Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9340 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9340 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
MICHELETTI GIUSEPPE GIOVANNI

n. L’11.10.1956

avverso l’ORDINANZA n. 46/2011 Tribunale di Messina del 19.03.2013.
Visti gli atti, 1,4vtoti.ommt -La ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 14 novembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale nella persona del dott.
Francesco Mauro Iacoviello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

4 ,..

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
MICHELETTI Giuseppe Giovanni ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, in
epigrafe indicata, con la quale il Tribunale di Messina, in sede esecutiva, su
rinvio della Corte di Cassazione (sentenza del 20.11.2012 n. 9038/13), ha
rideterminato la pena complessiva inflittagli con le sentenze della Corte
d’appello di Assise di Milano del 14.02.00, della Corte d’appello di Palermo del
6.06.2003, del Tribunale di Milano del 17.07.2009, del Tribunale di Messina del
28.09.2010.
E’ opportuno, per meglio comprendere i motivi dell’odierno ricorso, ripercorrere
la vicenda esecutiva, sia pure in sintesi.
Con istanze depositate il 16.02.2011 ed il 14.03.2011 il ricorrente aveva chiesto
la revoca della esecuzione delle indicate sentenze. Con la prima assumeva che
le condotte associative di cui all’art. 74 del d.P.R. 309/90, oggetto delle
condanne della Corte d’Assise di appello di Milano e del Tribunale dello stesso
capoluogo, su indicate, sarebbero state sostanzialmente identiche, essendo
riconducibili al medesimo fatto storico, ovvero alla condotta associativa per la
quale era stato anche condannato dal Tribunale di Messina con sentenza del
28.09.2010, anch’essa divenuta irrevocabile il 22.01.2011, con la conseguente
necessità, ai sensi dell’ad, 669 c.p.p., di disporre l’esecuzione della sola
condanna meno grave inflitta con tale ultima sentenza.
Con l’altra istanza, quella del 14.03.2011, si era sostenuto che pure il reato
associativo, finalizzato al traffico di stupefacenti di cui al capo A) della sentenza
di condanna della Corte di appello di Palermo, come su indicata, coincideva con
i fatti di cui alle citate sentenze.
Con altra istanza, a firma del MICHELETTI del 23.09.2011, si proponeva
incidente di esecuzione avverso il provvedimento di esecuzione di pene
concorrenti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Messina
dell’8.02.2011, rilevando l’erroneità dell’atto nel quale non si era tenuto conto:
a) dell’applicazione dell’indulto concesso nella misura di mesi nove di reclusione
con ordinanza del Tribunale di Brescia del 10.10.2007 e nella misura di mesi
quattro di reclusione con ordinanza del medesimo Tribunale del 19.01.2010; b)
di alcuni periodi di presofferto; c) della custodia cautelare espiata dal 25
maggio al 27 giugno 2007 i relazione alla condanna inflitta con sentenza della
Corte d’appello di Reggio Calabria del 3.02.1986.
Con ordinanza del 19.10.2011 il Tribunale di Messina, in sede di esecuzione,
decidendo in merito alle due istanze, accoglieva la richiesta di revoca della
sentenza del Tribunale di Milano del 17.07.2009, relativamente al reato
associativo, rigettando l’analoga istanza diretta ad ottenere la revoca della

4

esecuzione delle condanne inflitte con le sentenze della Corte di Assise d’appello
di Milano del 14.02.2000 e della Corte d’appello di Palermo del 6.06.2003,
applicando, nel contempo, la disciplina della continuazione tra le condanne di
cui alle predette sentenze ed ha rideterminato, di conseguenza, le pene per i
vari reati. Infine applicava l’indulto di cui alla L. 241 del 2006, nella misura di
un anno ed undici mesi in relazione alla pena determinata a titolo di aumento
per la continuazione per i reati giudicati con la sentenza del Tribunale di
Messina del 28.9.2010, trattandosi di violazioni non escluse dall’applicazione del
beneficio – rilevando altresì che l’entità dell’indulto, in precedenza concesso si
ricava dai precedenti provvedimenti applicativi emessi dal Tribunale di Brescia il
10.10.2007, nella misura di mesi nove di reclusione, ed 19.01.2010, nella
misura di mesi quattro di reclusione.
Avverso tale ordinanza sia il MICHELETTI che il suo difensore proponevano
ricorso per cassazione deducendo il primo un unico motivo: violazione di legge
e vizi di motivazione, in quanto, l’ordinanza impugnata, richiamando due
precedenti pronunce – rispettivamente della Corte di appello di Palermo del
2004 e del Tribunale di Brescia del 2007 – ha fatto riferimento a provvedimenti
che avevano ad oggetto richieste diverse da quelle formulate nel procedimento,
sottoposto al suo esame, con un sostanziale fraintendimento del petitum e
conseguente assenza di motivazione. Come vi era carenza assoluta di
motivazione in ordine al rigetto dell’istanza presentata dal Micheletti il
23.09.2011, con la quale si chiedeva il riconoscimento di alcuni presofferti ex
art. 657 c.p.p.. Si censurava anche la quantificazione della pena complessiva
essendo stati determinati aumenti di pena, per la continuazione, maggiori di
quelli previsti dalle originarie sentenze.
Il difensore, a sua volta, eccepiva, con il primo motivo, la violazione dell’art. 74
del d.P.R. 309/90, e dell’art. 659 c.p.p. nonché mancanza di motivazione. Si
censurava l’operato del Tribunale per avere effettuato, ai fini dell’accertamento
del vincolo della continuazione, la comparazione tra le imputazioni – così come
contestate nelle varie sentenze – senza tener conto degli accertamenti di fatto
che emergono dalle medesime, al fine di individuare il medesimo disegno
criminoso, vale a dire un unico fenomeno associativo. Con il secondo motivo si
denunciava la violazione degli artt. 78 e 81 cod. pen. e vizio di motivazione in
quanto, nella determinazione della pena, in applicazione del criterio di cumulo
giuridico, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto tener conto del limite di
trent’anni che la pena complessivamente inflitta non poteva superare, con la
conseguenza che il Tribunale avrebbe dovuto rideterminare la pena in trent’anni
di reclusione, applicando su tale pena la diminuzione per l’indulto, e non

i

limitarsi ad indicare i singoli aumenti di pena per la continuazione anche oltre
detto limite. Infine, con il terzo motivo, si denunciava altra violazione di legge
(art. 81 e c.p. ed art. 442 c.p.p.) e vizio di motivazione in quanto alcuni reati di
cui alle pronunce di condanna erano stati giudicati con rito abbreviato ed altri
con rito ordinario, pertanto, sulla pena complessivamente determinata per il
reato continuato, avrebbe dovuto essere applicata la riduzione di un terzo ex
art. 442 c.p.p..

limitatamente a questi profili di diritto:
a)la riduzione per l’abbreviato andava effettuata anche per i reati satelliti posti
in continuazione e, quindi, sugli aumenti di pena relativi;
b) il criterio moderatore di cui all’art. 78 co. pen. scattava solo dopo tale
riduzione.
Con il proposto ricorso si denuncia: violazione di legge e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 627.669. 671 e 672 c.p.p.. Si espone che l’impugnata
ordinanza ha disatteso il dictum della Suprema Corte di Cassazione con
riferimento al principio che l’indulto andava applicato sulla pena risultante
dall’applicazione dell’art. 78 cod. pen., quindi, i trenta anni

di reclusione

andavano decurtati dal quantum di indulto applicabile (applicabilità dell’indulto
sui trent’anni, ossia sul cumulo giuridico, anziché su quello materiale). Si
evidenzia che tale principio era stato affermato dalla sentenza di annullamento
e, pertanto, il Tribunale, in sede di rinvio, era ad esso vincolato ex art. 627
c.p.p., senza poter far richiamo ad un’eventuale contraria giurisprudenza.
Con memoria, depositata tempestivamente, il ricorrente nel criticare le
conclusioni scritte del Procuratore Generale, ribadisce i motivi del ricorso.
Il motivo esposto è infondato e determina il rigetto del ricorso.
E’ da rilevare che i ricorrenti, come già esposto, avevano sottoposto all’esame
della Cassazione un’ulteriore questione quella dell’applicazione dell’indulto dopo
la determinazione della pena ai sensi dell’art. 78 cod. pen., tale questione , pur
essendo menzionata nella parte espositiva dei motivi del ricorso, non è stata
decisa.
E, dunque, non sussistendo alcuna preclusione processuale o assorbimento
(come correttamente rileva il Procuratore Generale), correttamente il ricorrente
ha riproposto la questione al giudice di rinvio che l’ha presa in considerazione.
Solo che nel ricorso si evidenzia l’erronea decisione del Tribunale per non
essersi adeguata al principio espresso dalla Cassazione sul punto,
ancorché poi non abbia disposto l’annullamento della precedenza
ordinanza anche in riferimento a tale questione.

Con la sentenza già menzionata la Corte di cassazione accoglieva i ricorsi

L’assunto è infondato.
Nella parte motiva della sentenza di rinvio, pur facendosi riferimento al
secondo motivo del ricorso del difensore, cioè quello avente ad oggetto la
questione sottoposta all’esame del Collegio (V. parte narrativa), si
espongono le ragioni per cui si è ritenuto di respingere il ricorso solo con
riferimento alla questione del “ne bis in idem”, oggetto dell’unico motivo
del ricorso del Micheletti e del primo motivo del ricorso del difensore.

ricorso con i quali si deduce l’errata applicazione degli artt. 78 cod. pen. e
442 c.p.p., affronta solo quest’ultima questione, in ordine alla quale
dispone l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.
Dunque, correttamente il Procuratore Generale requirente, rileva che
nessun principio sul punto era stato affermato dalla Suprema Corte sulla
questione dell’applicabilità dell’indulto prima o dopo l’applicazione della
disposizione di cui all’art. 78 cod. pen., non essendosi, pertanto
determinato alcun vincolo ex art. 627 c.p.p. per il giudice di rinvio.
Ciò premesso, si condivide la soluzione data dall’ordinanza impugnata,
essendo rispettosa del dato normativo e della giurisprudenza di questa
Corte, laddove ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale con la
precedente ordinanza del 19.10.2011 nella parte in cui ha applicato
l’indulto nella misura di un anno ed undici mesi in relazione alla pena
determinata a titolo di aumento per la continuazione per i reati giudicati
con sentenza del Tribunale di Messina del 28.09.2010, – trattandosi di
violazioni

non

escluse

dall’applicazione

dell’indulto

prima

dell’applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. .
Difatti, questa Corte ha già più volte affermato che tale criterio moderatore
degli effetti del cumulo opera quale temperamento legale delle sole pene da
eseguirsi effettivamente, senza possibilità di inclusione in esso di quelle già
coperte da condono, le quali, altrimenti, verrebbero a godere di un duplice
abbattimento, dapprima fruendo dell’applicazione del calmiere di cui all’art. 78
cod. pen. e poi del loro scorporo integrale dal cumulo giuridico (v. Cass. N.
31211 del 2004, rv. 229799; sez. 1, n. 12370 del 21/3/2006, PG in proc.
Bordoni, rv. 233870; sez. 1, n. 12709 del 6/3/2008, Di Giovanni, rv. 239377;
sez. 1, n. 46279 del 13/11/2007, Patanè, rv. 238427, da ultimo sez. 1,
sentenza 8552 del 23.01.2013, Rv. 254929 e Sez. 1, Sentenza n. 32017 del
17/05/2013 Cc., Rv. 256296). La tesi contraria sostenuta dal ricorrente per cui il
criterio moderatore andrebbe applicato prima dello scorporo delle pene estinte
per indulto, non ha alcun fondamento normativo e si pone in contrasto anche

Di poi la Corte, pur premettendo che devono ritenersi fondati i motivi di

con l’interpretazione sistematica, atteso che l’unificazione di pene detentive
concorrenti deve essere riesaminata ed adeguata a fronte dell’intervento di
qualsiasi fatto nuovo incidente sull’esecuzione.
Al rigetto del ricorso segue al condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna 4 ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma alla udienza camerale del 14 novembre 2013.

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