Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9283 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9283 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gagliano Bruno, nato a Catania il 07/04/1981;
avverso l’ordinanza del 01/07/2013 del Tribunale di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile;
udito per il ricorrente l’avv. Francesco Villardirta, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 31.5.2013 il G.I.P. del Tribunale di Catania dispose la
custodia cautelare in carcere di Gagliano Bruno per il reato di cui all’art. 416 bis
cod. pen. per aver fatto parte dell’associazione mafiosa denominata clan Nardo,
legata a Cosa Nostra.

Data Udienza: 14/02/2014

2. L’indagato propose riesame ed il Tribunale di Catania, con ordinanza in
data 1.7.2013, depositata il 2.8.2013, confermò il provvedimento cautelare
impugnato.

3. Ricorre per cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, deducendo:
1 vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta
sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, anche sotto il profilo
dell’utilizzo di un’informazione inesistente ed alla omessa valutazione di
una prova, entrambi dati decisivi; l’ordinanza di custodia si incentra sulle

data 24.11.2009 aveva indicato un soggetto che per conto dei Lentinesi
gestiva Scordia, indicandolo come Bruno, Nello, Sebastiano e latitante;
nel giugno 2012 Barbagallo, facendo riferimento al precedente
interrogatorio, indicó Bruno, di cui non ricordava il cognome, come
referente della famiglia Nardo a Scordia, siccome subentrato a tale
Antonello dopo il 2007; in sede di riesame, con memoria, venne
segnalato che Gagliano Bruno non aveva nessuno di quei nomi o
soprannomi e che non era mai stato latitante; il Tribunale ha ritenuto che
il collaboratore, mentre nel primo passo del verbale (p. 13) aveva fatto
riferimento all’indagato, nella seconda parte (p. 43), laddove affermava
che l’incontro con Bruno non era avvenuto per la latitanza di costui, si era
riferito ad altro soggetto, senza peraltro motivare sul perché di tale
affermazione; era stato segnalato che le dichiarazioni di Barbagallo erano
generiche, prive di dettagli e che la volta in cui Barbagallo si era occupato
di un furto di un ingente quantitativo di sigarette, si era rivolto a Platania
Francesco e non al referente di costui Bruno; era stato ancora osservato
che le dichiarazioni di Barbagallo erano de relato di Platania Francesco,
mai escusso e neppure indagato; sarebbe inverosimile che Barbagallo non
sapesse indicare le vittime di estorsioni se lo scopo della presentazione di
Bruno era quella di fargli conoscere 4 quelli dei paesibche avrebbero dovuto
consegnare il denaro; su ciò il Tribunale non avrebbe motivato; le
dichiarazioni di Barbagallo non sarebbero riscontrate da quelle di Caniglia
Rocco, il quale aveva fatto solo un generico riferimento a tale Bruno,
senza che coincidessero i soggetti ed i tempi; altrettanto varrebbe per
Mirabile Paolo; in assenza di riscontri non sussisterebbero gravi indizi di
colpevolezza; non è stato operato un vaglio di credibilità dei collaboratori;
non risulta che i collaboratori di giustizia abbiano avuto notizia di un fatto,
peraltro inusuale, desunto da un’intercettazione, e cioè che Bruno si
sarebbe’I dichiaratd con Orazio Privitera, della famiglia Cappello/Sciuto,
rivale del clan Nardo; il Tribunale non ha ritenuto rilevante tale punto che

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dichiarazioni del collaboratore di giustizia Barbagallo Ignazio; costui in

pure smentirebbe le dichiarazioni dei collaboratori; la motivazione
sarebbe illogica e contraddittoria laddove ritiene che vi fosse la difficoltà
di rintracciare l’indagato telefonicamente, circostanza smentita dalla mole
di intercettazioni in atti; la motivazione sarebbe contraddittoria laddove
ritiene che sussistejltit rapporti di affari fra la ditta Cosentino Gaetano
(cogestita da Gagliano Bruno) e Oliva Massimo (altro indagato) ed
afferma che dalle intercettazioni emergerebbe che Oliva si era rivolto a
ri9unava.
Gagliano per avere un escavatore, laddove energuMiZia il contrario; il

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omessa
esposizione dei motivi per i quali il Tribunale non ha ritenuto rilevanti gli
elementi dedotti dalla difesa; era stato rappresentato che le
intercettazioni non descrivevano Gagliano quale soggetto di spessore
criminale; le s.i.t. di Ingrà Ferdinando in data 11.1.2012 dimostrerebbero
l’esatto contrario; il lavoro appaltato da Ingrà non era stato pagato per un
importo pari al doppio di quanto appaltato; era stato rilevato (documento
14 bis) che l’onere di smaltimento della discarica era escluso dal prezzo
concordato; la documentazione prodotta suffragherebbe l’assunto di
Ingrà; nessuna motivazione è stata adottata dal Tribunale; quanto alla
conoscenza di Buscemi ed Oliva sarebbe stato provato che la circostanza
tratta da alcune conversazioni, da cui era stato desunto che mezzi di
Oliva erano presenti nel cantiere di Ingrà, è smentita dal fatto che i mezzi
erano solo formalmente intestati a Buscemi Giovanni, ma di fatto già di
proprietà della ditta Cosentino; il Tribunale avrebbe travisato i fatti e
motivato in modo contrario alla prova documentale offerta dalla difesa;
mancherebbe motivazione sulla situazione patrimoniale dell’indagato, pur
a fronte delle deduzioni difensive circa l’impossidenza dell’indagato;
3. vizio di motivazione sotto il profilo dalla valutazione travisata di un
elemento; le dichiarazioni di Ferraro Fiorentino Sebastiano e Ferraro
Fiorentino Gaetano, prodotte dal P.M. all’udienza camerale 27.6.2013 ) non
potevano essere valutate quale conferma del quadro indiziario; esse
dimostrerebbero il malanimo di costoro nei confronti dell’indagato;
4.

vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza delle esigenze
cautelari di cui all’art. 274 lettera c) cod. proc. pen. nonostante fossero
trascorsi tre anni in assenza di contestazione di reati fine.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono generici, svolgono
censure di merito e sono manifestamente infondati.

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Tribunale non avrebbe motivato sulle relative doglianze;

È inammissibile per genericità il ricorso per cassazione che deduca il vizio di
manifesta illogicità della motivazione e, pur richiamando atti specificamente
indicati, non contenga la loro integrale trascrizione o allegazione e non ne illustri
adeguatamente il contenuto, così da rendere lo stesso autosufficiente con
riferimento alle relative doglianze. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 11910 del
22.1.2010 dep. 26.3.2010 rv 246552).
I motivi di ricorso sono altresì inammissibili perché, sotto il profilo della
violazione della legge processuale e del vizio di motivazione tentano di
sottoporre a questa Corte un giudizio di merito, non consentito neppure alla luce

46/2006, ed inoltre sono manifestamente infondati.
Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 lettera e) cod. proc.
pen., di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo
demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può
estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che
attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà
può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma
anche da altri atti del processo specificamente indicati.
È perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si
realizza allorché si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non
esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva
ai fini della pronunzia.
Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od
omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della
motivazione.
Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello (o – come nella specie di riesame) difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia
pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando
recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di
rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a
contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.
Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere
carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione
una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.
Anche a voler prescindere dal fatto che non sono allegati gli atti il cui
contenuto si assume travisato od omesso, nel caso in esame non vi è stata
nessuna di tali ipotesi, ma soltanto una valutazione degli atti diversa da quella
prospettata nel motivo di ricorso.
Nel caso in esame il Tribunale ha motivato sulla attendibilità dei collaboratori
(p. 5 ordinanza impugnata) e sui riscontri sotto il profilo della convergenza del
4

della modifica dell’art. 606 lettera e) cod. proc. pen. introdotta con L. n.

molteplice (p. 5 e 6 ordinanza impugnata) ed

cluso che nelle dichiarazioni di

Barbagallo vi fosse contraddizione e che le stesse non fossero convergenti con
quelle di Mirabile (p. 6 ordinanza impugnata). Ha inoltre ravvisato ulteriori
riscontri nelle intercettazioni e nelle dichiarazioni di Ferraro Fiorentino
Sebastiano e Ferraro Fiorentino Gaetano (p. 7 e 8 ordinanza impugnata).
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non

possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5″ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.
A fronte delle argomentazioni del Tribunale i motivi di ricorso propongono
una lettura alternativa, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia
ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606
primo comma lett. e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il
procedimento argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non
rappresentare soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (V.,
con riferimento a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528
del 11.11.1998 dep. 22.12.1998 rv 212054).
È inoltre possibile prospettare in sede di legittimità una interpretazione del
significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito
soltanto in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il
giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale,
e la difformità risulti decisiva ed incontestabile. (Cass. Sez. 2^ sent. n. 38915
del 17.10.2007 dep. 19.10.2007 rv 237994).
Per quanto attiene infine alle dedotte carenze di motivazione sulle deduzioni
difensive e sugli elementi forniti dalla difesa, secondo l’orientamento di questa
Corte, condiviso dal Collegio, la modifica apportata all’art. 292 comma secondo
cod. proc. pen. con la legge 8 agosto 1995 n. 332 che ha introdotto la partizione
c) bis, non impone al giudice del riesame un onere di motivazione tale da
rendere necessaria un’analisi puntuale di ogni elemento fornito dalla difesa,

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deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore

quando l’irrilevanza di simile elemento risulti chiara dall’esposizione delle
specifiche esigenze cautelari o degli indizi che legittimano in concreto la misura
disposta. (Cass. Sez. 1 sent. 990 del 04.03.1996 dep. 04.04.1996 rv 205048).
Infatti questa Corte ha affermato (ed il Collegio condivide l’assunto) che la
norma di cui all’art. 292, comma secondo ter, cod. proc. pen., in base alla quale
l’ordinanza di applicazione della custodia cautelare deve contenere, a pena di
nullità, anche la valutazione degli elementi a favore dell’imputato, non impone al
giudice l’indicazione di qualsiasi elemento che sia ritenuto favorevole dal
difensore, né tantomeno gli prescrive – in sede di riesame – la confutazione,

l’irrilevanza o la pertinenza, restando circoscritto l’obbligo motivazionale alla
disamina di specifiche allegazioni difensive oggettivamente contrastanti con gli
elementi accusatori e non anche deduzioni dirette a proporre ricostruzioni
alternative della vicenda e a contrastare il potere selettivo degli elementi di
indagine posti a fondamento delle decisioni cautelari. (Cass. Sez. 6 sent. n.
13919 del 28.2.2005 dep. 14.4.2005 rv 232033).

2. Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure
di merito.
Il Tribunale ha ritenuto generica e smentita dalle risultanze investigative la
doglianza difensiva circa l’elisione delle esigenze cautelari per il passare del
tempo, a fronte della gravità dei fatti e della stabilità del vincolo associativo.
Tale motivazione appare adeguata, alla luce del principio affermato da
questa Corte, secondo il quale in tema di esigenze cautelari, la modalità della
condotta tenuta in occasione del reato può essere presa in considerazione per il
giudizio sulla pericolosità sociale dell’imputato, oltre che sulla gravità del fatto.
(Cass. Sez. 6 sent. n. 12404 del 17.2.2005 dep. 4.4.2005 rv 231323).
Non vi è alcuna incongruità nell’aver il Tribunale rilevato la mancata
dissociazione, dal momento che, secondo l’avviso di questa Corte, che il Collegio
fa proprio, in tema di revoca della custodia cautelare in carcere applicata nei
confronti dell’indagato del delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis
cod. pen.), l’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen. pone una presunzione di
pericolosità sociale che può essere superata solo quando sia dimostrato che
l’associato ha stabilmente rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa,
con la conseguenza che al giudice di merito incombe l’esclusivo onere di dare
atto dell’inesistenza di elementi idonei a vincere tale presunzione. Ne deriva che
la prova contraria, costituita dall’acquisizione di elementi dai quali risulti
l’insussistenza delle esigenze cautelari, si risolve nella ricerca di quei fatti che
rendono impossibile (e perciò stesso in assoluto e in astratto oggettivamente
dimostrabile) che il soggetto possa continuare a fornire il suo contributo
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punto per punto, di qualsivoglia argomento difensivo di cui appaia manifesta

all’organizzazione per conto della quale ha operato, con la conseguenza che, ove
non sia dimostrato che detti eventi risolutivi si sono verificati, persiste la
presunzione di pericolosità. (Cass. Sez. 5 sent. n. 48430 del 19.11.2004 dep.
16.12.2004 rv 231281).

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere

ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

4. Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del
ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della stessa
sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato trovasi
ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo
94.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 14/02/2014.

condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché –

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