli 314 cod. proc. pen. e 43 cod.
pen.
Rileva il ricorrente che la Corte di Appello ha operato un riferimento parziale
selettivo agli elementi dai quali scaturì la sentenza di assoluzione dell’imputato.

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La Corte territoriale ha ravvisato l’insussistenza dei presupposti del diritto alla

In questa, infatti, risulta accertato che i rapporti tra il Mancuso, lo Speranza ed
il Frustaci furono limitati al breve arco temporale compreso tra il 12 settembre
1997 ed il 13 maggio 1998, con scambi telefonici di ridotto numero; che il
Frustaci non ebbe mai a risedere nelle zone dove vivevano ed operavano il
Mancuso e lo Speranza; che il Frustaci ebbe rapporti con alcuni membri della
associazione criminale limitatamente agli episodi delle truffe. Non vi è nella
sentenza assolutoria alcun elemento che permette di affermare che il Frustaci fu
a conoscenza della reale caratura delinquenziale del Mancuso e dello Speranza,

movimento, ingenerando quindi l’apparenza di una assente pericolosità o
particolare caratura delinquenziale. Tanto è vero che la Corte di Appello,
richiamando quanto affermato dal Tribunale nel provvedimento assolutorio, fa
riferimento a un’ipotesi ragionevole di non ignoranza da parte del Frustaci della
fama del Mancuso. Anche l’episodio della riunione ininterrotta dai Carabinieri il
12 marzo 1998 è stata prospettata in termini che divergono dalle emergenze
processuali ed istruttorie dibattimentali, in quanto il Frustaci nel corso
dell’interrogatorio di garanzia ebbe a chiarire che solo in quel momento ebbe
conoscenza del fatto che lo Speranza ed il Mancuso erano pregiudicati; come
pure non risponde alle emergenze istruttorie che il Frustaci ebbe rapporti con tali
soggetti anche dopo tale episodio, mentre è vero che dopo di esso cessarono i
già scarsi contatti telefonici con il Mancuso, e che fu lo Speranza a chiamare il
Frustaci il 13 maggio 1998. L’insieme di tali elementi importa, per l’esponente,
che il Frustaci agì come tecnico in un’operazione finanziaria e che una volta
appreso che i soggetti che vi erano coinvolti erano potenzialmente pericolosi, se
ne allontanò definitivamente rinunciando e disinteressandosi all’operazione
stessa. La Corte di Appello peraltro non argomenta sul come gli elementi
identificati possono realizzare quei comportamenti connotati da eclatante e
macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di legge o regolamenti che
valgono a concretare la condotta gravemente colposa ostativa alla riparazione.
Inoltre non ha preso in considerazione e confutato gli elementi addotti dalla
difesa riguardanti i comportamenti del Frustaci in concomitanza con
l’applicazione della misura della custodia e successivamente durante lo
svolgimento del processo, ivi compresa la rinuncia alla prescrizione dell’ultima
contestazione rimasta in essere. In conclusione il giudice della riparazione non
ha adeguatamente motivato sulle ragioni per le quali il concetto di ‘pericolosa
vicinanza’ possa essere assimilato a quello di ‘stabile contiguità’, che solo
avrebbe giustificato il rigetto dell’istanza.

3

che all’epoca dei fatti non era sottoposti ad alcuna restrizione della libertà di

3.

Con atto depositato il 9.12.2012 si è costituito in giudizio il Ministero

dell’Economia e delle Finanze, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso, rilevando che la Corte di Appello ha giustamente posto in rilievo il fatto
che il Frustaci era a conoscenza delle altrui attività delittuose ed invece di
allontanarsi dai soggetti coinvolti li frequentava avendo con loro intensissimi
contatti.
CONSIDERATO IN DIRITTO

5. In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito, per
valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o concorso a darvi causa con dolo o colpa
grave, deve apprezzare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito motivazione, che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità (Sez. U, n. 34559 del
26/06/2002 – dep. 15/10/2002, Min. Tesoro in proc. De Benedictis, Rv. 222263).
In particolare, quanto al compendio degli elementi valutabili, il S.C. ha
ripetutamente puntualizzato che il giudice, nell’accertare la sussistenza o meno
della condizione ostativa al riconoscimento del diritto all’equa riparazione per
ingiusta detenzione, consistente nell’incidenza causale del dolo o della colpa
grave dell’interessato rispetto all’applicazione del provvedimento di custodia
cautelare, deve valutare la condotta tenuta dal predetto sia anteriormente che
successivamente alla sottoposizione alla misura e, più in generale, al momento
della legale conoscenza della pendenza di un procedimento a suo carico (Sez. U,
n. 32383 del 27/05/2010 – dep. 30/08/2010, D’Ambrosio, Rv. 247664; nel
medesimo senso già Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro
ed altri, Rv. 203636).
Vale anche precisare che idonea ad escludere la sussistenza del diritto
all’indennizzo, ai sensi dell’art. 314, primo comma, cod. proc. pen. – è non solo
la condotta volta alla realizzazione di un evento voluto e rappresentato nei suoi
termini fattuali, sia esso confliggente o meno con una prescrizione di legge, ma
anche “la condotta consapevole e volontaria i cui esiti, valutati dal giudice del
procedimento riparatorio con il parametro dell’ “id quod plerumque accidit”
secondo le regole di esperienza comunemente accettate, siano tali da creare una
situazione di allarme sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a
tutela della comunità, ragionevolmente ritenuta in pericolo. Poiché inoltre, anche
ai fini che qui interessano, la nozione di colpa è data dall’art. 43 cod. pen., deve
ritenersi ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione, ai sensi del

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4. Il ricorso è infondato.

predetto primo comma dell’art. 314 cod. proc. pen., quella condotta che, pur
tesa ad altri risultati, ponga in essere, per evidente, macroscopica negligenza,
imprudenza, trascuratezza, inosservanza di leggi, regolamenti o norme
disciplinari, una situazione tale da costituire una non voluta, ma prevedibile,
ragione di intervento dell’autorità giudiziaria che si sostanzi nell’adozione di un
provvedimento restrittivo della libertà personale o nella mancata revoca di uno
già emesso” (Sez. U, n. 43 del 13/12/1995 – dep. 09/02/1996, Sarnataro ed
altri, Rv. 203637).

questa Corte ha puntualizzato che integra gli estremi della colpa grave ostativa
al riconoscimento del diritto all’equa riparazione, la condotta di chi, nei reati
contestati in concorso, abbia tenuto, pur consapevole dell’attività criminale
altrui, comportamenti percepibili come indicativi di una sua contiguità (Sez. 4, n.
45418 del 25/11/2010 – dep. 27/12/2010, Carere, Rv. 249237; Sez. 4, n. 37528
del 24/06/2008 – dep. 02/10/2008, Grigoli, Rv. 241218).
Il giudizio al quale è chiamato il giudice della riparazione è autonomo e
strutturalmente altro rispetto a quello del giudice del merito; ma non può che
assumere i dati di fatto accertati nella sede a ciò deputata.

6. Occorre quindi stabilire se la Corte di merito abbia motivato in modo congruo
e logico in ordine alla idoneità della condotta posta in essere dall’istante ad
ingenerare nel giudice che emise il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un probabile coinvolgimento dell’odierno ricorrente
nell’attività illecita che gli è stata attribuita.
Orbene, va in primo luogo rilevato che non coglie il segno la censura del
ricorrente che investe la motivazione del provvedimento impugnato in merito alla
natura, durata e funzione dei contatti verificatisi tra il Frustaci ed il Mancuso e lo
Speranza. La Corte di Appello, rifacendosi ai contenuti della sentenza assolutoria,
ha chiaramente affermato che tali rapporti si manifestarono nell’ottobre 1997, si
svilupparono attraverso ripetuti contatti telefonici sino al 12.3.1998, quando si
ebbe la riunione presso la Quick Italia che venne interrotta dagli inquirenti, i
quali rinvennero sul posto lo Speranza, il Mancuso, il Frustaci, Fortino Dario,
Bevevino Antonino, Garofalo Giovanni, Loggia Aldo e Cicchetti Gabriele; che
l’operazione concernente la Quick Italia non ebbe termine dopo tale riunione;
che il coinvolgimento in essa del Frustaci fu dovuto alla indicazione che dello
stesso fece il Mancuso allo Speranza; che il ruolo svolto dal Frustaci fu quello di
A Ira”
far ottenere un finanziamento alla Quickv (in un contesto nel quale la proposta di
finanziamento del Cicchetti rappresentava l’artificio idoneo ad indurre in errore la
vittima ed ottenere beni e somme di rilevante valore). In alcun passo la Corte di

Con particolare riferimento alle ipotesi di ‘contiguità’ all’altrui attività illecita,

Appello indica circostanze di fatto diverse da quelle affermate dalla sentenza di
assoluzione, secondo quanto si ricava dalla prospettazione del ricorrente
medesimo, che infatti lamenta un ‘prelievo selettivo’ delle affermazioni fatte dal
giudice del merito.
Tali premesse conducono con evidenza ad identificare il vizio strutturale del
ricorso, il quale mira a vedere affermata una situazione di fatto diversa da quella
accertata dal giudice della riparazione ed esplicata con puntuale motivazione,
peraltro sulla scorta di quanto accertato nel giudizio di merito; in tal modo

Corte.
La diversa lettura che di talune circostanze propone l’esponente non può valere
ad evidenziare vizio motivazionale alcuno, perché non si denunciano né si
rinvengono argomenti viziati da evidenti errori di applicazione delle regole della
logica, o fondati su dati contrastanti con il senso della realtà degli appartenenti
alla collettività, o connotati da vistose e insormontabili incongruenze tra loro
ovvero dal non aver il decidente tenuto presente fatti decisivi, di rilievo
dirompente dell’equilibrio della decisione impugnata, oppure dall’aver assunto
dati inconciliabili con “atti del processo”, specificamente indicati dal ricorrente e
che siano dotati autonomamente di forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto, determinando al
suo interno radicali incompatibilità cosi da vanificare o da rendere
manifestamente incongrua la motivazione (Cass. Sez. 2, n. 13994 del
23/03/2006, P.M. in proc. Napoli, Rv. 233460; Cass. Sez. 1, n. 20370 del
20/04/2006, Simonetti ed altri, Rv. 233778; Cass. Sez. 2, n. 19584 del
05/05/2006, Capri ed altri, Rv. 233775; Cass. Sez. 6, n. 38698 del 26/09/2006,
imp. Moschetti ed altri, Rv. 234989).
Peraltro il ricorso si appalesa non autosufficiente, essendo provvido di rinvii e
richiami ad atti processuali che non sono stati posti a disposizione di questa
Corte.
Quanto all’essenziale punto della consapevolezza da parte del Frustaci della
caratura criminale del Mancuso e dello Speranza, è la stessa sentenza di
assoluzione che affermò che il Frustaci non potè ignorare almeno la fama del
Mancuso; la Corte di Appello, in adesione ai principi posti dal giudice di
legittimità, si è limitata a recepire il dato fattuale acclarato nel giudizio di merito
e a trarne le debite conseguenze in seno al giudizio riparatorio.
Il ricorso va pertanto rigettato.

6

postulando la possibilità di un rinnovato accertamento dei fatti precluso a questa

Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonchè al rimborso al Ministero resistente delle spese sostenute per questo
giudizio di Cassazione; spese che si liquidano in complessivi euro 750,00.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione in favore del Ministero delle Finanze delle spese del
presente giudizio che liquida in complessivi € 750,00.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28/11/2013.

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