Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9310 del 19/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9310 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALATI FRANCESCO N. IL 16/01/1982
avverso il decreto n. 43/2012 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 13/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI; (l
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. CcifutA
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Uditi di nsor Avv.;

Data Udienza: 19/02/2014

Ritenuto in fatto
1. Con decreto pronunciato in data 13 dicembre 2012 la Corte di Appello di Reggio
Calabria confermava il decreto del locale Tribunale, emesso il 3 maggio 2011, col quale era
stata applicata nei confronti di Francesco Alati la misura di prevenzione della sorveglianza
speciale di P.S. con obbligo di soggiorno per anni due ed il versamento di una cauzione pari ad
euro 2.000,00.

connotato da pericolosità qualificata alla stregua delle risultanze del procedimento penale c.d.
Eremo 2008, nel cui ambito egli era stato condannato con sentenza di secondo grado per
partecipazione ad associazione a delinquere, finalizzata al traffico di stupefacenti e per singole
condotte di acquisto e cessione di sostanze di tale natura, pericolosità ritenuta attuale in
relazione alla mancata dimostrazione del recesso personale dell’Alati dall’associazione o della
disgregazione di tale sodalizio, non essendo vincolante la delimitazione temporale della
condotta partecipativa all’11/3/2006, operata dal G.U.P. nella sentenza di condanna di primo
grado, indicazione valevole soltanto ai fini del giudizio penale, posto che il sodalizio aveva
mostrato capacità criminale sino a tempi immediatamente precedenti la sottoposizione dei
suoi esponenti a misura cautelare custodiale, marzo 2010, aveva intrattenuto rapporti con
esponenti della ndrangheta reggina, ionica ed aspro-montana ed il proposto vi aveva rivestito
il ruolo di “longa manus” del capo dell’organizzazione, Antonino Giuffrè, sulla piazza di spaccio
attiva nella città di Messina.
2.Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l’interessato a mezzo
del suo difensore, il quale ha lamentato violazione di legge in relazione al disposto degli artt. 1
e 2 legge n. 1423/56 e 2 legge n. 575/65: la Corte di Appello aveva aderito alle statuizioni ed
argomentazioni del Tribunale, incorrendo nel medesimo erroneo giudizio per avere affermato
l’attualità della pericolosità sociale del proposto sulla scorta di condotte materiali esauritesi nel
periodo 2005-2006 ed oggetto di accertamento nel separato procedimento penale, senza aver
condotto alcuna autonoma valutazione degli elementi probatori ed anzi sulla scorta di una
traslazione alla sua posizione di emergenze riguardanti altri soggetti, come quando ha
riportato il passaggio della sentenza di appello relativo all’approvvigionamento di sostanza
stupefacente dal territorio aspromontano, mentre allo stesso era addebitato di avere operato
nel territorio messinese. Inoltre, il collegio di appello ha fondato il giudizio di attuale
pericolosità sociale dal rilievo della mancata dissociazione del proposto dal sodalizio di
appartenenza, di cui ha ritenuto protratta l’attività sino al 2010, nonostante la decisione nel
processo penale avesse fissato la cessazione della permanente consumazione del delitto
associativo al marzo 2006.
3. Con requisitoria scritta depositata il 14 ottobre 2013 il Procuratore Generale presso la
Corte di Cassazione, dr. Carmine Stabile, ha chiesto il rigetto del ricorso.

1

1.1 A fondamento della decisione la Corte di merito rilevava che il proposto era soggetto

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.
1.Va premesso che, per effetto della disciplina stabilita dalla legge 27 dicembre 1956, n.
1423, art. 4, comma 11, il decreto con il quale la Corte di Appello decide in ordine al gravame
proposto dalle parti avverso il provvedimento del Tribunale applicativo della misura di
prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza (art. 3 della legge citata) è

compreso, per consolidata lezione interpretativa di questa Corte, quello della motivazione del
tutto omessa, ovvero apparente. Il sindacato su tali provvedimenti così circoscritto,
riconosciuto come non irragionevole dalla Corte Costituzionale (sent. n. 321/2004), non si
estende quindi all’adeguatezza e coerenza logica del percorso giustificativo del provvedimento
impugnato.
1.1 Inoltre, il procedimento valutativo tipico del giudizio di prevenzione, funzionale ad un
giudizio prognostico avente ad oggetto la probabilità della futura commissione di reati, verte
sulla pericolosità sociale del soggetto, che per dar luogo alla sottoposizione alla misura deve
essere concreta, attuale e specifica rispetto al momento della decisione e desumibile da
specifici comportamenti (Corte Cost., 12/11/1987; Cass., sez. V, n. 34150 del 22/09/2006,
Commisso, rv. 235203; Cass. S.U., n. 6 del 25/03/1996, Tumminelli, rv. 194063; sez. 6 n.
38471 del 13/10/2010 Barone, 248797), per la cui ricostruzione il giudice di merito è
legittimato a servirsi di elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, anche se
non ancora esauritisi, e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche
indipendentemente dalla natura delle statuizioni conclusive in ordine all’accertamento della
penale responsabilità dell’imputato. Tale potestà incontra due limiti: a) il giudizio deve essere
fondato su elementi certi, sottoposti a puntuale disamina critica per affermarne la refluenza
sul giudizio di pericolosità sulla base di un ragionamento immune da vizi logici; b) gli indizi dai
quali desumere la pericolosità sociale non debbono avere i caratteri di gravità, precisione e
concordanza, richiesti dall’art. 192 c.p.p. soltanto per il giudizio di responsabilità nel
procedimento di cognizione (Cass., sez. VI, n. 16030 del 18/12/2008; sez. 1, n. 6613 del
17/01/2008 n. 6613, Carvelli e altri, rv. 239358; sez. 1 n. 20160 del 29/04/2011, Bagalà, rv.
250278).
1.2 Va poi ricordata la piena autonomia per struttura e finalità dei due procedimenti,
quello penale per l’accertamento della responsabilità in ordine ad una fattispecie di reato, e
quello di prevenzione, ancorato ad una valutazione di pericolosità, espressa mediante condotte
che non necessariamente costituiscono reato, con la conseguente esclusione di un rapporto di
pregiudizialità del primo rispetto al secondo e della reciproca indipendenza nell’apprezzamento
del materiale indiziario con l’obbligo di indicare nella motivazione del decreto applicativo della
misura le ragioni delle valutazioni condotte.

2

4-

ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge, vizio quest’ultimo nel quale è

2. Ciò premesso, la considerazione del ricorso alla luce dei superiori principi induce in
primo luogo ad escludere che il decreto impugnato sia affetto da violazione di legge per totale
carenza o apparenza della motivazione, perché, al contrario, illustra in modo compiuto, chiaro
e comprensibile, oltre che aderente ai motivi d’appello proposti, le ragioni di confutazione di
tali censure.
2.1 Non risulta nemmeno che la motivazione sia meramente apparente per elusione dei
temi proposti con l’impugnazione del proposto, dal momento che analizza specifici elementi

pericolosità: a tale fine ha preso in esame le vicende oggetto di contestazione nel
procedimento penale, denominato “Eremo 2008”, che, seppur non ancora conclusosi con
sentenza di condanna irrevocabile, ha attestato lo stabile inserimento dell’Alati in
un’organizzazione dedita al traffico di droga, operante grazie ai contatti illeciti ed ai rapporti di
fornitura con le cosche di ‘ndrangheta del reggino, della zona ionica ed aspromontana, nonché
il suo ruolo di stretto collaboratore del capo del sodalizio, Antonino Giuffrè e l’assegnazione del
compito di curare gli interessi associativi sulla piazza di spaccio di Messina, oltre che il
compimento di specifiche condotte esecutive del programma criminoso, aventi ad oggetto
sostanze varie quali eroina, cocaina e marijuana, commesse in Reggio Calabria ed in Messina.
2.2 La Corte distrettuale ha quindi affrontato anche lo specifico tema dell’attualità della
pericolosità sociale del proposto alla luce delle obiezioni difensive, che ha risolto sulla base
della considerazione della natura e delle caratteristiche operative dell’associazione, dei legami
di cooperazione con le cosche ‘ndranghetistiche, storicamente dedite al traffico all’ingrosso di
stupefacenti, del fatto che di tali contatti e relazioni anche l’Alati, per il tramite del Giuffrè, era
stato partecipe e comunque consapevole e se n’era giovato per l’espletamento della propria
attività criminosa. Non può quindi condurre all’accoglimento del ricorso la censura, secondo la
quale il passaggio della motivazione del decreto in verifica, riguardante l’approvvigionamento
dello stupefacente, sarebbe stato oggetto di equivoco perché non riferito alla sua posizione,
dal momento che quel riferimento è stato operato per inquadrare il contesto di commissione
dei reati e desumerne il livello di pericolosità.
2.3 D decreto in esame ha quindi offerto puntuale applicazione del noto principio
interpretativo, secondo il quale, in tema di misure di prevenzione, applicabili ex L. n. 575 del
1965, l’appartenenza ad un’associazione per delinquere di tipo mafioso, oppure dedita allo
spaccio di stupefacenti, per la sua natura stabile e destinata a protrarsi nel tempo, consente di
ritenere implicita una latente e permanente pericolosità del soggetto intraneo per effetto di
una sorta di presunzione relativa di pericolosità, sicchè per poterne affermare la cessazione
non è sufficiente il mero decorso del tempo, ma si deve acquisire prova certa e rigorosa del
recesso del proposto dal sodalizio criminoso o della disintegrazione del sodalizio, in difetto
della quale non è richiesta una specifica motivazione sulla attualità della pericolosità (Cass.
sez. 2, n. 3809 del 15/01/2013, Castello e altri, rv. 254512; Sez. 2, n. 44326 del 11/10/2005

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fattuali, ritenuti sintomatici, in termini di concretezza ed attualità, di allarme sociale e

Metastasio ed altri, rv. 232779; sez. 2, n. 29478 del 05/07/2013, Badalamenti e altro, rv.
256178; sez. 6, n. 499 del 21/11/2008, Conversano, rv. 242379).
2.4 Ebbene, in senso contrario non vale sostenere che nel parallelo giudizio penale il
G.U.P. con la sentenza di primo grado ha accertato la cessazione della consumazione del
delitto associativo, contestato al capo D), al marzo 2006, dal momento che tale statuizione, di
cui non si conosce l’eventuale irrevocabilità, non consente di comprendere se ciò sia dipeso da
una carenza di elementi dimostrativi della protrazione dell’esistenza e dell’operatività del

In ogni caso, l’apprezzamento di tale determinazione è già stata condotta dalla Corte di merito
la quale ne ha affermato l’insufficienza dimostrativa di una definitiva cessazione della
pericolosità, stante le caratteristiche dell’associazione ed il suolo che vi aveva rivestito l’Alati.
Ebbene, anche qualora la considerazione di tali profili fattuali fosse oggetto di erronea
determinazione da parte della Corte di Appello, ciò potrebbe dar luogo a carenze logiche o
argomentative della motivazione sul punto dell’attualità del giudizio di pericolosità, di cui è
consapevole anche la difesa quando nel ricorso ha denunciato l’assenza di “giustificazione
soddisfacente”, quindi non persuasiva, ma non integrare la situazione di violazione di legge,
unico vizio deducibile col ricorso per cassazione.
Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2014.

sodalizio anche in epoca successiva, oppure dall’effettivo accertamento del suo scioglimento.

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