Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9316 del 14/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9316 Anno 2014
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO
Relatore: D’ISA CLAUDIO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
D’AMICO ALBERTO

N. il 15.06.1971

avverso la sentenza n. 2421/12 della Corte d’appello di Salerno del
15.11.2012.
Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso
Udita in PUBBLICA UDIENZA del 14 novembre 2013 la relazione fatta
dal Consigliere dott. CLAUDIO D’ISA
Udito il Procuratore Generale nella persona del dott. Aldo Policastro che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

L’avv. Roberto Lanzi, difensore di fiducia, chiede l’accoglimento del
ricorso.

Data Udienza: 14/11/2013

RITENUTO IN FATTO
D’AMICO Alberto ricorre per cassazione avverso la sentenza, in epigrafe
indicata, della Corte d’Appello di Salerno di conferma della sentenza di
condanna emessa, a seguito di giudizio abbreviato, il 10-07.2007 nei suoi
confronti dal GIP del Tribunale di Nocera Inferiore in ordine al delitto di cui
all’art. 73 d.P.R. 309/90.
Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in riferimento alla

spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta in possesso del ricorrente anziché
quella dell’uso personale.
Con il secondo motivo si eccepisce violazione del diritto di difesa per non essere
stata disposta una congrua data di rinvio a seguito dell’accoglimento della
richiesta di legittimo impedimento dell’imputato, sicchè il D’Amico non ha
potuto, essendo sottoposto all’affidamento in prova al servizio sociale ed alla
Sorveglianza speciale, chiedere tempestivamente al Tribunale di Sorveglianza
l’autorizzazione a partecipare all’udienza.
RITENUTO IN DIRITTO
I motivi posti a base del ricorso sono manifestamente infondati.
La valutazione in ordine alla destinazione della droga (se al fine dell’uso
personale o della cessione a terzi), ogniqualvolta la condotta non appaia
indicare l’immediatezza del consumo, è effettuata dal giudice di merito secondo
parametri di apprezzamento sindacabili nel giudizio di legittimità soltanto sotto
il profilalo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione (v. per
tutte Cass. 6, 19 aprile 2000, D’Incontro, RV 216315).
Ciò premesso, il primo motivo del ricorso è manifestamente infondato, oltre che
genericamente prospettato.
Da un lato, invero, la Corte territoriale ha dimostrato l’illegalità della detenzione
con argomentazioni adeguate ed immuni da vizi logici, confutando le
affermazioni difensive e richiamandosi in particolare, in adesione ad indirizzi
interpretativi costanti (cfr. ex plurimis Cass. 4, 4 giugno 2004, Vidonis, RV
229686), alla circostanza che il D’AMICO detenesse un quantitativo di sostanza
stupefacente, tipo cocaina, pari a 136 dosi medie singole esorbitanti
dall’asserito uso personale e, in ogni caso, dalle sue possibilità economiche,
tanto più che non risultavano prodotti elementi attestanti lo stato di
tossicodipendenza dell’imputato.
Come si è detto, il motivo è, inoltre, privo di specificità, risolvendosi nella
semplice enunciazione del dissenso del deducente rispetto all’interpretazione
dei dati probatori.

disposizione di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90 per essere stata ritenuta l’ipotesi di

E il requisito della specificità dei motivi implica non soltanto l’onere di dedurre
le censure che la parte intenda muovere in relazione ad uno o più punti
determinati della decisione, ma anche quello di indicare, in modo chiaro e
preciso, gli elementi che sono alla base delle censure medesime, al fine di
consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed
esercitare il proprio sindacato (cfr. ex plurimis Cass. 5, 21 aprile 1999, Macis,
RV 213812; Cass. 6, 1 dicembre 1993, p.m. in c. Marongiu, RV 197180;Cass.

osservato l’insegnamento giurisprudenziale secondo cui non può farsi carico
all’imputato dell’obbligo di provare la destinazione al solo uso personale della
sostanza stupefacente posseduta, ma, rappresentando la destinazione allo
spaccio un elemento costitutivo della fattispecie, tale specifica finalità della
illecita detenzione deve essere provata dalla pubblica accusa (cfr. tra le altre
Cass. 6, 19 giugno 2003, Pezzella, RV 226276).
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato avendo la Corte d’Appello nel
disporre il rinvio del processo per legittimo impedimento dell’imputato fissata
un ulteriore udienza in tempo più che congruo onde consentire all’imputato di
munirsi della richiesta autorizzazione al Magistrato di sorveglianza per
partecipare all’udienza.
All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al paNento
delle spese processuale ed al pagamento della somma di C 1000,00 in favore
della Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della soma di E 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma alla pubblica udienza del 14 novembre 2013.

4, 1 aprile 2004, Distante, RV 228586),In ogni caso, il giudice di merito ha

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