Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9339 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9339 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
AIELLO CATERINA

n. il 18.12.1941

Nei confronti di
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 72/2011 della Corte d’appello di Reggio Calabria
del 13.03.2012.
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 14 novembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale che ha concluso per
l’annullamento dell’ordinanza con rinvio.

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
AIELLO Caterina ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, in epigrafe indicata,
con cui la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato la sua richiesta di
riparazione per ingiusta detenzione domiciliare dal 30.11.2001 sino al
27.05.2002, subita nell’ambito del procedimento penale in ordine alla
detenzione illegale di arma clandestina (carabina ad aria compressa), nonché di
coltivazione illegale di piante del tipo “cannabis indica”, cose rinvenute, a

conviveva con la figlia (Orlando Simona, anch’essa sottoposta a procedimento
penale).
La ricorrente veniva assolta dal GUP del Tribunale di Locri con sentenza del
20.05.2004 dal delitto concernente l’arma in quanto questa non era stata
ritenuta tale, mentre era condannata per il reato di coltivazione e detenzione
illegale di stupefacente.
La Corte d’appello di Reggio Calabria, con sentenza del 22.09.2009, assolveva
la AIELLO anche da tale ultimo delitto ritenendo che lo stabile ove era stata
sequestrata la sostanza stupefacente non era nella disponibilità esclusiva di
essa e della figlia Simona Orlando, vi abitava, infatti, anche il figlio Orlando
Maurizio e che l’indizio costituito dalla presenza in tali locali di indumenti
femminili non aveva una pregnanza probatoria tale da poter legittimare, di per
sé, un sicuro giudizio di colpevolezza. Inoltre, si ritenevano non significativi gli
ulteriori dati indiziari, rappresentati dallo stato di agitazione e nervosismo che
aveva animato le donne durante la perquisizione, nonché dal fatto che l’Aiello
fosse in possesso della chiave di accesso al civico n. 19 ove erano stato
rinvenuto un quantitativo di sostanza stupefacente pari a gr. 1.061.
La Corte della riparazione rileva che il GIP, in sede di convalida dell’arresto,
ritenendo che i vari immobili perquisiti costituissero un unitario plesso abitativo,
motivava il provvedimento di convalida in base alla considerazione che
all’interno di tali immobili (ossia quelli ove era stata sequestrata la sostanza
stupefacente) erano stati rinvenuti vari oggetti, documenti, attrezzi ed effetti
personali facenti capo in via esclusive alla Aiello ed alla figlia, che si
giustificavano adducendo che tali oggetti venivano accantonati in quel luogo
poiché trattatasi di roba non utilizzata.
La Corte d’appello ha ritenuto la sussistenza dei presupposti per non
riconoscere l’indennizzo in parola evidenziando che il quadro indiziario esistente
a carico della AIELLO ben poteva far pensare che la stessa, contrariamente, a
quanto asserito a sua discolpa, fosse a conoscenza che al secondo piano del
civico 15 vi si svolgeva un qualche tipo di col ura e ciò anche in ragione del

seguito di perquisizione domiciliare in alcuni locali adibiti ad abitazione, ove

rinvenimento di semi di canapa indiana all’interno di una boccia di plastica che è
stata trovata occultata sotto vecchi vestiti, non tralasciando di evidenziare il
comportamento di grande preoccupazione mostrato ai militari che perquisivano
i suddetti locali, sintomatico della consapevolezza che avrebbero potuto
rinvenire i semi e lo stupefacente. Per altro la giustificazione resa era del tutto
pretestuosa ed in contrasto con il rinvenimento, sempre nei citati locali, di tutta
l’attrezzatura necessaria (sei fitocelle in polistirolo, sacchi di terriccio per

produzione di canapa indiana. A fronte di tale ritrovamento la AIELLO, al
momento del suo arresto, a domanda dei verbalizzanti circa il tipo di coltura che
si stava effettuando nelle dette fitocelle, rispondeva che vi erano semi di
pomodoro, così dimostrando di essere a conoscenza non solo della esistenza di
tale materiale, ma anche del relativo contenuto, mentendo sulla sua natura.
Altro elemento valorizzato dalla Corte circa la consapevolezza della presenza dei
semi di canapa, dell’attrezzatura della coltivazione, e della sostanza
stupefacente è quello del possesso da parte della AIELLO delle chiavi per
accedere al locale ove tutto ciò è stato rinvenuto.
Con il proposto ricorso si deduce la manifesta illogicità della motivazione e la
sua insufficienza perché l’ordinanza impugnata avrebbe fondato la sua
valutazione sull’esistenza della colpa grave senza indicare alcun elemento che
consentisse di affermare che la AIELLO con il suo comportamento avesse
ingenerato negli inquirenti l’errore che essa fosse a conoscenza della presenza
nei locali di cui essa aveva la disponibilità di quanto sottoposto a sequestro e
che, fosse essa stessa responsabile di tale detenzione, non tenendo conto che
l’istante era stata assolta dal giudice con la formula per non aver commesso il
fatto. Si argomenta che l’ordinanza è incorsa in un primo vizio motivazionale
allorché ha ritenuto di poter utilmente valutare in termini di efficacia causale il
comportamento dell’istante per come esso risultava ridisegnato alla luce delle
dichiarazioni rilasciate in sede di interrogatorio di garanzia, ricostruendo un
contrasto solo apparente. Un secondo vizio di motivazione allorquando ha
qualificato come elemento impregnato di significatività univoca un
comprensibile stato d’ansia, non idoneo, di per sé, a giustificare la misura
cautelare. Contestualmente la Corte d’appello ha omesso di valutare l’erronea
attribuzione della sostanza stupefacente alla ricorrente perché fondata su di un
giudizio di disponibilità esclusiva di quattro immobili confinanti che la sentenza
di assoluzione ha ritenuto infondata.
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I motivi esposti sono infondati e determinano il igetto del ricorso.
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floricoltura, numerosi vasi in plastica e reti frangivento), per la coltivazione e la

E’ da rilevare innanzitutto che la Corte della riparazione, contrariamente a
quanto sostiene la ricorrente, non ha affatto affermato che le condotte
descritte e poste in essere dalla medesima hanno ingenerato l’errore che
essa potesse essere la detentrice esclusiva dei semi e della sostanza
stupefacente rinvenuta, quanto piuttosto che essa abbia concorso con altri
nel delitto contestato, essendo tali condotte sintomatiche di una
conoscenza dell’attività di coltivazione illegale di canapa indiana e della

È noto che la mera presenza passiva non integra il concorso nel reato a meno
che non valga a rafforzare il proposito dell’agente nel porre in essere l’azione
criminosa. Ma questo rafforzamento del proposito non è sufficiente per ritenere
il concorso dello “spettatore passivo” essendo necessario che questi abbia la
coscienza e volontà di rafforzare il proposito criminoso.
Ma nell’ambito del giudizio della riparazione, nei casi in cui l’elemento
soggettivo in questione non sia provato ai fini della dichiarazione di
responsabilità in ordine al reato contestato in concorso, ben può essere
astrattamente configurata gravemente colposa, perché caratterizzata da grave
negligenza, la condotta passiva del connivente per non aver valutato gli effetti
della sua condotta sul comportamento dell’agente la cui volontà criminosa può
essere oggettivamente rafforzata, o come, nel caso di specie favorita, anche se
il connivente non intende perseguire questo effetto e sia comunque idonea a
creare un’apparenza di partecipazione alle attività criminose di altri. Ma per
poter pervenire a questa conclusione è necessario che sia provata la
conoscenza delle attività criminose compiute (o almeno che con grave
negligenza il connivente non se ne sia reso conto). Nel nostro caso questa
conoscenza non solo è affermata ma vengono indicati numerosi elementi (V.
parte narrativa, nonché più esaustivamente l’ordinanza) a supporto di questo
convincimento, laddove le condotte della AIELLO, inequivocabilmente accertate
dagli inquirenti, denotano da parte di essa la conoscenza della presenza di
quanto sequestrato in locali di cui aveva la disponibilità (dalla medesima
riconosciuta) anche tenendo conto che di fronte all’evidenza (chiaramente semi
di canapa indiana) ha mentito riferendo che trattavasi di coltura di pomodori, in
una, poi, al comportamento preoccupato manifestato ai verbalizzanti.
Dunque, la valutazione del giudice di merito sull’esistenza delle caratteristiche
che deve presentare la connivenza per assumere rilevanza ai fini della
riparazione si sottrae al vaglio di legittimità ove sia stato dato congruo conto, in
modo non illogico, delle ragioni poste a fondamento della descritta efficacia
della condotta passiva. Il che nella specie è avvenuto avendo i giudici di merito
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detenzione di sostanza stupefacente.

affermato la corrispondenza tra connivenza e colpa grave sulla base di elementi
concreti ampiamente illustrati.
Segue al rigetto del ricorso la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma alla udienza camerale del 14 novembre 2013.

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