Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9286 del 20/01/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 9286 Anno 2014
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCIACCA GIUSEPPE N. IL 19/09/1979
avverso la sentenza n. 19/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
BOLOGNA, del 02/05/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI
Udito il ProcuratoreMperale in persona del Dott. esg\
che ha concluso per
(\–feiXV)A

Udito, per L • .rte civile, l’Avv
Udit ldifensoiewv.

1.1=2″»9). CC.42P1

Data Udienza: 20/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’assise di appello di Bologna, con sentenza del 2/5/2012, in
parziale riforma di quella della Corte di assise di Parma, che aveva dichiarato
Giuseppe Sciacca colpevole del reato di cui agli artt. 110, 61 n. 5 cod. pen. e 6
legge 895 del 1967, con recidiva reiterata specifica e infraquinquennale e lo
aveva condannato alla pena di anni due di reclusione, rideterminava la pena in
anni uno di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.

di avere fatto esplodere due ordigni esplosivi di tipo deflagrante, lanciandoli
all’interno del cortile del Comando della Polizia Municipale di Parma, in ora
notturna; era stato, peraltro, assolto in primo grado dal porto in luogo pubblico
di detti ordigni nonché dall’imputazione di atti di terrorismo ex art. 280

bis,

comma 4, cod. pen..

Si era trattata di un’azione che trovava la sua motivazione in un episodio
che aveva suscitato clamore nella città di Parma: un cittadino ghanese aveva,
secondo l’accusa, subito un pestaggio da personale della Polizia Municipale di
Parma durante un’operazione antidroga.
Dopo che alcune persone avevano annotato la targa dell’autovettura su cui
erano saliti coloro che avevano lanciato l’ordigno esplosivo, era stato rinvenuto
uno striscione che intimava all’assessore alla sicurezza del Comune – da cui
dipende la Polizia Municipale – ad andarsene.
L’autovettura era stata fermata e all’interno era stato identificato Sciacca,
passeggero sul sedile anteriore; le intercettazioni telefoniche avevano dimostrato
che si trattava di colui che aveva materialmente eseguito il lancio.

La Corte territoriale rigettava il motivo di appello che chiedeva la
qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 703 cod. pen., alla luce dell’inoffensività
degli oggetti lanciati, composti da artifici pirici liberamente acquistabili dai
maggiorenni: la Corte condivideva la motivazione della sentenza di primo grado
che aveva ritenuto decisivo il profilo soggettivo del reato, nel caso in esame
consistente nel dolo specifico costituito dal fine di incutere pubblico timore o di
suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza pubblica.
Poiché la norma incriminatrice tutela l’ordine pubblico, non rilevava che lo
scoppio fosse avvenuto in zona non residenziale quanto che gli ordigni fossero
stati lanciati nel Cortile di una Caserma dei Vigili Urbani, quindi con specifica
direzione ad ente rappresentativo della collettività. La Caserma non era mai
disabitata e l’esplosione doveva incutere allarme e timore nei confronti del

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Sciacca è imputato, in concorso con altri soggetti separatamente giudicati,

personale presente.
Il dolo specifico e l’implicita minaccia di ripetere gesti analoghi erano
dimostrati dal contenuto dello striscione, con conseguente integrazione del
clamore e del timore pubblico.

La Corte non riteneva concedibili le attenuanti generiche, alla luce della
preordinazione del gesto (gli autori del gesto provenivano da Verona e uno di
loro era stato prelevato a Bologna), dei precedenti penali e di polizia e della

attribuibilità dell’azione materiale allo Sciacca.

2. Ricorre per cassazione il difensore di Giuseppe Sciacca, deducendo
violazione dell’art. 546, comma 1, lett. e) cod. proc. pen..
La sentenza impugnata manca di motivazione in ordine all’affermazione di
responsabilità del ricorrente per il reato sub B.
Essendo pacifico il lancio dei due ordigni esplosivi, la Corte territoriale, per
ritenere sussistente il dolo specifico del delitto di cui all’art. 6 legge 895 del
1967, aveva omesso di considerare che l’obiettivo del gesto era una sola
persona: l’Assessore alla Sicurezza del Comune di Parma, Monteverdi; non il
Comando dei Vigili Urbani o la città intera. Lo striscione non conteneva alcuna
minaccia alla cittadinanza o agli organi di Pubblica Sicurezza, ma solo ad un
individuo.
In un secondo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione con
riferimento alla mancata concessione delle attenuanti generiche e della
sospensione condizionale della pena, nonché con riferimento alla determinazione
della pena.
Il ricorrente conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.

L’art.6 della legge 895 del 1967 punisce chiunque, al fine di incutere pubblico
timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza
pubblica, fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni
o materie esplodenti.
La norma è caratterizzata dal dolo specifico, con riferimento a quattro
finalità alternative; quanto a ciò che viene fatto esplodere, il legislatore ha voluto
esplicitamente comprendere nell’ipotesi incriminatrice qualsiasi ipotesi (“bombe o
altri ordigni o materie esplodenti”), anche se lieve. In effetti, il legislatore è stato

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attento a discostarsi dall’elencazione contenuta nell’art. 1 della legge 895 del
1967 che, al contrario, viene richiamato dagli artt. 2, 3 e 4; il mancato richiamo
alla norma di riferimento e l’utilizzo dell’espressione “materie esplodenti” – che è
propria del T.U. di pubblica sicurezza (art. 30 R.D. n. 773 del 1931) e delle
contravvenzione in materia di armi (art. 704 cod. pen.) – dimostra che anche
l’esplosione di ordigni di scarsa pericolosità possa integrare la condotta materiale
del reato in questione.
L’intervenuta assoluzione in primo grado per il reato di porto in luogo
pubblico di ordigni esplosivi (art. 4 legge 895 del 1967), pertanto, è pienamente

La descrizione del dolo specifico costituisce il discrimine tra il delitto e la
contravvenzione dell’art. 703 cod. pen., che richiede esclusivamente che le
esplosioni siano pericolose e pretende l’elemento soggettivo della coscienza e
volontà del fatto: la condotta materiale può, quindi, essere identica.
Questa Corte ha affermato che il delitto previsto dall’art. 6 L. 895 del 1967 è
volto a tutelare l’ordine pubblico e richiede il dolo specifico consistente nel fine di
incutere timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla
sicurezza pubblica, pur non essendo necessario che si sia verificato l’effetto
voluto, mentre la contravvenzione prevista dall’art. 703 cod. pen., anche quando
ha a oggetto lo stesso elemento materiale, è volta a tutelare la vita e l’incolumità
fisica riferibile non a persone determinate ma a un numero indeterminato di
soggetti e richiede la coscienza e volontà del fatto che costituisce
contravvenzione (Sez. 1, n. 37384 del 22/09/2006 – dep. 10/11/2006, Ponticelli
e altri, Rv. 235082, Sez. 1, n. 11872 del 07/10/1980 – dep. 12/11/1980,
Passagrilli, Rv. 146636).

Il ricorrente contesta che il dolo specifico presente al momento
dell’esplosione fosse quello contestato, sottolineando il contenuto dello striscione
lasciato sul posto dagli autori del gesto: ma la motivazione della sentenza
impugnata del tutto logicamente, pur senza prescindere dalla valutazione del
messaggio presente nello striscione e del destinatario di esso (l’Assessore alla
Sicurezza Sociale del Comune di Parma), evidenzia il significato complessivo del
gesto, ritenendolo rivolto non tanto alla persona fisica dell’amministratore, ma al
Corpo del Comando di Polizia Municipale, in qualche modo rappresentativo della
collettività; tale Corpo doveva essere pubblicamente intimidito e la sua sicurezza
doveva essere messa a rischio.
La Corte territoriale ha ritenuto che proprio il messaggio all’Assessore (cui lo
striscione intimava di dimettersi) e il riferimento alla “vendetta” facessero

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coerente con la condanna per il reato in oggetto.

trasparire la minaccia di rinnovare in ogni momento gesti analoghi.

La motivazione, in definitiva, è effettivamente esistente e niente affatto
manifestamente illogica.

Anche il motivo concernente la determinazione della pena (assai ridotta
dalla Corte territoriale rispetto alla sentenza di primo grado) e la mancata
concessione delle attenuanti generiche è infondato: la Corte ha valutato il motivo

di non poter concedere le attenuanti generiche alla luce delle caratteristiche
oggettive del gesto e della personalità dell’imputato, cui è contestata la recidiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 20 gennaio 2014

Il Consigliere estensore

Il Presidente

di appello, lo ha parzialmente accolto ma, con motivazione adeguata, ha ritenuto

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