Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9320 del 10/12/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9320 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
1.DE MARTINO SANTOLO

n. Il 22.10.1983

2.NATALE MARIANNA

n. il 08.12.1979

avverso la sentenza n. 3607/2012 della Corte d’appello di Napoli del
10.07.2012
Visti gli atti, la sentenza ed i ricorsi
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 10 dicembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Aldo Policastro che
ha concluso per l’inammissibilità di entrambi i ricorsi.

Data Udienza: 10/12/2013

RITENUTO IN FATTO
DI MARTINO Santolo e NATALE Marianna ricorrono per cassazione avverso la
sentenza, in epigrafe indicata, della Corte d’appello di Napoli di conferma della
sentenza del locale Tribunale – sezione distaccata di Afragola – del 10.11.2011
in ordine al delitto di cui agli artt.110 cod. pen. ed art. 73 d.P.R. 309/1990.
Il DI MARTINO, con l’unico motivo, denuncia violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui al V
comma dell’art. 73 d.P.R. 309/90.

detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente con il marito convivente DI
Martino Santolo, evidenziando che il tentativo, posto in essere dall’imputata, di
disfarsi della sostanza stupefacente non può e non deve essere ritenuto indice
esclusivo della partecipazione nel reato, né, tanto meno tale valenza può essere
attribuita all’ulteriore circostanza del posizionamento di essa NATALE in
prossimità del piano cottura della cucina e del lavandino, ove fu rinvenuta parte
della sostanza stupefacente ed alcuni strumenti per il confezionamento delle
dosi.
RITENUTO IN DIRITTO
I motivi esposti si risolvono in una rilettura delle acquisizioni probatorie, non
consentita in sede di legittimità, e determinano la dichiarazione di inammissibilità
dei ricorsi.
La censura del DI MARTINO è manifestamente infondata perché in contrasto con
il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la circostanza
attenuante speciale del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. 9 ottobre 1990, n.
309, art. 73, comma 5, può essere riconosciuta soltanto nell’ipotesi di minima
offensività penale della condotta, da escludersi nel caso di specie in
considerazione. dei quantitativi non modici di hashish. Il dato quantitativo
assume valore preclusivo quando è preponderante (cfr. Cass. S.U. 21 settembre
2000, Primavera, RV 216667, secondo cui la circostanza in esame può essere
riconosciuta soltanto in ipotesi di minima offensività penale della condotta,
deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri
richiamati dalla disposizione – mezzi, modalità, circostanze dell’azione – con la
conseguenza che ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla
legge, diviene irrilevante l’eventuale presenza degli altri, e, più specificamente,
Cass. 6, 2 aprile 2003, Armenti, RV 225414). La Corte del merito ha, inoltre,
evidenziato che l’esclusione della attenuante invocata è stata determinata anche
dalle modalità del fatto che si presentano particolarmente allarmanti e

La NATALE denuncia vizio di motivazione in ordine al ritenuto concorso nella

significative di un’attività di spaccio svolta in modo stabile, sia pure sulla base di
un’organizzazione rudimentale.
La censura della NATALE è manifestamente infondata in punto di diritto in
riferimento alla configurazione del concorso nel reato per gli elementi di prova
acquisiti valutati correttamente dai giudici del merito.
In particolare, si è evidenziato che

quando i poliziotti fecero irruzione

nell’abitazione dei coniugi DI MARTINO-NATALE, trovarono, sulla destra, vicino al
piano della cucina il DI MARTINO che stava confezionando della marijuana

L’imputata si trovava tra il bilancino ed il marito e veniva scorta dai verbalizzanti
nel mentre tentava di gettare qualcosa nel lavandino, ove poi venivano rinvenute
alcune confezioni di stupefacente. Nel frangente erano presenti anche altre
persone, Natale Michelina, sorella della Marianna ed il marito Onorato Antonio,
seduti su un divano.
Alla stregua di tali evidenziate considerazioni, appare improntata alle corrette
regole della logica la deduzione dei giudici del merito, che tali circostanze
implicano il contributo della ricorrente, quanto meno nel tentativo di
occultamento dello stupefacente. E giova al riguardo considerare che il concorso
di persone nel reato ben può esplicarsi in un supporto causalmente efficiente,
sotto il profilo materiale o morale, anche di carattere estemporaneo, senza che
occorra un previo concerto, cioè un preventivo accordo di intenti, diretto alla
causazione dell’evento (così Cass., Sez. I, 27.1.1996, n. 821); l’aiuto
consapevolmente prestato a soggetto che perseveri attualmente nella condotta
costitutiva di un reato permanente dà luogo generalmente a concorso in tale
reato e non a favoreggiamento, a meno che detto aiuto, per le caratteristiche e
per le modalità pratiche con le quali viene attuato, non possa in alcun modo
tradursi in un sostegno o incoraggiamento dell’altro nella protrazione della
condotta criminosa, ma, al contrario, costituisca soltanto una facilitazione alla
cessazione di essa, sia pure al fine di tentare di ottenere l’impunità (così Cass.,
Sez. VI, 17.8.1995, n. 79); in caso di detenzione di sostanze stupefacenti, reato
a condotta permanente, qualunque agevolazione del colpevole si risolve
inevitabilmente in un concorso, quanto meno morale, con il colpevole stesso, e
non dà luogo alla configurazione del diverso reato di favoreggiamento (così
Cass., Sez. VI, 2.7.1994, n. 7518). Anche l’aiuto prestato nell’agevolare la
detenzione della sostanza stupefacente costituisce apporto concorsuale nel reato
in questione; per altro verso tale attività esula dai limiti di un comportamento
meramente passivo, nel quale si concretizza la connivenza non punibile.

inserendola in pacchettini di plastica, dopo averla pesata con un bilancino.

Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e di ciascuno della somma di € 1.000,00 in
favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno a quello della soma di € 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.

Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 10 dicembre 2013.

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