Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9336 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9336 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
ROMANO MASSIMO FABIO

n. il 20.09.1971

Nei confronti di
MINISTERO ECONOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 18/2009 della Corte d’appello di Caltanissetta
del 3 .11.2011.
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso
Udita in UDIENZA CAMERALE del 14 novembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Lette le richieste del Procuratore Generale che ha concluso per
l’annullamento dell’ordinanza con rinvio.

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO ED IN DIRITTO
ROMANO Massimo ricorre per cassazione avverso l’ordinanza, indicata in
epigrafe, con cui la Corte d’appello di Caltanissetta ha rigettato la sua
richiesta di riparazione per ingiusta detenzione in riferimento alla custodia
cautelare patita in carcere dal 5.12.2005 al 5.08.2006, ed agli arresti
domiciliari da tale ultima data sino al 25.07.2007 in ordine al procedimento
penale a suo carico per i reati di cui agli artt. 110 e 416 bis cod. Pen. dal
quale era stato assolto dal Tribunale di Gela con sentenza del 25.07.2007,

Rifacendosi alle risultanze istruttorie esaminate nella sentenza di assoluzione,
la Corte di Appello ha ritenuto che l’istante aveva contribuito, con colpa
grave, all’emissione del provvedimento restrittivo.
Il ricorrente deduce violazione di legge e carenza di motivazione del
provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza del presupposto del dolo
o della colpa grave del richiedente che costituiva causa impeditiva per il
riconoscimento dell’indennizzo riparatorio ed aveva operato un’anomala
rivisitazione delle conclusioni cui era giunto il Tribunale di Gela nella sentenza
di assoluzione. Poneva, altresì, in evidenza che la Corte distrettuale non
aveva in alcun modo motivato in ordine alla sussistenza del nesso causale tra
l’asserita condotta colposa e l’emissione del provvedimento restrittivo, né era
stata analizzata la sua condotta processuale al fine di verificare la legittimità
del mantenimento in carcere.
(((((((((((((0))))))))))))
Il ricorso va accolto con conseguente annullamento e rinvio dell’ordinanza
impugnata.
Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo
cui (cfr. fra tutte Cass. Pen., IV” sez., n. 2830, del 12.5.2000) “il sindacato
del Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la
riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del
procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o
negare il presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece
nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e
la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità
soltanto il compito di verificare la correttezza logica del ragionamento”
Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, seguito dalla Corte d’Appello,
non resiste alle censure del ricorrente, atteso che i ravvisati comportamenti,
ritenuti indici rilevatori della sussistenza del preciso nesso eziologico tra la
condotta tenuta dall’istante – che lo avrebbe posto nella obiettiva situazione

confermata dalla Corte d’appello di Caltanissetta del 17.06.2008.

di gravità indiziaria – e la misura cautelare emessa, afferiscono a condotte
che appaiono essere “neutre”, cioè non manifestamente e verosimilmente
riconducibili ad una situazione che apparentemente potrebbe configurasi
come di partecipazione alla contestata partecipazione ad un’associazione
criminale di tipo mafioso.
Non convince, invero, la motivazione dell’ordinanza impugnata, laddove ha
ritenuto che gli elementi probatori emersi nella fase delle indagini e rimasti

dall’istante che ha portato all’applicazione della misura cautelare restrittiva.
Invero, la Corte di appello nella ordinanza impugnata ha posto in evidenza
che l’istante era stato tratto in arresto in data 5-12-2005, perché
raggiunto da gravi indizi, di colpevolezza in ordine al reato di cui all’art.
416 bis. cod.pen. La gravità indiziaria si desumeva dal contenuto di alcune
conversazioni telefoniche intercettate, intervenute tra D’Arma Armando
Giupeppe e La Cognata Nunzio e che denotavano una vicinanza
dell’indagato alle famiglie mafiose di Gela.
Sul punto va osservato che il Tribunale di Gela, con la sentenza assolutoria
dopo avere richiamato le dichiarazioni di alcuni collaboratori che indicavano
l’istante come vicino alla famiglia Emanuello, in quanto fratello di Romano
Raimondo, per conto del quale avrebbe gestito un’attività economica,
rilevava che gli elementi acquisiti erano suscettibili di interpretazione
alternativa e che agli atti non vi era la prova che le attività economiche
riconducibili al Romano fossero gestite per conto del clan ben potendo
ritenersi„ che le stesse fossero _gestite solo, per conto del fratello
Raimondo. Quanto al contenuto delle conversazioni indicate nell’ordinanza
di custodia cautelare, il tribunale rilevava che il Romano era solo “terzo
conversato” e che il contenuto delle stesse poteva interpretarsi anche in
modo alternativo a quello proposto dagli inquirenti. Anche la Corte di
appello di Caltanissetta, nella sentenza emessa in data 17-6-2008, che
confermava quella assolutoria di primo grado, rilevava che l’istante era
fratello di Raimondo, esponente del clan “Rinzivillo” che però le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia dimostravano solo che egli aveva
agito, sotto la protezione del fratello, detenuto da anni avvantaggiandosi di
tale circostanza. La Corte distrettuale poneva altresì in evidenza che
l’istante, nelle dichiarazioni rese nel corso dell’incidente probatorio tenutosi
in data 18-7.2006,”non si era limitato ad assumere un atteggiamento di
rottura rispetto a posizioni di omertà ed a forme di solidarietà e

provati con certezza denotano un comportamento gravemente colposo tenuto

comunanza di interessi che si assumono contraendo il vincolo_associativo
mafioso”
Dunque, la Corte di appello ha rigettato l’istanza del Romano limitandosi a
richiamare soltanto le dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed il
contenuto di due intercettazioni telefoniche intervenute tra terzi soggetti ed
ha omesso di indicare i comportamenti concretamente posti in essere
dall’istante e che abbiano avuto incidenza sull’emissione del provvedimento

In effetti il giudice della riparazione ha fatto solo riferimento agli elementi a
carico del Romano, riportati nell’ordinanza di custodia cautelare emessa,
senza specificare quali siano stati in concreto i comportamenti colposi .o.
dolosi del ricorrente, quali erano i rapporti di questi con i coindagati e quale
sia stata la condotta posta in essere e che possa considerarsi in rapporto di
causa ad effetto rispetto alla detenzione. In sostanza dal provvedimento
impugnato non emerge quale sia stato il comportamento incauto posto in
essere dal ricorrente che abbia avuto incidenza causale sull’evento della
carcerazione preventiva atteso che non vengono specificamente indicati le
condotte poste in essere dall’istante ed intese come agevolative della
associazione mafiosa sulla quale si stava indagando. Nè viene specificato se
il ricorrente aveva assidui rapporti di frequentazione con i coindagati, se lo
stesso abbia intrattenuto conversazioni telefoniche con questi ultimi e se
infine abbia avuto un comportamento silenzioso o mendace anche dopo
l’esecuzione della misura che abbia potuto influire sul mantenimento della
misura restrittiva. Il rigetto viene operato esclusivamente in base alle
contestazioni effettuate, nella fase preliminare del procedimento ed in base
alle risultanze di intercettazioni telefoniche intervenite tra terzi soggetti.
Nella sentenza di secondo grado si era posto in evidenza che il Romano
aveva assunto un atteggiamento di rottura denunciando che egli stesso era
stato coartato e sottoposto a richieste estorsive plurime ad opera di
esponenti della consorteria mafiosa della quale è stato accusato di aver
fatto parte. Nel provvedimento non viene indicato inoltre se ed in che modo
l’eventuale condotta dell’istante ha influito sull’emissione ed anche sul
mantenimento del provvedimento restrittivo, disposto nei sui confronti,
considerata la lunga detenzione da questi subita(dal 5-12-2005 al 25-72007).
Il provvedimento in questione non appare quindi congruamente motivato e
pertanto va annullato con rinvio alla Corte di appello di Caltanissetta per un
nuovo esame.

. . , ./..r . . .

restrittivo.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’appello di Caltanissetta
per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma alla udienza camerale del 14 novembre 2013.

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