Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9330 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9330 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: SIRENA PIETRO ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PISONI GIUSEPPE N. IL 13/09/1955
avverso la sentenza n. 22/2012 CORTE APPELLO di TRENTO, del
03/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
ud”ta in
UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal
—”Zott. PIETRO ANTONIO SIRENA „
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. t-Ve-c>e 43 PG2.1
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che ha concluso per &I

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Data Udienza: 06/02/2014

2

Ritenuto in fatto
1.

Con sentenza del 19 luglio 2011, il Tribunale di Trento affermò la

responsabilità penale di PISONI Giuseppe in ordine al delitto di cui all’articolo
590 cod. pen. e alla contravvenzione di cui all’articolo 71, comma 1, del digl. n.
81 del 2008, unificati dal vincolo della continuazione, e lo condannò – con la
diminuente per il rito abbreviato – alla pena di tre mesi di reclusione,
condizionalmente sospesa, nonché al risarcimento del danno in favore della
persona offesa, da liquidarsi in separato giudizio e al pagamento di una

Secondo il giudice di primo grado, infatti, il PISONI – nel ristrutturare un
immobile di sua proprietà – si era avvalso della collaborazione del lavoratore
artigiano Nave Roberto, a disposizione del quale aveva messo una macchina
troncatrice con caratteristiche irregolari, con cui la suddetta persona offesa,
procedendo al taglio di alcune assicelle necessarie per la ricopertura del
sottotetto, si era procurato delle gravi lesioni.

2. Avverso tale sentenza propose rituale impugnazione il difensore dell’imputato,
deducendo che il Tribunale aveva compiuto una errata valutazione delle
risultanze processuali: ritenendo che la persona offesa aveva stipulato con il
PISONI un rapporto di lavoro dipendente e non autonomo, così attribuendo al
primo una posizione di garanzia che non gli competeva; ritenendo, altresì,
provato il nesso causale tra la supposta condotta colposa del committente e
l’evento dannoso verificatosi; negando il concorso di colpa, quanto meno
prevalente, della parte offesa; negando le circostanze attenuanti generiche e
irrogando una pena eccessiva sia per specie che per entità, nonché subordinando
il beneficio della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale,
liquidata in misura eccessiva; negando, infine, il beneficio della non menzione
della condanna.
E però, la Corte di appello di Trento confermò tutte le statuizioni della decisione
di primo grado, concedendo tuttavia al PISONI il chiesto beneficio della non
menzione.

3. Ricorre per cassazione personalmente l’imputato e deduce:
a) “inosservanza ed erronea applicazione della legge penale sostanziale (articolo
606, comma 1 lettera b, cod. proc. pen.), con specifico riferimento al combinato
disposto degli articoli 589 cod. pen. e 71, comma 1, d.Igl. 9.4.2008, n. 81”.
b) “Inosservanza di norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità (articolo
606, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.), in relazione alla illegittima
utilizzazione da parte del giudicante, nell’ambito del giudizio immediato relativo

provvisionale, determinata in euro 60.000,00.

3

alla contravvenzione ex articolo 71 d.Igl. n.81/2008, di prove acquisite in
violazione degli articoli 62-63 cod. proc. pen. e 220 d.Igl. 28.7.1989, n. 271”.
c) “Mancanza/insufficienza e manifesta illogicità della motivazione, risultante dal
testo del provvedimento (articolo 606, comma 1, lettera e, cod. proc. pen.)
Dopo avere testualmente indicato, con la sequenza su riferita, i suddetti motivi di
impugnazione, il ricorrente – nell’illustrarli – lamenta anzitutto un diverso vizio
procedurale: sostiene, infatti, che per il delitto e la contravvenzione a lui
contestate erano stati instaurati due distinti procedimenti, posto che per le

stato emesso decreto penale di condanna, ritualmente opposto; e censura che i
due procedimenti erano stati riuniti a sua richiesta, ma che avrebbe dovuto
essere adottato il rito ordinario e non quello abbreviato.
L’adozione di quest’ultimo avrebbe infatti comportato un illegittimo uso delle
dichiarazioni da lui stesso rese, a incidente avvenuto, agli ispettori del lavoro, ai
quali avrebbe riferito di essere presente costantemente nel cantiere, coordinando
le varie imprese, dando disposizioni e partecipando direttamente all’esecuzione
dei lavori. E però, secondo la tesi difensiva, tali dichiarazioni, inutilizzabili in
quanto rese in violazione dell’articolo 63 cod. proc. pen., erano servite al giudice
dell’appello per giustificare la sua condanna; mentre la Corte di merito ne aveva
ritenuto erroneamente l’utilizzabilità, affermando che quelle dichiarazioni erano
state rese dal PISONI, prima che questi fosse indagato.
In ogni caso, sempre secondo il ricorrente, “quand’anche le si volesse ritenere in
qualche modo utilizzabili nel procedimento riunito, le dichiarazioni rese agli
organi ispettivi non potrebbero comunque avallare le conseguenze che la Corte
di appello aveva voluto trarre da esse per trasformare il PISONI in ‘preposto al
coordinamento e responsabile dei lavori per l’intero cantiere’, come pure si legge
in sentenza e, per tale via, configurare in capo a lui la posizione di garanzia
presupposto per la ritenuta responsabilità colposa”.
Il ricorrente sostiene, inoltre, che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente
attribuito ad esso committente dei lavori una posizione di garanzia nei confronti
della persona infortunatasi, non tenendo conto dei principi stabiliti dalla Suprema
Corte di cassazione, secondo cui non può esigersi dal committente “un controllo
pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e l’andamento dei lavori”; e
che per fondare la responsabilità di quest’ultimo non si potrebbe “prescindere da
un attento esame della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in
concreto, l’effettiva incidenza della sua condotta nell’eziologia dell’evento
dannoso, a fronte della capacità organizzativa della ditta scelta per l’esecuzione
dei lavori”.

lesioni si era proceduto con il rito abbreviato, mentre per la contravvenzione era

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Per di più, secondo la tesi difensiva, i giudici dell’appello – al fine di non
ottemperare ai principi giurisprudenziali su indicati – sovvertendo l’impianto
probatorio e motivando illogicamente in ordine alla fattura rilasciata dalla
persona offesa, dalla quale si evinceva che quest’ultima non era un lavoratore
dipendente, avrebbero affermato che quel documento, rilasciato dopo
l’infortunio, “aveva al più un valore ricognitivo di una volontà negoziale
precedentemente manifestata in forma orale”.
Infine, il ricorrente assume che la sentenza impugnata avrebbe errato a ritenere

troncatrice non idonea, che era stata invece abusivamente utilizzata dal Nave, e
con la quale attrezzatura esso “committente non aveva alcun rapporto, se non ,
forse, quello derivante dalla semplice conoscenza della sua esistenza materiale”.

4. Con motivi nuovi ritualmente presentati, il difensore dell’imputato ha
ulteriormente insistito in ordine alla censure dedotte nei motivi principali,
lamentando in particolare:
a) “inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall’imputato: violazione articolo 606,
lettera c) in relazione agli articoli 191, 192, 546, 530 cod. proc. pen., 220 Disp.
att. cod. proc. pen., nonché in relazione agli articoli 590 cod. pen. e 71, comma
1, d.Igl. 81/08”.
Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata meriterebbe “censura per avere
ritenuto utilizzabili le dichiarazioni rese dall’imputato agli ispettori del lavoro,
ufficiali di polizia giudiziaria, in data 20 febbraio 2009 e, per avere fondato la
decisione di condanna esclusivamente sulle dichiarazioni – inutilizzabili dell’imputato”.
b) Violazione dell’articolo 606, lettere b) ed e) in relazione agli articoli 192, 546,
530 cod. proc. pen. nonché in relazione agli articoli 590 cod. pen. e 71, comma
1, d.Igl. 81/08″.
Dalla violazione delle regole sulla utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal PISONI
agli ispettori del lavoro, i giudici del merito avrebbero dedotto che l’imputato
“fosse responsabile per l’adempimento degli obblighi di sicurezza inerenti
l’organizzazione, l’ordinamento e l’uso delle attrezzature e delle macchine del
cantiere, sia nei confronti dei lavoratori subordinati che di quelli autonomi”; e ciò
non avrebbero potuto fare stante l’inutilizzabilità patologica di quelle
dichiarazioni.
Inoltre, la causa dell’incidente avrebbe dovuto essere rinvenuta nel
comportamento anomalo del lavoratore, il quale – pur disponendo di una
troncatrice a norma, custodita nella sua autovettura – solo con decisione

che egli aveva messo a disposizione della persona offesa una macchina

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autonoma, “dettata da motivi di comodità”, aveva deciso di utilizzare quello
strumento difettoso che si trovava per mero caso nei locali di lavoro.
Ancora, sempre ad avviso del ricorrente – il Nave era un artigiano esperto e
aveva stipulato con il PISONI un contratto di lavoro autonomo: e tali circostanze
esoneravano l’imputato da ogni responsabilità.
Sempre nei motivi aggiunti, infine, il difensore dell’imputato ha sostenuto che
sarebbe illogica la motivazione resa dai giudici della Corte di appello nella parte
in cui non avevano ritenuto il concorso di colpa della persona offesa nell’avere

Considerato in diritto

Il ricorso non merita accoglimento.
5. Quanto all’eccezione processuale, secondo cui nella fattispecie avrebbe dovuto
trovare applicazione il giudizio ordinario e non quello abbreviato, si osserva che
la stessa è manifestamente infondata.
E’ stato, infatti, lo stesso difensore del PISONI a chiedere la riunione dei due
procedimenti e a nulla eccepire in ordine alla pretesa necessità di procedere con
il giudizio ordinario; così che – anche se si fosse verificata una nullità a regime
intermedio – questa si sarebbe sanata.
Ma in ogni caso, tale eccezione non è stata dedotta innanzi ai giudici del secondo
grado e perciò deve trovare applicazione, nel caso concreto, il disposto
dell’ultimo comma dell’articolo 606 cod. proc. pen., secondo cui il motivo di
“ricorso è inammissibile se proposto…. per violazioni di legge non dedotte con i
motivi di appello”.

6.

Ciò posto, si osserva che la censura relativa alla inutilizzabilità delle

dichiarazioni rese dal PISONI agli ispettori del lavoro senza le garanzie difensive
è infondata.
E infatti, risulta dalla sentenza impugnata, e non è stato contestato dal
ricorrente, che l’imputato rese agli ispettori del lavoro “dichiarazioni spontanee”;
ebbene, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui aderisce questo Collegio,
“sono probatoriamente utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni
spontanee rese dall’indagato alla polizia giudiziaria” (Sez.1, Sentenza n. 35027
del 04/07/2013 Ud. (dep. 14/08/2013 ) Rv. 257213; conformi: N. 37374 del
2003 Rv. 227037, N. 29138 del 2004 Rv. 229457, N. 44637 del 2004 Rv.
230754, N. 40050 del 2008 Rv. 241554, N. 18064 del 2010 Rv. 246865, N. 8675
del 2011 Rv. 252279) e dunque a fortiori agli ispettori del lavoro.

causato l’evento di danno.

6

Né il ricorrente ha fornito alcuna prova in ordine alla eventuale non spontaneità
delle suddette dichiarazioni; e si deve peraltro rilevare che “il potere del giudice
di legittimità di rilevare d’ufficio le cause d’inutilizzabilità non comporta il dovere
di ricercare gli elementi di fatto posti a fondamento delle medesime ed è dunque
onere della parte interessata offrirne una compiuta rappresentazione e
dimostrazione nel ricorso. (Fattispecie relativa alla pretesa inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese dall’indagato senza assistenza del difensore in quanto
asseritamente prive del requisito della spontaneità)” (Sez. 1, Sentenza n. 26492

Quanto su riferito sarebbe di per sé solo sufficiente a giustificare l’infondatezza
della censura difensiva, ma per completezza di motivazione si deve aggiungere
che le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato il principio per il
quale la sentenza impugnata, pur se formalmente viziata da inosservanza di
norme processuali stabilite a pena d’inutilizzabilità, in tanto andrebbe annullata
in quanto si accerti che la prova illegittimamente acquisita ha avuto una
determinante efficacia dimostrativa nel ragionamento giudiziale, un peso reale
sul convincimento e sul dictum del giudice di merito, nel senso che la scelta di
una determinata soluzione, nella struttura argomentativa della motivazione, non
sarebbe stata la stessa senza quelle dichiarazioni, nonostante la presenza di altri
elementi probatori di per sé ritenuti non sufficienti a giustificare identico
convincimento (Cass., Sez. Un., 25.2.1998, Gerina).
Ebbene, nel caso in esame il ragionamento giudiziale sulla valutazione analitica e
complessiva di gravità, precisione e concordanza delle prove di colpevolezza
dell’imputato – a prescindere dalle dichiarazioni rese dal RISONI agli ispettori del
lavoro – risulta comunque ancorato ad un solido quadro probatorio: risulta infatti
da entrambe le sentenze dei giudici del merito, come meglio sarà chiarito in
seguito, che al momento dell’infortunio la persona offesa era da sola al piano
terra a tagliare alcune assicelle di legno, secondo le istruzioni specifiche a lui
date dal PISONI, il quale frattanto stava lavorando al piano di sopra, procedendo
alla posa delle stesse.
Perciò, anche a espungere dal procedimento le dichiarazioni rese dall’imputato in
assenza del difensore, sarebbe in ogni caso raggiunta la prova che quest’ultimo
dava disposizioni alla persona offesa, partecipando direttamente alla esecuzione
delle opere nell’immobile che stava ristrutturando.

7. Ma anche le ulteriori censure relative alla pretesa manifesta illogicità della
motivazione sono infondate.
I giudici del merito hanno, infatti, accertato – utilizzando oltre alle dichiarazioni
rese dall’imputato agli ispettori del lavoro anche quelle rese dalla persona offesa,

del 09/06/2009 Cc., dep. 25/06/2009, Rv. 244039).

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ritenuta perfettamente attendibile – che il Nave ha riportato le lesioni di cui al
capo di imputazione, mentre lavorava in un cantiere insieme al PISONI; e hanno
altresì provato, come si è prima cennato, che al momento dell’infortunio la
persona offesa si trovava al piano terra e stava segando le perline, seguendo le
istruzioni a lui date dall’imputato, mentre l’imputato si trovava al piano di sopra
e stava sistemando le assicelle di legno tagliate dal primo, secondo le sue
indicazioni.
Da tali elementi il Tribunale ha logicamente dedotto che tra il PISONI e il Nave

il giudice di primo grado è giunto valorizzando i seguenti indici rivelatori della
reale natura del rapporto:
“1) la circostanza che la prestazione era stata pattuita “a ore”, come risulta dalle
dichiarazioni rese dall’imputato, secondo cui ‘è stato stipulato un contratto
verbale di prestazione d’opera a ore’;
2) l’attività di sorveglianza compiuta dal PISONI, il quale era in cantiere tutti i
giorni, come da lui stesso riferito: ‘attualmente sono in cantiere tutti i giorni
verificando il lavoro delle varie imprese per verificare che i lavori vengano portati
a termine il prima possibile’;
3) l’utilizzazione di materiali forniti dal PISONI;
4) le specifiche indicazioni del PISONI al Nave sulle attività da compiere; sul
punto Nave Roberto ha dichiarato: ‘PISONI prendeva le misure e mi diceva di
tagliare a misura le perline di legno, io scendevo a piano terra, segnavo le varie
misure sulle perline, effettuavo i vari tagli con la macchina troncatrice e portavo
le perline tagliate al primo piano al signor PISONI e se c’era bisogno gli davo una
mano anche per la posa’.

7.1. Tuttavia, anche se tra l’imputato e la persona offesa fosse stato pattuito un
contratto di lavoro autonomo, come sostenuto dalla difesa del PISONI,
sussisterebbe comunque la responsabilità penale di quest’ultimo in ordine
all’infortunio subito dal lavoratore.
E in vero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “in tema di
infortuni sul lavoro, il contratto di appalto non solleva da precise e dirette
responsabilità il committente allorché lo stesso assuma una partecipazione attiva
nella conduzione e realizzazione dell’opera, in quanto, in tal caso, rimane
destinatario degli obblighi assunti dall’appaltatore, compreso quello di controllare
direttamente le condizioni di sicurezza del cantiere” (Sez. 4, Sentenza n. 14407
del 07/12/2011 Ud., dep. 16/04/2012, Rv. 253295).
Del resto, anche la massima giurisprudenziale citata dal PISONI, nel ricorso a
sua firma, per sostenere che non potrebbe esigersi dal committente “un

era stato stipulato un contratto di lavoro dipendente; peraltro, a tale conclusione

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contributo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione – e sull’andamento
dei lavori”, afferma che la responsabilità di quest’ultimo sussiste comunque nelle
ipotesi di “ingerenza del committente stesso nell’esecuzione dei lavori oggetto
dell’appalto o del contratto di prestazione d’opera” o nelle ipotesi di “percepibilità
agevole e immediata da parte del committente di eventuali situazioni di
pericolo”.
E nel caso concreto, i giudici del merito hanno accertato, come si è prima
precisato, che il PISONI si ingerì pesantemente nei lavori affidati al Nave, e che –

permise alla persona offesa di utilizzare un attrezzo del tutto inidoneo sotto il
profilo della sicurezza del lavoro.

7.2. Con riferimento a tale attrezzo, risulta infatti dalle sentenze di merito, e non
è contestato dal ricorrente, che la troncatrice utilizzata dal Nave mancava, da un
lato, della protezione mobile nella parte sottostante alla lama e che era inoltre
priva di comando di avviamento a pressione continua e di dispositivo di blocco
con freno automatico.
Ora, i giudici del merito hanno logicamente motivato in ordine al rapporto di
causalità tra l’utilizzo di siffatto attrezzo e le lesioni riportate dalla persona
offesa,
E in vero, il Tribunale ha affermato che “le carenze del macchinario risultano
essere in palese connessione con l’evento, ove si consideri: a) che l’assenza della
protezione mobile della parte sottostante escludeva la protezione degli arti; b)
che la mancanza del pulsante di avviamento a pressione non consentiva
un’immediata interruzione del movimento della sega in caso di contatto
accidentale con l’arto; c) che la mancanza di un freno automatico prolungava i
tempi di arresto della sega. Inoltre, nel ‘Piano di sicurezza’ erano previsti, fra gli
altri, i punti M029 e 030 riferiti alla distanza della protezione della lama (3
millimetri) ed alla cuffia protettiva della troncatrice; la presenza di questi
accorgimenti tecnici avrebbe escluso il taglio accidentale o ne avrebbe
determinato uno molti più superficiale”.
E la Corte di appello ha ribadito che lo schermo di protezione bilaterale è un
dispositivo “particolarmente efficace in quanto, creando delle barriere attorno
all’organo lavoratore delimita uno spazio di rischio che non può essere invaso
con gli arti superiori, con i quali viene maneggiato l’utensile, senza quanto meno
prima urtare la barriera medesima, così ponendo l’operatore immediatamente
sull’avviso del pericolo”; così che “la mancanza di questo dispositivo è
sicuramente in nesso causale con l’infortunio”.

al contempo – non controllò le condizioni di sicurezza del cantiere, tanto che

9

La stessa Corte ha poi aggiunto che “la mancanza di un sistema di azionamento
a impulso continuo da un lato ha la funzione di imporre all’attenzione del
lavoratore il momento in cui la macchina inizia a operare e dunque il momento
del massimo rischio, dall’altro ha la funzione di determinare l’interruzione
automatica dell’alimentazione del motore al rilascio del pulsante e quindi di
consentire all’operatore l’interruzione immediata in caso di contatto con parti del
corpo”; con la conseguenza che “anche la mancanza di questo dispositivo é in
nesso causale sia con il verificarsi dell’infortunio, sia con la gravità delle lesioni

E tale osservazione è stata estesa, sempre dalla Corte di appello, anche alla
mancanza di un efficace sistema frenante del movimento inerziale della lama.
Da tali logiche deduzioni dei giudici del merito deriva, dunque, che la censura del
ricorrente in ordine alla insussistenza del rapporto di causalità tra l’uso
dell’attrezzo non a norma e l’infortunio subito dal lavoratore è destituita di
fondamento.

7.3. Né è fondata la doglianza, secondo cui il PISONI non aveva alcun rapporto
con la macchina troncatrice, “se non , forse, quello derivante dalla semplice
conoscenza della sua esistenza materiale”.
Ancora una volta, i giudici del merito, con ragionamento del tutto logico hanno
evidenziato che quell’attrezzo si trovava nel cantiere da più giorni e che era stato
usato dalla persona offesa anche nelle giornate precedenti all’infortunio; e hanno
altresì osservato che “dalle dichiarazioni di entrambi i soggetti si deduce che la
lavorazione in corso prevedeva una condotta sinergica dei due”; e che “la
ricostruzione delle fasi lavorative consente di escludere che il Nave utilizzasse il
macchinario presente in cantiere in via del tutto autonoma, se non all’insaputa
del PISONI, in quanto la creazione dei pezzi e i tempi delle due attività erano
strettamente connessi e conseguenziali. Peraltro, al momento dell’infortunio in
quell’area del cantiere erano presenti solo l’imputato e la parte offesa; e la
lavorazione avveniva all’interno del cantiere, a pochi metri l’uno dall’altro, sia
pure in piani diversi”.

7.4. Ancora, è manifestamente infondato il motivo di ricorso di cui ai motivi
aggiunti, secondo cui la causa dell’infortunio avrebbe dovuto essere rinvenuta
nel comportamento anomalo del lavoratore, il quale – pur disponendo di una
troncatrice a norma, custodita nella sua autovettura – solo con decisione
autonoma, “dettata da motivi di comodità”, aveva deciso di utilizzare un attrezzo
difettoso, rinvenuto per mero caso nei locali di lavoro.

riportate” dal Nave.

10

E

infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, solo il

comportamento abnorme del lavoratore esonera il datore di lavoro da
responsabilità; editale soltanto quel comportamento che per la sua stranezza e
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte dei
soggetti preposti all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni
sul lavoro, così che non è abnorme il comportamento del lavoratore che abbia
compiuto – come nella fattispecie – un’operazione comunque rientrante, oltre che
nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (cfr.: Cass. pen., sez.

2009, n. 7267, depositata nel 2010, Rv 246695; Cass. pen., sez. IV, 17 febbraio
2009, n. 15009, Rv 243208).

8. Del pari inammissibile è la doglianza contenuta, sempre nei motivi aggiunti,
con cui il ricorrente ha sostenuto che la motivazione resa dai giudici della Corte
di appello, nella parte in cui non avevano ritenuto il concorso di colpa della
persona offesa nell’avere causato l’evento di danno, sarebbe manifestamente
illogica.
E in vero, la suddetta censura era stata ritualmente proposta nei motivi di
appello, al punto 4., in cui la difesa dell’imputato lamentava che il Tribunale
aveva negato “il concorso di colpa, quanto meno prevalente, della parte offesa”;
ma non è stata riproposta nei motivi del ricorso principale redatto personalmente
dal PISONI.
Ora, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in materia di termini
per l’impugnazione, la facoltà del ricorrente di presentare “motivi nuovi” o
“aggiunti” incontra il limite del necessario riferimento ai motivi principali, dei
quali i motivi ulteriori devono rappresentare mero sviluppo o migliore
esposizione, anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma risultando
sempre ricollegabili ai capi ed ai punti già dedotti; ne consegue che sono
ammissibili soltanto i “motivi nuovi” o “aggiunti” con i quali, a fondamento del
petitum dei motivi principali, si alleghino ragioni di carattere giuridico diverse o
ulteriori, non anche quelli con i quali si intenda allargare l’ambito del predetto
petitum, introducendo censure non tempestivamente formalizzate entro i termini
per l’impugnazione (cfr. sul punto: Cass. pen., Sez. un., 25 febbraio 1998, n.
4683, e tutte le successive sentenze delle sezioni ordinarie, conformi).
Dunque, alla stregua della su citata giurisprudenza, appare evidente
l’inammissibilità della suddetta censura; la stessa, comunque, è anche
manifestamente infondata, atteso che i giudici del merito hanno evidenziato che
“l’avere predisposto il luogo di lavoro, con attrezzo già posizionato per
l’esecuzione delle mansioni ha indotto nel lavoratore, operaio esperto, un errore

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1.

IV, 28 aprile 2011, n. 23292, Rv 250710; Cass. pen., sez. IV, 10 novembre

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di valutazione sulla sua capacità di utilizzo dell’attrezzo medesimo senza rischio,
benché non a norma”; così che la circostanza che questi abbia deciso di usare
quell’attrezzo e non il proprio non costituisce concorso di colpa del Nave
nell’infortunio di che trattasi.
Ora, tale motivazione non è manifestamente illogica; e in vero, il vizio logico
della motivazione descritto dall’articolo 606, lettera e), cod. proc. pen. sussiste
soltanto ove il giudice adotti massime di esperienza che si pongano in contrasto
con il senso comune o con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento

30 novembre 1999, Moro, RV 215745), ovvero quando, pur partendo da
premesse accettabili, sia pervenuto a conclusioni aberranti al lume della logica
comune, sicché difetti ogni nesso razionale tra premesse e conclusioni (Cass.
pen., Sez. un., 13 dicembre 1995, Clarke, RV 203428). Alla Corte di cassazione
non è dunque attribuito il compito di valutare se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né essa è chiamata a
condividerne la giustificazione, essendo il sindacato di legittimità limitato alla
verifica della coerenza strutturale della sentenza impugnata in sé e per sé
considerata, da condursi necessariamente alla stregua degli stessi parametri
valutativi a cui essa è “geneticamente” informata, ancorché questi siano
ipoteticamente sostituibili da altri (Cass. pen., Sez. un., 31 maggio 2000, Jakani,
RV 216260).

9. Ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la
parte privata che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle
spese del procedimento nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente
giudizio dalla parte civile, Nave Roberto, che si liquidano in complessivi euro
2.500,00 oltre IVA e CPA..

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, Nave Roberto, nel
presente giudizio, liquidate in complessivi euro 2.500,00 oltre IVA e CPA.
Così deliberato in camera di consiglio, il 6 febbraio 2014.
Il Presidente estensore

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV Sezione Penale

__(Pietro Antonio Sirena)

(Cass. pen., sez. II, 21 dicembre 1993, Modesto, RV 196955; Cass. pen., sez. V,

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