Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9324 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9324 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEL ROSSI FERNANDO N. IL 29/01/1956
avverso la sentenza n. 588/2010 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
20/04/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. A én ontto ,P ALAélgetA
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che ha concluso per

Udito, per la parte

le, l’ vv

Data Udienza: 30/01/2014

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza in data 20 aprile 2011 la Corte d’Appello dell’Aquila
confermava – per quel che ancora interessa – la sentenza di primo grado che
condannava Del Rossi Fernando alla pena di un anno di reclusione per il reato p.
e p. dall’art. 437 cod. pen., allo stesso ascritto – in concorso con altro imputato quale titolare dell’impresa appaltatrice dei lavori di costruzione di una palazzina,
in relazione ai quali era stato omesso di allestire adeguate impalcature o

(effettivamente poi verificatasi tra il 7 e 8 agosto 2001 derivandone lesioni gravi
ai danni di un operaio impiegato nei predetti lavori).
Avverso tale sentenza il Del Rossi ha proposto personalmente ricorso per
cassazione sulla base di due motivi.

1.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
Deduce che la corte territoriale ha erroneamente applicato la legge penale,
difettando nel caso di specie l’elemento psicologico.
Assume che il giudice a quo ha omesso di considerare che egli aveva
concesso in subappalto i lavori presso il cantiere ove si è verificato il sinistro, e
che pertanto la responsabilità dell’incidente sarebbe dovuta ricadere sul
subappaltatore, in quanto titolare e possessore del cantiere a tutti gli effetti,
mentre avrebbe dovuto ritenersi inesigibile una diversa condotta da parte di esso
ricorrente, che nulla aveva a che fare in quel momento con il cantiere e con la
messa in sicurezza dello stesso.

1.2. Con il secondo motivo deduce difetto di motivazione in ordine alla
mancata concessione delle attenuanti generiche.
Rileva al riguardo che il solo riferimento ai precedenti specifici, peraltro di
natura contravvenzionale, non vale a giustificare il diniego delle dette attenuanti,
che al contrario potevano essere concesse in ragione del comportamento
processuale e, comunque, del ruolo vicario ricoperto dall’imputato nella vicenda.

Considerato in diritto

2. Il ricorso è manifestamente infondato sotto entrambi i profili dedotti.

2.1. La corte territoriale motiva adeguatamente il proprio convincimento in
punto di responsabilità penale dell’imputato facendo richiamo alle valutazione del
tribunale secondo cui, dalle risultanze delle attività di sopralluogo ed ispezione
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ponteggi e precauzioni atte a eliminare i pericoli di caduta dei lavoratori

effettuate dai carabinieri e dall’ispettorato del lavoro, è emerso in modo
inconfutabile che il cantiere ove avvenne l’incidente era totalmente privo delle
minime garanzie di sicurezza, mancando il ponteggio di sicurezza, i parapetti, le
tavole ferma piedi e che questa carenza era riconducibile ad una «deliberata
scelta imprenditoriale di omissione dei presidi antinfortunistici con la piena
consapevolezza del rischio causato».
La circostanza che i lavori fossero stati assegnati in subappalto ad altra
ditta, non esonera il committente dalle responsabilità derivanti dall’omissione

punto di elemento soggettivo.
Devesi in proposito rilevare che l’art. 437 cod. pen. non specifica le misure
di prevenzione che sono obbligatorie ma implicitamente rinvia, mediante il
richiamo a condotte di tipo omissivo, alle disposizioni della legislazione
antinfortunistica, sempre che quest’ultima riguardi

«apparecchi, impianti e

segnali». Pertanto, diversamente dalla ipotesi commissiva, dove soggetto attivo
del reato può essere chiunque, la forma omissiva riguarda esclusivamente i
soggetti investiti dagli obblighi di collocare impianti, apparecchi e segnali diretti a
prevenire infortuni sul lavoro.
Tra questi ultimi, in caso di subappalto, non vi è dubbio che debba
annoverarsi anche l’appaltatore-subcommittente.
Le relative censure mosse dal ricorrente mirano a contestare non già la
mancata predisposizione delle cautele, ma l’imputabilità di tale omissione e in
tale prospettiva non hanno la benché minima consistenza alla luce della pacifica
giurisprudenza di questa Corte che individua – nella materia antinfortunistica nell’imprenditore che si avvalga di lavoratori in regime di subappalto ovvero di
lavoratori anche autonomi che poi provvede ad inserire nell’organizzazione
aziendale, il soggetto responsabile della sicurezza (vds. tra le tante, Sez. 3, n.
28902 del 24/01/2013, Capelli, Rv. 255834; Sez. 4, n. 978 del 21/11/1989 dep. 26/01/1990, Togni, Rv. 183133; Sez. 4, n. 8321 del 07/10/1980 – dep.
24/09/1981, Ghilardi, Rv. 150220; Sez. n. 14429 del 05/07/1990, Travaglini,
Rv. 185667).
Sul piano dell’elemento soggettivo, tali considerazioni si risolvono nella
allegazione di una ignorantia legis che, come noto, non esclude il dolo ex art. 5
cod. pen. in relazione alla sentenza della Corte Cost. n. 364 del 1988, in quanto
non si versa in tal caso in una ipotesi di ignoranza inevitabile della legge penale
essendo noto il disvalore sociale della condotta.
2.2. Quanto poi alle attenuanti generiche, non sussiste il vizio di carenza
motivazionale dedotto il ricorso, avendo la corte d’appello espressamente
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delle cautele predette, né di per sé vale a infirmare la riferita motivazione in

affrontato la questione posta dall’appellante, ribadendo il giudizio di non
meritevolezza delle attenuanti generiche, con motivazione chiaramente mutuata
dalle stesse considerazioni svolte in punto di responsabilità e dunque
indirettamente ma chiaramente riferibile alla gravità del reato.
In proposito per altre appena il caso di rammentare che in tema di
valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche,
ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria
della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza

del 04/07/2003, Dell’Anna, Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo “si ritiene
congrua” v. Sez. 6 , n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583), ma afferma
anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze
aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod.
pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o
ragionamento illogico (Sez. 3, n. 26908 del 22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298).
Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche – e a maggior
ragione la misura della diminuzione che si ritiene per essere dover operare – è un
giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di
legittimità, tanto che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze
attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi
indicati dall’art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o
meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente
alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione
di esso può essere sufficiente in tal senso» (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011,
Sermone, Rv. 249163).
Parimenti, con specifico riferimento alla dosimetria della pena, trovasi
condivisibilmente precisato che «la determinazione della misura della pena tra il
minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di
merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli
elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. Anzi, non è neppure necessaria una
specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in
una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale» (Sez. 4, n. 41702 del
20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel
caso in esame, la quantificazione della pena ovvero il diniego delle attenuanti
generiche siano frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si
espongano a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo

come

detto – sia pure sinteticamente ma specificamente motivato sul punto è tenuto
conto che del resto la pena finale inflitta si mantiene comunque nella fascia
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di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, n. 36382

medio bassa rispetto alla pena edittale.
Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso e la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle
ammende, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.
Così deciso 30/01/2014

spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della cassa delle

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