Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9275 del 14/02/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 9275 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TASSONE UGO N. IL 03/07/1961
avverso la sentenza n. 376/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
22/01/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore G nerale in persona del Dott.
che ha concluso per
th,/,act/t;ti»V;
737-(A5140

/

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 14/02/2014

Con sentenza del 22 gennaio 2013, la Corte di appello di Bologna ha
confermato la sentenza emessa il 12 maggio 2006 dal Tribunale di Piacenza nei
confronti di TASSONE Ugo, con la quale il medesimo era stato condannato alla pena
di anni uno e mesi quattro di reclusione ed euro 344 di multa quale imputato del
delitto di ricettazione.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale,rinnovando censure già
dedotte e disattese in grado di appello, lamenta la correttezza della qualificazione
giuridica dei fatti, dal momento che il breve intervallo trascorso dal momento del
furto della vettura a quello in cui l’imputato venne colto alla guida della stessa
doveva indurre a configurare il meno grave delitto di furto, anche in ossequio al
principio del favor rei ed in assenza di elementi che validamente contrastassero la
ricostruzione dei fatti fornita dall’imputato. Si lamenta, poi, violazione di legge e
vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione della disciplina della
continuazione, alla luce della condizione di tossicodipendenza dell’imputato e della
natura ed epoca dei fatti da unificare, sottolineandosi che, avendo i giudici del
gravame ritenuto di devolvere il relativo apprezzamento alla fase esecutiva, doveva
essere riformata sul punto la decisione dei primi giudici che avevano rigettato la
richiesta.
Il ricorso non è fondato. A proposito delle doglianze formulate in ordine alla
mancata derubricazione del reato di ricettazione in quello di furto, i giudici del
gravame hanno puntualmente evocato due aspetti che coerentemente li hanno indotti
a condividere la decisione già adottata in primo grado sul punto. Da un lato, infatti,
nessun elemento obiettivo asseverava l’ipotesi che l’imputato fosse autore del reato
presupposto, da momento che, malgrado i pochi giorni trascorsi tra il furto e la
scoperta del TASSONE alla guida del veicolo sottratto, quest’ultimo non è stato in
grado di fornire alcuna precisazione in ordine alle circostanze di tempo e di luogo in
cui la sottrazione del veicolo era avvenuta. Sotto altro profilo, è ragionevolmente
apparso non credibile che l’imputato avesse potuto indisturbato utilizzare la vettura
per diversi giorni, senza incappare in controlli derivanti dal fatto che si trattava di
autoveicolo marciante con la targa originaria e già segnalata come provento di furto.
La riqualificazione del fatto nel perimetro di diversa fattispecie incriminatrice
richiede lo stesso grado di obiettiva persuasività che deve assistere il relativo
inquadramento nell’originario niomen iuris, con la conseguenza che,, anche le
eventuali dichiarazioni “ammissive”, provenienti dall’imputato, debbono formare
oggetto di adeguata disamina critica, assieme a tutte le restanti acquisizioni
processuali, senza che a quelle dichiarazioni possa annettersi il risalitto di una specie
di “prova legale”, solo perché funzionali ad una reformatio in melius del titolo di
responsabilità.
Parimenti infondate sono le censure relative alla mancata applicazione del
regime della continuazione. Correttamente, infatti, i giudici dell’appello hanno
disatteso il relativo motivo di gravame facendo leva sul fatto che il motivo non era
1

OSSERVA

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così decisó in Roma, il 14 febbraio 2014
Il ConsigFè e estensore

Il Presidente

stato corredato con la produzione di copia delle sentenze cui la doglianza si riferiva.
Deve infatti essere condiviso l’orientamento secondo il quale l’imputato che intenda
richiedere nel giudizio di cognizione il riconoscimento della continuazione tra il reato
giudicando e reati già giudicati deve produrre copia delle sentenze a tal fine rilevanti,
non potendo limitarsi ad indicarne gli estremi. (In motivazione, la S.C. ha precisato
che non è applicabile in via analogica la disposizione di cui all’art. 186 disp. att. cod.
proc. pen., riguardante la sola fase esecutiva). (Sez. 2, n. 35600 del 12/06/2012 – dep.
18/09/2012, Silvestrini e altro, Rv. 253895). Non soltanto, infatti, deve ritenersi
condivisibile l’assunto secondo il quale la peculiare disciplina dettata per la
applicazione della continuazione in executivis dall’art. 186 disp. att. cod. proc. pen.
non è estensibile in via analogica nel processo di cognizione, ma, anzi, è proprio la
positiva previsione di tale disposizione derogatoria — che si giustifica, come
puntualizzano le Osservazioni al Progetto preliminare delle norme di attuazione, in
funzione degli ampi poteri officiosi riservato al giudice della esecuzione a norma
dell’art. 185 delle stesse disposizioni di attuazione – esclude che in sede di
cognizione l’imputato sia esentato dalla ordinaria regola per la quale richieste fondate
su elementi non presenti agli atti del processo possano essere delibate in assenza del
relativo onere di allegazione; giacchè, ove così non fosse, si finirebbe per devolvere
al giudice un compito “istruttorio” non previsto dalla legge e con correlativo vulnus
per la celerità del rito.
Tenuto conto, dunque, della impossibilità per il giudice del gravame di delibare
la fondatezza o meno del motivo di impugnazione concernente la decisione, assunta
in primo grado, di ritenere nella specie inapplicabile la continuazione, ne consegue
che è corretto lo statuto decisorio della sentenza di appello di confermare, anche in
parte qua, la decisione del primo giudice; con la conseguenza che il passaggio
motivazionale concernente la “opportunità” di riservare al giudice della esecuzione la
disamina del profilo relativo alla continuazione, si rivela superfluo e come tale
inconferente agli effetti delle doglianze espresse sul punto dal ricorrente.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

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