Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9266 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9266 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SANNA GIOVANNI ANTONIO N. IL 27/12/1935
avverso la sentenza n. 737/2012 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
SASSARI, del 22/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.A
che ha concluso per
o

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.
CA,A,

k

\ON,

Data Udienza: 06/02/2014

45710/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 aprile 2012 la Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di
Sassari, ha respinto l’appello proposto da Sanna Giovanni Antonio avverso sentenza del 13
gennaio 2012 con cui il Tribunale di Sassari lo aveva condannato alla pena di un anno e tre
mesi di reclusione per il reato di cui all’articolo 4 d.lgs. 74/2000, per avere, quale
rappresentante legale di una Sri, al fine di evadere l’Iva, indicato nella dichiarazione Iva per
l’anno 2005 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, sottraendo così
all’ammontare complessivo degli elementi attivi imponibili una somma superiore al 10%.
2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo quattro motivi. Il primo denuncia violazione
degli articoli 6, commi 1 e 4, e 26, comma 3, d.p.r. 633/1972, nonché 4 d.lgs. 74/2000. La
corte territoriale avrebbe errato indicando quale dies a quo del termine annuale per l’emissione
della nota di variazione la data di registrazione del contratto preliminare di compravendita
immobiliare, anziché l’emissione della fattura relativa. Il secondo motivo denuncia violazione
degli articoli 2704 c.c. e 4 d.lgs. 74/2000: se il suddetto termine deve decorrere dalla
stipulazione del preliminare di compravendita, quest’ultimo non può ritenersi che fosse privo di
data certa perché non era stato registrato. Il terzo motivo denuncia violazione dell’articolo 111
Cost., 190 c.p.p. e 4 d.lgs. 74/2000 avendo la corte territoriale posto sull’imputato l’onere
della prova che compete invece alla pubblica accusa. Il quarto motivo denuncia violazione
dell’articolo4 d.lgs. 74/2000 quanto alla interpretazione del concetto di fittizietà del costo: il
fatto sarebbe penalmente irrilevante e non sarebbe stata dimostrata attitudine all’inganno
nella condotta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1 II primo motivo sostiene che l’asserto della corte territoriale nel senso che al fine del
computo del termine annuale per l’emissione della nota di variazione occorre far riferimento
alla data di registrazione del contratto preliminare di compravendita immobiliare (in realtà,

,

secondo entrambi i giudici di merito il dies a quo è la stipulazione del contratto preliminare, la
registrazione rilevando solo per identificarne con sicurezza la data, come si vedrà anche a
proposito del secondo motivo)viene a confliggere con l’articolo 6, comma 1, d.p.r. 633/1972
per cui le cessioni dei beni immobili “si considerano effettuate nel momento della stipulazione”,
onde per i beni immobili l’imposta diviene esigibile alla stipula del contratto traslativo della
proprietà oppure costitutivo o traslativo di un diverso diritto reale. Richiama al riguardo il
ricorrente una giurisprudenza (Cass. 15 maggio 2008 n. 12192) in base alla quale, in relazione
a contratti preliminari per la cessione di immobili, ai sensi del suddetto articolo 6, l’operazione
deve considerarsi effettuata limitatamente all’importo fatturato o pagato. Invero, la pronuncia
citata dal ricorrente (rectius:Cass. civ. sez. V, 15 maggio 2008 n. 12192), nel suo integrale

—-.1.7

contenuto smentisce proprio la prospettazione della irrilevanza ai fini fiscali del contratto
preliminare di compravendita di beni immobili. Se, infatti, è vero che l’effetto traslativo del
diritto reale non scaturisce dal contratto preliminare, dal quale invece, in relazione alla
proprietà o ad altro diritto del bene che costituisce l’oggetto del negozio, deriva soltanto
l’obbligazione delle parti a stipulare il contratto definitivo (cioè, appunto, quello traslativo), è
altrettanto vero che, avvalendosi dell’autonomia negoziale che nel settore non è pregiudicata
da norme imperative contrarie, quasi sempre il contratto preliminare non contiene soltanto

solo della caparra confirmatoria ex articolo 1385 c.c., ma – anche se eventualmente non
rientranti nella suddetta caparra – pure di somme che fanno parte, a titolo di anticipo, del
corrispettivo che il promittente acquirente dovrà al promittente alienante in rapporto alla
traslazione del diritto reale mediante il contratto definitivo. Tale è la fattispecie di cui si è
occupato l’arresto richiamato dal ricorrente, affermando proprio che in materia di Iva la
stipulazione di un contratto preliminare di compravendita immobiliare “accompagnata dal
versamento anticipato del corrispettivo” è sufficiente a realizzare il presupposto
dell’imposizione, ex articolo 6, commi 1 e 4, d.p.r. 633/1972, naturalmente “nei limiti
dell’importo fatturato o pagato” (sostanzialmente conforme Cass. civ. sez. V, 13 maggio 2003
n. 7348; non è invece realmente pertinente l’altro arresto citato dal ricorrente, cioè Cass. civ.
sez. V, 17 gennaio 1998 n. 371, che concerne il contratto definitivo di compravendita
immobiliare). Dunque, poiché realizza il presupposto della imposizione, limitatamente al
versamento del corrispettivo la stipulazione del contratto preliminare costituisce operazione
imponibile. Ne consegue la correttezza della impostazione dell’impugnata sentenza, che ha
identificato il contratto preliminare come operazione imponibile da cui far decorrere, ex articolo
26 d.p.r. 633/1972, il termine annuale per porre in detrazione l’imposta corrispondente alla
variazione nel caso in cui l’operazione sia venuta meno, come nel caso è accaduto avendo le
parti, secondo quanto disposto dallo stesso imputato, concordemente sciolto il vincolo
negoziale.
3.2 II secondo motivo, proposto in via gradata rispetto al precedente in quanto prende le

l’obbligo di stipulazione del definitivo, ma altresì include clausole relative al versamento non

mosse dalla identificazione del dies a quo ex articolo 26 nella stipulazione del contratto
preliminare di compravendita, censura sotto l’ulteriore aspetto della data certa. Invero, la corte
territoriale ha escluso che il contratto preliminare di vendita sia stato cronologicamente
identificato in modo certo, rilevando che non è mai stato registrato: il che non lo rende idoneo
a identificare, a sua volta, la decorrenza del termine annuale ex articolo 26 (“poiché l’originario
compromesso di vendita, secondo le dichiarazioni del teste (non confutate dall’imputato), non
è mai stato registrato, non può dirsi rispettato, col dovuto rigore, il termine perentorio di un
anno previsto dalla norma”). Il ricorrente richiama l’articolo 2704 c.c. per addurre che come
semplice fatto storico un negozio può essere provato come tale con qualsiasi mezzo, poiché la
norma sulla data certa della scrittura privata nei confronti del terzo opera solo quando dalla

6-2

scrittura, in relazione alla sua data, si vogliono invece far conseguire gli effetti negoziali. Anche
in questo caso il ricorrente invoca la giurisprudenza civile di legittimità, che è realmente
consolidata, conformemente alla dottrina, nella distinzione tra il negozio come fonte di
obbligazioni e di diritti e il negozio quale fatto storico. Peraltro, la posizione assunta dalla corte
territoriale non corrisponde, a ben guardare, a quella prospettata dal ricorrente. La corte,
invero, non lamenta l’assenza di una certezza cronologica nel senso dell’articolo 2704 c.c.,
bensì evidenzia, su un piano più generale, che non vi è adeguata prova sulla data della
stipulazione del negozio, in quest’ottica rilevando il difetto di registrazione, poiché la

riguardo il motivo pecca di genericità, poiché non indica elementi tali da confutare l’asserto
della corte territoriale nel suo reale contenuto come appena evidenziato, non richiamando
alcunché presente nel compendio probatorio che possa fondare in modo certo l’identificazione
cronologica della stipulazione del contratto preliminare. Non può, infatti, come invece tenta di
addurre il ricorrente, ritenersi idoneo allo scopo l’avere le parti sottoscritto un contratto che
recava – ovviamente – anche una data, poiché la questione consiste proprio nel dimostrare se
la data che figura nel contratto (“Sassari, 23 novembre 2004”) è veritiera,. ovvero certa nel
generale senso probatorio.
3.3 Il terzo motivo adduce l’inversione dell’onere della prova che avrebbe effettuato
l’impugnata sentenza laddove ha ritenuto che “l’imputato contesta genericamente l’assunto
dell’ufficio, omettendo di produrre, contrariamente all’onere probatorio su di lui incombente, la
documentazione necessaria a dimostrare la correttezza del proprio operato… e cioè di aver
operato la variazione entro il termine perentorio di un anno dalla effettuazione dell’operazione
imponibile”, laddove “è la Pubblica Accusa a dover infatti provare gli elementi costitutivi del
reato”. Peraltro il ricorrente dimostra con la sua stessa argomentazione appena riportata che il
motivo non è fondato. Quello cui la corte territoriale ha fatto riferimento non è un onere della
prova dell’imputato avente ad oggetto gli elementi costitutivi del reato, bensì, meramente, il
mancato sostegno da parte dell’imputato della sua prospettazione difensiva mediante
documentazione relativa al suo asserito “aver operato la riduzione entro il termine perentorio

registrazione è usualmente anche strumento per determinare la data della stipulazione. E al

di un anno dalla effettuazione della operazione imponibile”, così da inficiare il compendio
probatorio che, adempiendo il proprio onere, era stato apportato a suo sfavore dal pubblico
ministero.
3.4 II quarto motivo censura l’interpretazione del concetto di fittizietà del costo, secondo la
rubrica che gli è stata apposta. In realtà, il contenuto del motivo si colloca sul piano fattuale,
contestando l’adeguatezza del compendio probatorio ai fini di dimostrare che la condotta
tenuta dall’imputato abbia avuto “un certo grado di capacità decettiva”. Viene così riproposta la
versione alternativa della vicenda già rappresentata ai giudici di merito (“in realtà l’operazione
incriminata… consiste, a ben vedere, proprio in quel comportamento che ha consentito alla
.,.,
Società di riportare la documentazione fiscale a corrispondere con quanto realmente accaduto…

è stata infatti “annullata” una fattura che riportava un debito Iva in realtà mai sorto ecc.”). Ciò
rende il motivo, essendo la cognizione di fatto preclusa al giudice di legittimità, inammissibile.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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