Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9277 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9277 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI DOMENICO NICOLA N. IL 26/08/1974
SCHIAVONE ANTONIO N. IL 10/11/1989
avverso la sentenza n. 10201/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
22/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ejz í\,tettz, wei»

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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. 51 vit

g.

Data Udienza: 14/02/2014

Con sentenza del 22 marzo 2013, la Corte di appello di Napoli ha, per quel che
qui interessa, confermato la sentenza emessa nei confronti di DI DOMENICO Nicola
e SCHIAVONE Antonio dal locale Giudice per le indagini preliminari il 4 maggio
2012, con la quale il DI DOMENICO era stato ritenuto colpevole del reato di
detenzione di armi aggravato di cui al capo C), esclusa la contestazione relativa al
porto di armi per il quale veniva assolto per non aver commesso il fatto, nonché del
reato di favoreggiamento aggravato di cui al capo D), e condannato, con la riduzione
per il rito abbreviato, alla pena di anni quattro di reclusione, e lo SCHIAVONE
ritenuto responsabile del reato di tentata estorsione aggravata di cui al capo A),
esclusa l’aggravante di cui all’art. 112 n. 1 cod pen., e condannato, con la riduzione
per il rito abbreviato, alla pena di anni tre, mesi sette e giorni venti di reclusione ed
euro 580 di multa.
Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione i
difensori degli imputati anzidetti.
Nel ricorso proposto nell’interesse del DI DOMENICO si lamenta che nessun
elemento suffragherebbe la condotta di occultamento della vettura utilizzata per
l’agguato ai danni di Mione Giuseppe e dello SCHIAVONE e delle armi, mentre
quanto alla ospitalità offerta al Di Caterino si rinnova la deduzione dello stato di
necessità, in quanto condotta “coartata” in dipendenza dalla pericolosità del
favoreggiato e dal timore di future rappresaglie. Si rinnovano poi le censure in ordine
alla ritenuta sussistenza della aggravante di cui all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, di
quella prevista dall’art. 61 n. 6 cod. pen. e si lamenta la mancata concessione delle
attenuanti generiche.
Nel ricorso proposto nell’interesse di SCHIAVONE Antonio si lamenta che i
giudici dell’appello non abbiano motivato sulla censura proposta in sede di gravame
circa la valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori, nessuno dei quali è
chiamante diretto, ma solo de relato, rievocandosi al riguardo alcuni passaggi che
avrebbero caratterizzato la decisone adottata in sede di riesame. Si sottolinea anche
che neppure sarebbe stata individuata la fonte diretta dei narrati, mentre nessun
rilievo sarebbe stato annesso alle dichiarazioni rese dalla persona offesa, che pure
figurava essere l’unico testimone dei fatti. Le obiezioni svolte al riguardo nell’atto di
appello, che viene in parte qua riprodotto, sarebbero rimaste senza risposta. Si
denuncia, poi, la carenza di motivazione in ordine all’aggravante di cui all’art. 7 del
d.l. n. 152 del 1991, mentre si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in
ordine al trattamento sanzionatorio, segnalandosi che erroneamente il giudice di
appello ha fatto riferimento ad una pena base quasi al minimo edittale, trascurando
che si trattava di tentativo. Sarebbe inoltre apodittico il riferimento alla negativa
personalità dell’imputato, essendo egli incensurato, così come sostanzialmente priva
di motivazione risulterebbe la mancata concessione delle attenuanti generiche.
1

OSSERVA

2

Il ricorso del DI CATERINO è palesemente inammissibile. Quanto, infatti, alla
reiterata tesi dello “stato di necessità” che avrebbe condizionato il contributo offerto
al Di Caterino per favorirne la latitanza ed il suo ruolo di occultamento delle armi e
della vettura utilizzate per l’attentato, la tesi — come puntualmente evidenziato dai
giudici del merito – è rimasta una semplice allegazione, priva di qualsiasi elemento
probatorio di supporto. Non può dunque che ribadirsi, come questa Corte non ha
mancato di evidenziare, che nell’ ordinamento processuale penale, non è previsto un
onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo
civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale
l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari
all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a
volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di
giustificazione, il caso fortuito, la forza maggiore, il costringimento fisico e l’errore di
fatto. (Nella specie la Corte ha confermato la sentenza della Corte di Appello che
aveva respinto la richiesta di considerare il fatto ascritto cagionato da costringimento
fisico per assenza di allegazione di elementi significativi a sostegno). (Sez. 2, n.
20171 del 07/02/2013 – dep. 10/05/2013, Weng e altro, Rv. 255916). I fatti, d’altra
parte, sono pacifici, ed altrettanto non contestabili, sul piano della coerenza e
correttezza delle motivazioni, sono le sentenze di merito, sia per ciò che attiene alla
relativa qualificazione giuridica, sia per quanto riguarda la sussistenza delle
aggravanti e la mancata concessione di attenuanti generiche. Per altro verso, i rilievi
del ricorrente si limitano ad una sterile riproposizione delle medesime doglianze già
articolate nei motivi di appello, senza che la replica a tal proposito offerta dai giudici
a quibus abbia poi formato oggetto di una autonoma ed articolata critica
impugnatoria. I motivi, pertanto, oltre che palesemente infondati, sono anche privi del
requisito della specificità. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai da tempo
consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per
cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua
genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione
tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma
dell’art. 591, comma 1, lett. c), cod. ‘ proc. pen., alla inammissibilità della
impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, Burzotta; Cass., Sez. VI, 8 ottobre
2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile 2001 Cass., Sez. IV, 29 marzo 2000,
Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997, Ahmetovic).
Il ricorso dello SCHIAVONE va rigettato. A proposito, infatti, degli insistiti
rilievi in tema di vizi che avrabbero caratterizzato la motivazione della decisione di
appello – a proposito della mancata verifica di credibilità delle numerose fonti
dichiarative, specie per ciò che attiene alla origine delle notizie dalle medesime
riferite – vg ricordato che la più recente ed autorevole giurisprudenza di questa Corte,

g

3

in temq di indicazioni di reità indirette, ha avuto modo di puntualizzare che la
chiamata in correità o in reità de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, il
cui esame risulti impossibile, può avere come unico riscontro, ai fini della prova della
responsabilità penale dell’accusato, altra o altre chiamate di analogo tenore, purchè
siano rispettate le seguenti condizioni: a) risulti positivamente effettuata la
valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità
intrinseca di ogni singola dichiarazione, in base ai criteri della specificità, della
coerenza, della costanza, della spontaneità; b) siano accertati i rapporti personali fra il
dichiarante e la fonte diretta, per inferirne dati sintomatici della corrispondenza al
vero di quanto dalla seconda confidato al primo; c) vi sia la convergenza delle varie
chiamate, che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante, in
relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; d) vi sia l’indipendenza delle
chiamate, nel senso che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; e)
sussista l’autonomia genetica delle chiamate, vale a dire la loro derivazione da fonti di
informazione diverse. (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012 – dep. 14/05/2013, Aquilina
e altri, Rv. 255143) .
Ebbene, a tali principi i giudici del merito risultano essersi puntualmente
attenuti. La sentenza impugnata, ha infatti passato in analitica rassegna le varie
dichiarazioni soffermatesi sulla posizione degli imputati, in riferimento ai ruoli loro
rispettivamente ascritti, alle ragioni per le quali era stato maturata la decisione di
“punire” la iniziativa estorsiva, ed al contesto nel quale le vicende delittuose si erano
iscritte ed erano maturate. A tal proposito, la sentenza non ha mancato di sottolineare
che la pluralità dei contributi dichiarativi, auto ed etero accusatori, erano stati raccolti
in vari interrogatori, senza alcun tentennamento o ritrattazione; erano state rese ampie
confessioni sui fatti illeciti ascritti ai vari dichiaranti; si erano sviluppate narrazioni
nella sostanza sovrapponibili, senza che risultasse alcun elemento atto a far dubitare
della relativa genuinità; erano state raccolte dichiarazioni puntualmente riscontrate
dalle acquisizioni delle indagini, su elementi di carattere obiettivo. Il tutto, non senza
sottolineare come la fonte della notizia della estorsione ascritta allo SCHIAVONE —
riscontrata, comunque, dalle dichiarazioni della persona offesa che aveva addirittura
riconosciuto, seppure parzialmente, lo stesso imputato — fosse tanto “certa” nella sua
consistenza probatoria da aver scatenato una vendetta, con propositi omicidiari.
D’altra parte, come pure correttamente messo in luce già nella sentenza di primo
grado, questa Corte ha in più occasioni sottolineato che, in tema di chiamata di
correo, non sono assimilabili a pure e semplici dichiarazioni de relato quelle coni le
quali un intraneo riferisca notizie assunte nell’ambito associativo, costituenti un
patrimonio comune, in ordine ad associati ed attività propri della cosca mafiosa.
(Sez. 1, n. 23242 del 06/05/2010 – dep. 16/06/2010, Ribisi, Rv. 247585).
Del tutto incensurabili si rivelano, poi, le determinazioni assunte dai giudici
dell’appello in punto di trattamento sanzionatorio e di sussistenza della aggravante di
cui all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, in quanto la motivazione offerta al riguardo si
presenta del tutto esauriente, a fronte delle prospettazioni sostanzialmente aspecifiche
formulate su tali punti nei motivi di appello.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso di DI DOMENICO Nicola e rigetta quello di
SCHIAVONE Antonio. Condanna i predetti al pagamento delle spese processuali e il
DI DOMENICO anche al versamento della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Dispone correggersi la intestazione delle sentenze di primo e secondo grado relativa
alla data di nascita di SCHIAVONE Antonio, nel senso che laddove è scritto
“10.11.1979” deve leggersi ed intendersi “10.11.1989”.
Così deciso in Roma, il 14 febbraio 2014
Il Consigli

estensore

Il Presidente

Vanno da ultimo rettificate le intestazioni delle sentenze di primo e di secondo
grado in relazione alla data di nascita dello SCHIAVONE, in quanto quella che figura
in tali atti (10.11.1979) deve essere corretta in “10.11.1989”.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso del DI DOMENICO ed al
rigetto di quello dello SCHIAVONE segue la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali, nonché, quanto al DI DOMENICO, anche al versamento alla
Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00
alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del
2000.

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