Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 931 del 11/01/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 931 Anno 2018
Presidente: DI STEFANO PIERLUIGI
Relatore: RICCIARELLI MASSIMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Yordanov Yordan Yuriev, nato il 04/02/1980 a Dupnitsa (Bulgaria)

avverso la sentenza emessa in data 5/12/2017 dalla Corte di appello di Milano

visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Massimo Ricciarelli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha
concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 5/12/2017 la Corte di appello di Milano ha disposto la
consegna di Yordanov Yordan Yuriev all’Autorità Giudiziaria della Bulgaria, in
esecuzione di mandato di arresto europeo del 1/12/2016 emesso per
l’esecuzione della pena della reclusione pari a mesi nove e giorni ventiquattro,
risultante da provvedimento -che la Corte territoriale ha indicato come sentenzadel 24/7/2015 del Tribunale di Kyustendil, con cui era stata convertita la residua

Data Udienza: 11/01/2018

parte della libertà vigilata applicata come da ordinanza del 25/7/2014 del
Tribunale di Dupnitsa.

2. Ha presentato ricorso Yordanov Yordan Yuriev tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 6, comma 4, lett. b),
legge 69 del 2005.
Non erano state trasmesse né le norme del codice penale bulgaro applicabili
in relazione al reato contestato né quelle relative alla commutazione della libertà

il controllo sulla corretta applicazione della pena.
2.2. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 18, comma 1, lett.
g) e h), legge 69 del 2005.
La pena era stata inflitta con ordinanza qualificata inappellabile, il che
contraddiceva la previsione che la sentenza irrevocabile debba essere emessa
all’esito di procedimento rispettoso anche del Prot. 7 alla Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, che statuisce il diritto al doppio grado di giurisdizione in
materia penale.
Inoltre l’ordinanza n. 370 del 24/7/2015 era stata emessa in violazione
dell’art. 18, comma 1, lett. h), legge 69 del 2005, in quanto era previsto che la
pena residua fosse espiata in regime carcerario severo, mentre non risultava
allegato il testo delle disposizioni di legge relative alle modalità di esecuzione
della pena e al regime definito severo, potendosi ipotizzare che le modalità di
espiazione siano inumane o degradanti.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 19, comma 1, lett. a),
legge 69 del 2005.
L’ordinanza n. 370 relativa alla conversione della pena era stata emessa in
assenza dell’imputato, cosicché erroneamente la Corte territoriale aveva omesso
di subordinare la consegna alla condizione che l’A.G. della Bulgaria fornisca
assicurazioni circa la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato di
emissione e di essere presente in giudizio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
In generale va rimarcato che «in tema di mandato di arresto europeo, la
mancata allegazione del “testo delle disposizioni di legge applicabili”, richiesta
dall’art. 6, comma quarto, lett. b), della L. 22 aprile 2005, n. 69, non costituisce
di per sé causa di rifiuto della consegna, trattandosi di documentazione
necessaria solo quando sorgano particolari problemi interpretativi la cui soluzione

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vigilata in pena detentiva e al ragguaglio tra le stesse, il che rendeva impossibile

necessiti della esatta cognizione della portata della norma straniera, come nel
caso della verifica della “doppia punibilità”» (Cass. Sez. 6, n. 17797 del
5/5/2011, Dragutinovic, rv. 250068).
Nel caso di specie peraltro lo stesso ricorrente dà atto che sono stati indicati
la norma violata, la pena massima irrogabile e i parametri utilizzati per la
conversione della libertà vigilata in pena detentiva, senza che ciò abbia formato
oggetto di doglianza specifica (sul punto deve richiamarsi l’ordinanza n. 370 del
Tribunale Regionale di Kyustendil in data 24/7/2015, nella quale sono richiamate

2. Relativamente al secondo motivo si impone un’analisi riferita a ciascuno
dei temi dedotti.
2.1. Quanto alla questione inerente al doppio grado di giurisdizione, va
rimarcato come, in base alla prospettazione del ricorrente, costui aveva
concordato con l’assistenza del difensore la pena da irrogarsi, indicata nella
libertà vigilata pari ad anni due mesi sei, comprendente la prestazione di lavoro
in favore della collettività per 320 ore.
L’assunto trova riscontro nel verbale n. 166 del 25/7/2014 relativo alla
decisione assunta dal Tribunale di Dupnitsa.
In concreto risulta essere stato fatto riferimento ad un istituto del codice di
rito bulgaro, avvicinabile all’applicazione di pena prevista dall’art. 444 del codice
di procedura penale italiano e specificamente disciplinato dagli artt. 381 e 382
del codice di procedura bulgaro, in forza del quale l’imputato, assistito dal
difensore, riconoscendo la propria colpevolezza, concorda la pena, che viene poi
irrogata, previa verifica della legittimità dell’accordo e della consapevolezza da
parte dell’imputato circa le sue conseguenze, con provvedimento definitivo.
In tale prospettiva va rimarcato come in relazione al tema del doppio grado
di giurisdizione la Corte di Strasburgo abbia ritenuto che la decisione emessa
nell’ambito del patteggiamento, implicante rinuncia consapevole alle restanti
garanzie, faccia apparire ragionevole la mancata previsione della possibilità di
ricorrere ad un giudice superiore, trattandosi di ipotesi diversa da quella basata
su condanna emessa all’esito di giudizio ordinario (Corte E.D.U. Natsylishvili
contro Georgia del 29/4/2014).
Poiché la struttura dell’accordo sulla cui base è stata emessa la decisione da
parte dell’A.G. della Bulgaria corrisponde nella sostanza a quella del
patteggiamento esaminato dalla Corte di Strasburgo, ben può dirsi che non
ricorra alcun vulnus agli effetti dell’art. 18, comma 1, lett. g), legge 69 del 2005.
Su tali basi il motivo di ricorso deve essere ritenuto per questa parte
infondato.

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le norme applicate ed è esplicitato il preciso criterio di ragguaglio).

2.2. Quanto invece all’ulteriore profilo, coinvolgente il motivo di rifiuto di cui
all’art. 18, comma 1, lett. h), legge 69 del 2005, deve rilevarsi come a seguito
della commutazione della pena sia stata in concreto irrogata la pena della
reclusione e sia stato previsto un regime iniziale definito severo, in quanto il
reato era stato commesso nella fase di osservazione correlata ad un reato
precedente.
A tale stregua la Corte territoriale avrebbe dovuto porsi il problema del
concreto rischio di sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti, derivanti

Per quanto il tema sia stato dedotto, per giunta in termini generici, solo in
questa sede, a fronte di un onere di allegazione che in via generale grava sulla
parte interessata, deve nondimeno rilevarsi che la questione trova il suo
fondamento in dati conoscitivi ineludibili, che devono dunque formare oggetto di
analisi e di verifica, quale primaria garanzia posta dalla disciplina dettata in
materia di mandato di arresto europeo (sul punto si rinvia specificamente a
Cass. Sez. 6, n. 8529 del 13/1/2017, Fodorean, rv. 269201, nonché
analogamente a Cass. Sez. 6, n. 51067 del 7/11/2017, Mihai, non mass.).
Va infatti rimarcato che nei confronti della Bulgaria la Corte di Straburgo ha
pronunciato una sentenza c.d. pilota (Neshkov contro Bulgaria del 27/1/2015),
con la quale ha assegnato un termine di diciotto mesi per l’adozione di misure
volte a risolvere il problema strutturale degli istituti carcerari, derivante da
sovraffollamento e indisponibilità di spazio vitale e inadeguatezza delle condizioni
igieniche e di vivibilità.
D’altro canto, dopo che una prima analisi degli organi competenti non aveva
condotto ad un giudizio pienamente soddisfacente, non risulta ancora pubblicato
il rapporto riguardante l’esito della più recente verifica effettuata dal CPT nei
mesi di settembre e ottobre 2017, cosicchè non si dispone di fonti conoscitive
certamente rassicuranti.
A tale stregua, posto che condizioni carcerarie inadeguate danno luogo a
trattamenti inumani o degradanti e costituiscono dunque potenziale motivo di
rifiuto della consegna, occorre che lo Stato che ha emesso il M.A.E. indichi lo
specifico trattamento penitenziario cui sottoporrà il consegnando, assicurando il
necessario spazio vitale e idonee condizioni di vivibilità, da valutarsi in relazione
al complessivo regime penitenziario previsto, fermo restando che le dimensioni
della cella devono assicurare quanto specificamente previsto nella più recente
sentenza della Corte di Strasburgo, Mursic contro Croazia del 20/10/2016.
Sulla scorta degli elementi che precedono la Corte territoriale, come di
recente ritenuto in un caso analogo (Cass. Sez. 6, n. 52236 del 10/11/2017,
Gramatikov, non mass.), avrebbe dovuto applicare i principi enucleati dalla

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dalle condizioni degli istituti penitenziari bulgari.

sentenza del 5/4/2016, in causa Aranjosi, della Corte di Giustizia dell’Unione
europea, nei termini attuativi delineati dalla sentenza della Corte di cassazione,
sez. 6, n. 23277 del 1/6/2016, Barbu, rv. 267296, rivolgendo all’A.G. dello Stato
di emissione mirate e specifiche richieste di informazioni, volte a verificare lo
stato detentivo cui sarebbe stato concretamente esposto il ricorrente Yordanov in
rapporto alla configurabilità di situazioni di rischio di sottoposizione a trattamenti
inumani e degradanti, discendendo da ciò le ulteriori conseguenze parimenti
indicate nella citata sentenza Barbu.

con rinvio alla Corte di appello di Milano, perché dia corso agli accertamenti
indicati.

3. L’ultimo motivo di ricorso è manifestamente infondato, in quanto il tema
dell’assenza riguarda il giudizio di merito, destinato a verificare la colpevolezza
dell’imputato, fermo restando che nel caso di specie il ricorrente si è limitato a
dar conto genericamente della propria assenza, senza sottolineare che egli si era
consapevolmente allontanato dal domicilio conosciuto per trovare riparo altrove.
Deve inoltre rilevarsi che il motivo di ricorso non contesta in alcun modo il
presupposto della disposta commutazione della pena, costituito dalla riconosciuta
inosservanza delle prescrizioni originariamente imposte, disvelando così
mancanza di concreto interesse ad una specifica impugnazione della decisione,
fondata sugli automatici criteri di ragguaglio applicati.

4. In conclusione il ricorso va accolto nei limiti di quanto sopra esposto al
punto 3 del «Considerato in diritto», con rigetto nel resto.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata relativamente alla questione del trattamento
carcerario e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di
appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge
69 del 2005
Così deciso 1’11/1/2018

Per questa parte dunque si impone l’annullamento della sentenza impugnata

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