Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9314 del 19/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9314 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

Data Udienza: 19/02/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ATTIANESE SALVATORE N. IL 30/11/1966
avverso l’ordinanza n. 881/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
SALERNO, del 22/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONCA BONI;
lettehseet” le conclusioni del PG Dott. Ahicd,_
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Rilevato in fatto
1.Con ordinanza deliberata in data 22 maggio 2013 il Tribunale di Sorveglianza
di Salerno disponeva la revoca nei confronti di Salvatore Attianese della misura
alternativa alla detenzione dell’affidamento in prova al servizio sociale, in quanto il
condannato era stato tratto in arresto in data 20/4/2013 per il delitto di cui all’art.
73 d.p.r. 309/90 e quindi sottoposto a misura cautelare custodiale, fatto di tale
gravità da imporre la revoca “ex tunc” della misura già accordatagli.

cassazione l’interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto dell’art. 47 legge
n. 354/75: il Tribunale di Sorveglianza aveva revocato l’affidamento in prova senza
procedere ad una valutazione dell’effettiva gravità della violazione e del
comportamento tenuto durante l’esecuzione, protrattasi per un anno e sette mesi in
assenza di qualsiasi infrazione, con ciò ponendosi in contrasto con l’interpretazione
dell’istituto offerta dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 343/1987. Inoltre,
era mancata la considerazione della condotta complessiva tenuta dal ricorrente per
trarne elementi positivi indicativi dell’evoluzione della sua personalità verso modelli
di vita socialmente corretti, delle limitazioni imposte alla libertà di movimento e
della prossimità ad esaurimento della misura.
3.Con la requisitoria scritta depositata il 22 ottobre 2013 il Procuratore
Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Nicola Lettieri, ha chiesto il rigetto del
ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è parzialmente fondato e va dunque accolto nei limiti in seguito
specificati.
1.E’ noto che con la pronuncia nr. 343 del 1987 la Corte Costituzionale, nel
dichiarare l’illegittimità costituzionale del decimo comma dell’art. 47 della legge 26
luglio 1975, n. 354 nella parte in cui, in caso di revoca del provvedimento di
ammissione all’affidamento in prova per comportamento incompatibile con la
prosecuzione della prova, non stabilisce gli effetti conseguenti, ha affermato che il
Tribunale di sorveglianza, una volta disposta la revoca della misura alternativa,
deve procedere a determinare la residua pena detentiva ancora da espiare sulla
scorta di una valutazione discrezionale, da condurre in considerazione della durata
delle limitazioni patite dal condannato e del comportamento tenuto durante l’intero
corso dell’esperimento. La Consulta, effettuata la ricognizione dei contrapposti
orientamenti dottrinali e giurisprudenziali sulle conseguenze della revoca della
1

2. Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per

misura, ha rilevato l’incongruenza delle posizioni sino ad allora affermatesi; in
particolare, ha espresso dissenso per la tesi maggioritaria che, assegnando
all’affidamento in prova una funzione essenzialmente rieducativa, riteneva che la
revoca per il fallimento dell’esperimento avesse effetto retroattivo e determinasse il
ripristino dell’originario rapporto punitivo, in quanto non teneva conto del contenuto
sanzionatorio delle prescrizioni inerenti la misura, limitative della libertà personali e
quindi necessariamente oggetto di valutazione in sede di revoca per stabilire quanto
debba ancora essere espiato, per cui il non tenerne conto si poneva in contrasto col

equiparazione dell’affidamento in prova all’espiazione della pena quale sua modalità
esecutiva, nel ritenere che il periodo scontato dovesse in ogni caso essere
scomputato per intero dalla pena residua, avrebbe finito per introdurre ingiustificate
parificazioni di trattamento tra la diversa situazione di coloro che avessero violato le
leggi o le regole imposte sin dall’inizio e quanti vi fossero incorsi nel periodo
conclusivo dell’esperimento. In tal modo si sarebbe eliminata la natura
sanzionatoria e l’efficacia preventiva della revoca, con la conseguente
disincentivazione a mantenere una condotta regolare in contrasto con la funzione
rieducativa della misura.
La Corte Costituzione ha però omesso di prendere posizione in favore di una,
piuttosto che dell’altra delle opinioni in conflitto, ma ha posto l’accento sulla
variabilità delle situazioni individuali di trasgressione delle norme di legge o delle
prescrizioni inerenti la misura, per cui, nell’assenza di una definizione normativa di
“comportamento incompatibile con la prosecuzione della prova”, secondo la dizione
letterale dell’art. 47 ord. pen., causa di revoca, ha ritenuto necessario che il relativo
provvedimento fosse preceduto da un diversificato apprezzamento del
comportamento e della violazione in relazione all’incisività delle regole imposte ed
infrante. La consapevolezza dell’esistenza di una “zona grigia”, ossia intermedia tra
la condotta trasgressiva sin dall’inizio della sottoposizione alla misura e quella
diligentemente rispettosa sino a quasi la conclusione del periodo di espiazione, cui
soltanto all’ultimo segua una violazione determinante la revoca, nonché il richiamo
ai principi di proporzionalità ed individualizzazione della pena, ha giustificato la
soluzione prescelta di affidare al giudizio del Tribunale di Sorveglianza il compito di
stabilire, caso per caso, la durata della residua pena detentiva da scontare in
ragione “sia del periodo di prova trascorso dal condannato nell’osservanza delle
prescrizioni imposte e del concreto carico di queste, sia della gravità oggettiva e
soggettiva del comportamento che ha dato luogo alla revoca” (C.C. sent. n. 343 del
29/10/1987).
1.1 Ebbene, nel caso specifico il Tribunale si è limitato a giustificare la
decisione di revoca della misura per la gravità della violazione e le modalità della
2

disposto dell’art. 13 Cost.. Del pari, anche quella minoritaria, basata sulla

sua commissione. Ha però omesso, perché la motivazione dell’ordinanza impugnata
non ne offre riscontro, l’analisi complessiva dei comportamenti tenuti dall’Attianese
nel corso dell’esperimento e la verifica circa la natura e l’incidenza limitativa delle
prescrizioni impostegli, nonostante le stesse dal momento in cui egli aveva perduto
l’opportunità lavorativa avessero comportato un obbligo di permanenza presso
l’abitazione in orario diurno protratto e circa la durata del periodo di espiazione
mediante misura alternativa in assenza di violazioni. Né tali valutazioni, per la
carenza di informazioni esplicative, possono ritenersi implicitamente contenute

comportamento materiale trasgressivo accertato, per il quale egli è stato tratto in
arresto e sottoposto a misura cautelare custodiale. Non è dato nemmeno
comprendere, rispetto alla pena in esecuzione, in quale momento sia intervenuta la
violazione, causa di revoca, e quale valenza negativa rivesta il suo compimento
rispetto al processo di rieducazione in corso. Deve dunque concludersi che la
decisione di revoca con effetto retroattivo è rimasta priva di giustificazione.
L’ordinanza impugnata, pertanto, che ha omesso completamente di motivare in
ordine alla decorrenza della revoca deve essere annullata con rinvio limitatamente
a tale omessa statuizione.
1.2 Né può accedersi all’interpretazione, proposta dal Procuratore Generale
nella sua requisitoria, che attribuisce al provvedimento in verifica contenuti
esplicativi in realtà assenti, richiamando le argomentazioni di precedente decisione
di questa Corte (Cass. sez. 1, n. 29343 del 13/06/2001, Modaffari, rv. 219477; in
termini analoghi anche sez. 1, n. 18880 del 14/02/2001, Bennardo, rv. 2189175ez.
1, n. 2667 del 18/10/2011, Zangara, rv. 251844).
Questo Collegio è ben consapevole che il comportamento tenuto dal
condannato nel corso della prova può rivelare il sostanziale fallimento e l’inutilità a
fini risocializzanti dell’esperienza della misura alternativa sin dal suo inizio, ma il
provvedimento che determini la pena residua deve chiaramente offrire indicazioni in
tal senso, che nell’ordinanza in esame sono assenti, come fondatamente rilevato
nel ricorso, che non si addentra ad esprimere considerazioni in punto di fatto o a
proporre diverse massime di esperienza rispetto a quelle utilizzate dal Tribunale,
ma a rilevare la carenza di motivazione.
Per le considerazioni svolte l’ordinanza va annullata parzialmente quanto alla
determinazione della pena residua da espiare con rinvio per nuovo esame al
Tribunale di Sorveglianza di Salerno, che si atterrà ai principi ed ai rilievi sopra
svolti.
P. Q. M.

3

nell’accenno alla “particolare gravità” del fatto illecito, seguita dalla descrizione del

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla decorrenza della revoca della
misura alternativa e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Sorveglianza
di Salerno.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2014.

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