Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9346 del 28/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9346 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
NAPOLI
nei confronti di:
MARINO DOMENICO N. IL 11/12/1980
avverso l’ordinanza n. 101/2010 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
28/04/2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SALVATORE
DOVERE .
lette/s,de le conclusioni del PG Dott. trtvwc-. hp–0–,2 ■N0r,
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Data Udienza: 28/11/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Napoli ha proposto
ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è
stata accolta l’istanza di Marino Domenico di riparazione per l’ingiusta detenzione
subita dal 30.8.2003 al 7.1.2005, in relazione al delitto di concorso in omicidio
volontario in danno di Taglialatela Enrico dal quale era stato mandato assolto in
data 28.2.2005 dalla Corte di Assise di Napoli, per non aver commesso il fatto.

comma, cod. proc. pen., in quanto il Marino venne coinvolto nel processo dal
propalante Piccolo Benito, che rese in sede di indagini preliminari dichiarazioni
poi ritrattate. L’istante, dal canto suo, si era protestato innocente in occasione
dell’interrogatorio di garanzia, nel quale si era comunque avvalso della facoltà di
non rispondere. Tanto affermato, la Corte di Appello ha liquidato al Marino la
somma complessiva di euro 136.966,72, determinati in parte sulla base di un
computo aritmetico e parte (20.000,00 euro) in via equitativa per il discredito
derivatogli dalla lunga detenzione.

3. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata per violazione
dell’art. 314 cod. proc. pen., censurando l’interpretazione data dal giudice di
merito e affermando che “vi era documentazione fotografica della presenza del
Marino nei pressi della vittima in orario anteriore all’esecuzione dell’omicidio, cosi
che l’allegazione di un verificabile alibi avrebbe consentito di accertare un diverso
svolgimento dei fatti”.

4. Si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’Economia
e delle Finanze, deducendo che il Marino non diede alcuna spiegazione circa le
ragioni per le quali si trovava presso una stazione di servizio in un tempo
prossimo a quella dell’aggressione alla vittima.
CONSIDERATO IN DIRITTO
5. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato.

6.

La Corte territoriale è pervenuta a riconoscere il diritto del Marino

all’indennizzo previsto dall’art. 314 cod. proc. pen. sulla scorta della circostanza
per la quale, con il venir meno della originaria dichiarazione accusatoria
indirizzata al Marino da Piccolo Benito, non vi è condotta dell’istante che,
accertata nel giudizio di merito, possa essere valutata come ostativa
all’indennizzo richiesto. A tanto il ricorrente, e l’Avvocatura con esso, oppone
l’affermazione della rilevanza, sotto il profilo che occupa, del silenzio serbato

2

2. La Corte territoriale ha ravvisato il diritto alla riparazione di cui all’art. 314, 1°

dall’imputato in risposta all’accusa mossagli di aver partecipato al delitto. Si
avvede, infatti, il ricorrente, che il solo fatto di essere stato il Marino presente in
un’area di servizio in un tempo di poco anteriore all’omicidio del Taglialatela non
può costituire condotta valorizzabile sotto il profilo che qui occupa, a meno che
essa non possa essere in qualche guisa collegata all’omicidio: il che
probabilmente era possibile prima che venisse meno il contributo conoscitivo
recato dal Piccolo.
Ma la decisiva rilevanza che si pretende veder assegnata al silenzio sembra

di per sé vale a concretare la colpa grave che rileva ai fini della riparazione
dell’ingiusta detenzione, bensì il silenzio cosciente su di un alibi, una fraudolenta
creazione di tracce o prove a proprio danno. Si afferma che, fermo restando
l’insindacabile diritto al silenzio o alla reticenza o alla menzogna da parte della
persona sottoposta alle indagini e dell’imputato, nell’ipotesi in cui solo questi
ultimi siano in grado di fornire una logica spiegazione, al fine di eliminare il
valore indiziante di elementi acquisiti nel corso delle indagini, non il silenzio o la
reticenza, in quanto tali, rilevano ma il mancato esercizio di una facoltà
difensiva, quanto meno sul piano dell’allegazione di fatti favorevoli, che se non
può essere da solo posto a fondamento dell’esistenza della colpa grave, vale
però a far ritenere l’esistenza di un comportamento omissivo causalmente
efficiente nel permanere della misura cautelare, del quale può tenersi conto nella
valutazione globale della condotta, in presenza di altri elementi di colpa (Sez. 4,
n. 7296 del 17/11/2011 – dep. 23/02/2012, Berdicchia, Rv. 251928).
Sicché non è sufficiente allegare, come fa il ricorrente, che con il silenzio il
Marino non ha fornito un alibi; quel che avrebbe dovuto essere prospettato (e
documentato, secondo il principio di autosufficienza del ricorso) è che, risultando
dall’accertamento nel merito che era nella disponibilità dell’imputato offrire
elementi in grado di sottrarre l’autorità procedente all’errore in cui era incorsa,
questi aveva deliberatamente optato per un comportamento non esplicativo.
La incompiutezza del ricorso sotto il profilo appena evidenziato ne importa il
rigetto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Così deciso inig ma, nella camera di consiglio del 28.11.2013.

ignorare la consolidata giurisprudenza di questa Corte per la quale non il silenzio

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