Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9333 del 30/10/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9333 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da :
SOFLAU JONEL N. IL 05.01.1987
Nei confronti di :
MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA in data 25 novembre 2011
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI;
lette le conclusioni del PG in persona del dott. Giovanni D’Angelo che ha chiesto l’annullamento
con rinvio
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte d’appello di Bologna ha accolto l’istanza presentata da Soflau Jonel, intesa ad
ottenere l’equa riparazione per l’ingiusta detenzione subita per la durata di 23 giorni in
virtù di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal GIP di Reggio Emilia in
data 13 maggio 2009. In data 25 settembre 2009 ne veniva disposta la revoca ed il
successivo 9 novembre 2009 veniva emesso decreto di archiviazione. La Corte
territoriale ha liquidato un indennizzo di € 7500,00.
2. Ricorre per cassazione l’interessato censurando la determinazione dell’indennizzo in
questione. Lamenta il mancato integrale ristoro delle ulteriori conseguenze personali
derivanti dalla detenzione patita.
3. L’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria chiedendo che il ricorso si è
dichiarato inammissibile o comunque rigettato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è infondato. In tema di equa riparazione per l’ingiusta detenzione la
giurisprudenza di questa Corte ha enucleato un canone base per la liquidazione del
danno, costituito dal rapporto tra la somma massima posta a disposizione dal
legislatore, la durata massima della custodia cautelare (6 anni) e la durata dell’ingiusta
detenzione patita. La somma che deriva da tale computo può essere dimezzata nel caso

Data Udienza: 30/10/2013

P.Qm.
rigetta il ricorso e condanna4a ricorrente al pagamento delle spese processuali; dichiara
compensate tra le parti le spese del presente giudizio
Così deciso nella camera di consiglio del 30 ottobre 2013

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

di detenzione domiciliare, attesa la sua minore afflittività. Tale aritmetico criterio di
calcolo costituisce solo una base, utile per sottrarre la determinazione dell’indennizzo
all’imponderabile soggettivismo del giudice e per conferire qualche uniformità ed
oggettività al difficile giudizio di fatto. Il meccanismo in questione individua l’indennizzo
in una astratta situazione standard, nella quali i diversi fattori di danno derivanti
dall’ingiusta detenzione si siano concretizzati in modo medio, ordinario. Tale valore può
subire rimaneggiamenti verso l’alto o verso il basso sulla base di specifiche contingenze
proprie del caso concreto. Occorre quindi esaminare i fattori documentati, afferenti alla
personalità ed alla storia personale dell’imputato, al suo ruolo sociale professionale e
sociale, alle conseguenze pregiudizievoli concretamente patite e tutti gli altri di cui sia
riscontrata la rilevanza e la connessione eziologia con l’ingiusta detenzione patita. Il
calcolo finale ben potrà essere il frutto della ponderazione di documentati fattori di
segno contrario. Al giudice si chiede una valutazione equitativa, discrezionale; ma ciò
non significa che, come sopra accennato, ci si debba affidare ad una ponderazione
intuitiva che si sottragga all’analisi ed alla valutazione delle indicate contingenze
rilevanti. Al contrario, proprio quando compie valutazioni discrezionali, il giudice è
tenuto ad offrire una motivazione che, magari in modo sintetico ma comunque
esaustivamente, dia conto del materiale probatorio utilizzato e della valutazioni
espresse, in modo che sia possibile ripercorrere l’iter logico seguito.
5. L’ordinanza impugnata si attiene a tali principi. Constatata l’esistenza del diritto all’equa
riparazione, la Corte si è attenuta, per ciò che attiene alla quantificazione
dell’indennizzo, al criterio aritmetico sopra indicato suggerito dalla giurisprudenza di
questa Corte, con un aggiustamento in rialzo proprio in virtù delle dedotte ulteriori
conseguenze. La Corte territoriale ha giustamente ricordato la natura indennitaria e non
risarcitoria dell’istituto, più volte sottolineata da questa Corte.
6. In tale apprezzamento non si scorge alcun vizio logico; e l’entitàdell’indennizzo, dunque,
non
può
essere
riconsiderata
nella
presente
sede
di
legittimità.
Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna al pagamento delle spese
processuali. Appare congruo compensare le spese tra le parti.

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