Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9307 del 19/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9307 Anno 2014
Presidente: ZAMPETTI UMBERTO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BEN MANSOUR AYED N. IL 08/03/1968
avverso l’ordinanza n. 6/2013 CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI,
del 19/04/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MONICA BONI;
lette/s~ite le conclusioni del PG Dott. V/Lutp—Kf, Utatvt, V.pco i4 S2LrCPL-e_
Ce10-7t
,

Data Udienza: 19/02/2014

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza resa il 10 maggio 2013 la Corte di Assise di Appello di Napoli,
deliberando in funzione di giudice dell’esecuzione, respingeva per la carenza dei
presupposti di legge l’istanza proposta da Ayed Ben Mansour, diretta ad ottenere
l’applicazione della continuazione in sede esecutiva ai sensi dell’art. 671 cod. proc.
pen. tra due delitti di omicidio, giudicati con le sentenze indicate nell’istanza stessa.
2. Avverso l’indicato provvedimento, ha proposto ricorso per cassazione

a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. L’ordinanza
gravata era dotata di motivazione apparente ed illogica, che aveva valorizzato un
solo elemento negativo, costituito dalla diversa genesi dei due omicidi, senza
considerare la commissione a distanza di venti giorni l’uno dall’altro, il ruolo
ricoperto dall’istante quale affiliato di basso livello, incapace di interloquire con le
scelte e le linee strategiche del clan di appartenenza, chiamato soltanto ad eseguire
gli ordini impartitigli, cosa che aveva fatto in base all’originaria determinazione di
sostegno incondizionato all’organizzazione, nonché l’identica logica criminale,
riconducibile al tipico operato camorristico, che aveva ispirato i delitti.
b) Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione al disposto
dell’art. 81 cpv. cod. pen. per non avere la Corte di merito rilevato che:
– le modalità della condotta erano analoghe ed avevano contemplato l’uso di armi da
fuoco;
– il bene protetto e la natura delle violazioni erano omogenei;
– i due omicidi costituivano reati fine del delitto associativo di stampo mafioso;
– le abitudini programmate di vita e l’atteggiamento soggettivo dell’autore
indicavano che egli si era posto a disposizione incondizionata del clan, a vantaggio
del quale aveva commesso i reati;
-la causale era rappresentata dall’intento di sostenere il clan ed i suoi capi
nell’attività di conquista del potere criminale;
– le circostanze di tempo e luogo erano analoghe per essere stati i delitti consumati
a Casal di Principe.
3. Con requisitoria scritta depositata il 16 ottobre 2013 il Procuratore
Generale presso la Corte di Cassazione, dr. Francesco Mauro Iacoviello, ha chiesto il
rigetto del ricorso.

Considerato in diritto

L’impugnazione è infondata e va dunque respinta.
1.11 provvedimento in verifica, adeguatamente e logicamente motivato, resiste
1

l’interessato a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento per:

alle censure formulate in ricorso, ove si consideri che il giudice dell’esecuzione,
nell’escludere la configurabilità della continuazione, ha valorizzato, con plausibili
argomentazioni, le ragioni fattuali desunte dalle sentenze, in particolare la
commissione dei due omicidi oggetto dell’istanza sulla scorta di risoluzioni distinte,
assunte al momento sulla base di circostanze contingenti ed occasionali, l’uno in
danno di esponente di un gruppo criminale che si stava separando da quello dei c.d.
“casalesi”, l’altro di un commerciante, vittima di estorsione ed autore di plurime
denunce a carico dei suoi taglieggiatori.

Ha quindi ritenuto che, a fronte di una differente genesi e di finalità
autonome delle singole violazioni, non potesse desumersi l’unicità del disegno
criminoso dalla prossimità temporale della loro consumazione, dalla qualità dei loro
autori di associati a delinquere, appartenenti al clan dei “casalesi”, dalla loro
strumentalità al rafforzamento del gruppo camorristico di appartenenza o
dall’inclusione nel mero progetto mafioso di realizzare una pluralità di reati fine. Ha
quindi concluso che essi erano frutto di risoluzioni autonome, assunte di volta in
volta nel difetto di precise indicazioni della loro riconduzione ad un programma
criminoso unitario e deliberato sin dalla consumazione del primo reato.
1.1 In tal modo la decisione in verifica si è allineata in punto di diritto
all’ormai consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo il quale l’identità del
bene giuridico violato o delle modalità di commissione, così come la vicinanza
temporale fra le varie condotte criminose costituiscono aspetti da soli insufficienti
ad offrire dimostrazione dell’esistenza di quell’unico iniziale programma in vista di
uno scopo determinato, che costituisce l’indefettibile presupposto per il
riconoscimento della continuazione. E tale affermazione di principio conserva
validità anche in riferimento alle posizioni di quanti siano organici ad associazioni di
stampo mafioso, i quali, per quanto genericamente determinati a svolgere i compiti
criminosi loro assegnati, devono anch’essi essersi prefigurati, almeno nelle linee
generali, ed aver voluto commettere tutti i reati poi realizzati sin da un momento
antecedente la consumazione del primo.
1.2 Sulla base di tali rilievi si è escluso, nella giurisprudenza di questa Corte
(sez. 1, n. 13609 del 22/03/2011, Bosti, rv. 249930; sez. 5, n. 23370 del
14/05/2008, Pagliara, rv. 240489) la configurabilità della continuazione tra il reato
associativo e quei reati fine, quali gli omicidi in danno di esponenti rivali o, di altri
oppositori del potere mafioso, se detti illeciti, pur rientrando nell’ambito delle
attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al rafforzamento del
medesimo, non risultino programmati in via originaria, ma deliberati sulla spinta di
esigenze contingenti ed occasionali, non preventivamente raffigurate dal soggetto

/

agente.

Parimenti, si è ritenuto che anche la corrispondenza del movente ispiratore

2

1(

delle singole condotte omicidiarie non sia sufficiente per poter ravvisare l’unicità del
disegno criminoso, quando il proposito non sia qualificato da specificità e
concretezza nella prefigurazione delle singole azioni esecutive (Cass. sez. 1, n.
35639 del 02/07/2013, Piras, rv. 256307).
1.3 La decisione contestata è dunque supportata da motivazione, che è
tutt’altro che apparente, in quanto, oltre ad essere in sé logica e coerente, risulta in
linea col dettato normativo e con i principi interpretativi elaborati dalla
giurisprudenza di questa Corte, il che risulta tanto più ragionevole ed aderente ai

parte ai due omicidi quale esecutore, coinvolto nella loro realizzazione per volere e
secondo le istruzioni impartitegli da quanti avevano assunto la direzione del
sodalizio camorristico ed avere aderito a propositi e progetti altrui. Inoltre,
l’impugnazione si limita a richiamare profili di fatto per lo più già presi in
considerazione, -quali la commissione a distanza di appena venti giorni l’uno
dall’altro, l’identità di condotte materiali, di beni giuridici lesi, di interessi
sottostanti, l’atteggiamento psicologico del soggetto agente, incondizionatamente
messosi a disposizione del clan e dei suoi esponenti di vertice- per invocarne una
diversa e più favorevole considerazione, operazione preclusa nel giudizio di
legittimità, destinato esclusivamente alla verifica circa la corretta applicazione delle
norme di legge sostanziali e processuali e la tenuta logica dell’apparato
giustificativo dei provvedimenti giudiziari.
Il ricorso va dunque respinto con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2014.

dati fattuali disponibili se si considera che il ricorrente è stato indicato aver preso

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