Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9273 del 14/02/2014

Penale Sent. Sez. 2 Num. 9273 Anno 2014
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
A.A.;
avverso la sentenza del 28/02/2013 della Corte d’appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giuseppe Volpe, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato
inammissibile.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22.06.2011 il Tribunale di Palermo dichiarò A.A. responsabile del reato di truffa e lo condannò alla pena di mesi 9
di reclusione ed C 300,00 di multa.
L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni ed alla rifusiogpa.
delle spese a favore della parte civile Marchese Giuseppina.

2. L’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Palermo, con
sentenza del 28.2.2013, confermò la pronunzia di primo grado e condannò
l’imputato alla rifusione delle ulteriori spese sostenute dalla parte civile.

3. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo:

Data Udienza: 14/02/2014

1. mancata assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in
quanto nessuna prova decisiva è mai stata acquisita a conferma
delle deduzioni dei giudici secondo le quali l’imputato sarebbe la
persona indicata come Giampiero dalla persona offesa Marchese
Giuseppina ed al quale coste.; rilasciò 5 assegni per complessivi
20.000,00 euro; l’identità dell’imputato è stata ritenuta confermata
dalla semplice fotocopia della carta d’identità, usando tai quale
furono incassati gli assegni; il fatto che l’imputato abbia negoziato i

percettore degli assegni li intestò immediatamente a A.A.

la persona offesa e sarebbe illogico a

(‘argomento secondo il quale la donna acconsentì alla monetizzazione
perché ingannata, proprio perché si insospettì; ciò escluderebbe
ogni raggiro; non è stato disposto alcun riconoscimento fotografico
dell’imputato;
2. violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti generiche,
all’entità della pena inflitta ed alla mancata concessione della
sospensione condizionale della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di
merito.
La mancata assunzione di una prova decisiva – quale motivo di
impugnazione per cassazione – può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di
prova di cui sia stata chiesta l’ammissione a norma dell’art. 495, secondo
comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato
nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l’invito
al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria
di cui all’art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai
fini della decisione (Cass. Sez. 6, Sentenza n. 33105 in data 8.7.2003 dep.
5.8.2003 rv 226534. nella specie la Corte di merito, dopo aver disposto una
parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, ordinando una ricognizione
personale da parte della parte offesa, a seguito di vari rinvii aveva revocato la
suddetta ordinanza dando corso alla discussione).
Nel caso in esame non è neppure allegato che la ricognizione sia stata
richiesta.
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 comma 1 cod. proc.
pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione impugnata,
congruamente giustificata.

2

titolo non dimostrerebbe che egli li abbia ricevuti; il fatto che il

La Corte territoriale ha infatti rilevato non solo che l’imputato ebbe ad
incassare i titolo, ma anche che la persona offesa Marchese Giuseppina tentò di
recuperare il denaro tramite un comune conoscente Nuccio Franco e A.A. si
limitò a prendere tempo. Ha infine rilevato che la Marchese si insospettì ma
prima di riflettere autorizzò il pagamento dei primi due assegni.
In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore

limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Le attenuanti generiche sono state negate sia per la gravità del fatto che per
i precedenti penali dell’imputato.
La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione
alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione
della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non
eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e
globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli
specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del
20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. n. 155508; n. 148766; n.
117242).
La ritenuta recidiva reiterata specifica infra–quinquennale è argomento
sufficiente ad escludere la concedibilità della sospensione condizionale della
pena, che peraltro non risulta dedotta nei motivi di appello come richiamati nelig
sentenza impugnata.

3

possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 14/02/2014.

dedotti.

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