Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9344 del 21/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9344 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DOVERE SALVATORE

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) SBARDELLA BRUNO, N. IL 16.3.1946,
avverso l’ordinanza n. 7/2012 pronunciata dalla Corte di Appello di Roma il
24/4/2012;
udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Salvatore Dovere;
lette le conclusioni del P.G. dr.ssa M. G. Fodaroni, che ha chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1. Sbardella Bruno, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per
cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata
la sua istanza di riparazione per l’ingiusta detenzione subita, in relazione ai
delitti rispettivamente previsti agli artt. 416 cod. pen.; 110, 112, 323 cpv. cod.
pen.; 110, 112, 479 cod. pen.; 110, 112, 319, 319bis cod. pen.
La Corte territoriale ha in primo luogo precisato che lo Sbardella non venne
rinviato a giudizio né custodito per il delitto di cui all’art. 416 cod. pen. e che
con sentenza del Tribunale di Roma del 18.1.2000 venne dichiarata l’estinzione
del reato di abuso di ufficio per prescrizione; quindi con sentenza del medesimo
Tribunale emessa il 28.11.2006 venne dichiarata l’estinzione per prescrizione
degli ulteriori addebiti, salvo quello di peculato, per il quale lo Sbardella è stato
assolto con sentenza dell’11.1.2010, irrevocabile il 4.5.2010.

Data Udienza: 21/11/2013

Tanto premesso la Corte di Appello, ricordato che l’indennizzo per la riparazione
della ingiusta detenzione non compete quando ricorra l’estinzione per
prescrizione anche di soltanto uno dei reati che determinarono lo stato di
detenzione, ha rigettato l’istanza.

2. Il ricorrente ha chiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata ritenendo che
la negazione del diritto alla riparazione in caso di prescrizione del reato sia
contraria all’art. 27 Cost. perché da questo deriva che in assenza di sentenza di

C.e.d.u., in quanto la presunzione di innocenza viene disattesa se l’a.g. emette
una decisione che si esprime in termini di colpevolezza quando questa non è
stata giudizialmente accertata.
Con un secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 314 cod. proc. pen. e
vizio motivazionale rilevando che ai sensi dell’art. 314, co. 3 cod. proc. pen. il
diritto all’equa riparazione spetta anche a colui nei confronti del quale è stata
pronunciata sentenza di non luogo a procedere, che il giudice emette quando
sussista una causa di estinzione del reato, come appunto la prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è infondato.
3.1. Com’è noto, secondo il principio posto da questa Corte, nel caso di
prescrizione del reato, l’indennizzo è dovuto se il periodo di custodia cautelare
sofferta è superiore a quello inflitto con la pena o che avrebbe potuto essere
inflitto (tra le altre Cass. sez. 4, sent. n. 34661 del 10/6/2010, Maugeri, rv.
248076).
Il quesito in ordine alla indennizzabilità della detenzione subita per un reato che
sia stato successivamente dichiarato estinto per prescrizione è stato portato
all’attenzione della Corte costituzionale dalle sezioni unite di questa Corte, che
con ordinanza 19 luglio 2006 hanno sollevato la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. nella parte in cui preclude il
riconoscimento dell’indennizzo nei casi indicati (il caso esaminato dalle sezioni
unite si riferiva ad un’ipotesi di condanna intervenuta in primo grado per un
reato dichiarato prescritto in appello; il giudice di secondo grado, in mancanza di
appello del p.m., non avrebbe potuto infliggere una pena superiore a quella
determinata dal primo giudice che era inferiore al periodo di custodia cautelare
sofferto).
La Corte costituzionale, con sentenza 11 giugno 2008 n. 219, ha risolto
positivamente l’incidente di costituzionalità dichiarando l’illegittimità
costituzionale dell’art. 314 cod. proc. pen. “nella parte in cui, nell’ipotesi di
detenzione cautelare sofferta, condiziona in ogni caso il diritto all’equa

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condanna l’imputato deve essere considerato non colpevole; all’art. 6, § 2 della

riparazione al proscioglimento nel merito delle imputazioni secondo quanto
precisato in motivazione”.
La Corte ha ritenuto che non fosse possibile dare un’interpretazione
“costituzionalmente orientata” della norma citata ma – rifacendosi alla sua
precedente giurisprudenza ed in particolare alle decisioni che avevano
riaffermato la natura “servente” della custodia cautelare rispetto al
perseguimento delle finalità del processo e alla necessità di bilanciare gli
interessi in gioco (esigenze di tutela della collettività e temporaneo sacrificio

colpevole) – è pervenuta alla conclusione che ove “la custodia cautelare abbia
ecceduto la pena successivamente irrogata in via definitiva è di immediata
evidenza che l’ordinamento, al fine di perseguire le predette finalità, ha imposto
al reo un sacrificio direttamente incidente sulla libertà che, per quanto
giustificato alla luce delle prime, ne travalica il grado di responsabilità
personale.” E ha concluso precisando che “solo in apparenza la posizione di chi
sia stato prosciolto nel merito dell’imputazione penale si distingue da quella di
chi sia stato invece condannato (quanto, ovviamente, al solo giudizio circa
l’ingiustizia della custodia cautelare che soverchi la pena inflitta)” perché in
entrambi i casi “l’imputato ha subito una restrizione del proprio diritto inviolabile.
In entrambi i casi, pertanto, ricorre l’obbligo di indennizzare il pregiudizio”.
In altri termini, la decisione della Consulta non ha affatto intaccato il principio da sempre accolto in modo uniforme dalla giurisprudenza di legittimità – che il
proscioglimento per prescrizione preclude il diritto alla riparazione (si vedano in
questo senso Cass., sez. IV, 10 giugno 2008 n. 26708, Galatolo, rv. 240382; 2
marzo 2007 n. 18343, Eerlini, rv. 236411; 4 dicembre 2006 n. 3590, Di Grazia,
rv. 236010; 18 maggio 1995 n. 1566, Foti, rv. 201879).
Ha invece affermato il principio della indennizzabilità della custodia cautelare che
abbia avuto una durata superiore alla pena inflitta o a quella che avrebbe potuto
essere inflitta (così la citata sentenza in causa Maugeri).
3.2. Nel caso di specie la Corte di Appello ha fatto corretta applicazione dei
principi sin qui esposti, spiegando che l’esito estintivo di alcuni tra i reati
contestati allo Sbardella, che consentivano la custodia cautelare in carcere, osta
al riconoscimento dell’indennizzo.
A fronte di ciò il ricorrente avrebbe dovuto quanto meno allegare che la sua
detenzione aveva ecceduto quella che gli sarebbe stata inflitta in mancanza di
prescrizione, impegnando la Corte di Appello alla verifica della circostanza,
realmente in grado di condurre alla liquidazione dell’indennizzo riparatorio.

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della libertà personale per chi non sia stato ancora definitivamente giudicato

Ciò non è stato; e l’evocazione di principi di rango superiore, in rapporto ai quali
la disciplina in argomento è già stata scrutinata dal Giudice delle leggi, non
sottrae il ricorso al rigetto.

4. Segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/11/2013.

processuali.

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