Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9264 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9264 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

Data Udienza: 06/02/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
MILANO
nei confronti di:
GARANZINI GIOVANNI N. IL 22/07/1941
avverso la sentenza n. 5068/2012 TRIBUNALE di MILANO, del
16/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore generale in persona del Dott. A .
che ha concluso per O. /L.j.v…,e•

DEPOSATATA IN C.’,A

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

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35061/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 16 aprile 2013 il Tribunale di Milano ha assolto Garanzini Giovanni dal
reato di cui all’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 perché il fatto non costituisce reato.
2.

Ha presentato ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Milano

adducendo violazione di legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto
nell’applicazione della legge penale, per avere il giudice ritenuto insussistente l’elemento

dell’impresa, essendo irrilevante tale crisi poiché l’imputato aveva l’obbligo di accantonare le
somme oggetto delle ritenute.
In data 17 dicembre 2013 il difensore dell’imputato ha depositato memoria chiedendo il
rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
Il Tribunale ha assolto l’imputato perché il fatto non costituisce reato esternando il suo
accertamento mediante una motivazione chiara e puntuale. Osserva il giudice di merito che
l’imputato – cui era stato contestata l’omissione, come liquidatore della S.r.I.GREI, del
versamento delle ritenute previdenziali risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per il
periodo d’imposta 2007 entro il termine previsto per la dichiarazione annuale di sostituto
d’imposta (30 settembre 2008) – era stato nominato liquidatore della S.r.l. GREI nel maggio
2006 ed era già stato sottoposto a due processi penali per fatti analoghi relativi a società
controllate dalla GREI. In entrambi i casi era stato assolto, essendo state accertate “le
particolari circostanze nel cui contesto maturò l’omesso versamento”: l’imputato aveva dovuto
“fronteggiare una situazione di grave crisi finanziaria dell’impresa, attribuibile alla precedente
amministrazione, che aveva portato con sé una grave carenza di liquidità”, tra l’altro essendo
in corso accordi sindacali per la tutela dei lavoratori e un impegno di rientro rateale del debito

psicologico del reato – che è rappresentato dal dolo generico – sulla base della crisi economica

verso l’Inps. La stessa situazione, secondo la sentenza impugnata, è da ritenersi sussistente
anche per la vicenda in esame. Il Tribunale ne dà atto in modo assai specifico, illustrando come
l’imputato, liquidatore dal 31 maggio 2006, “aveva ricevuto una società che aveva maturato al
31. 12. 2005 una perdita di esercizio pari ad euro 19.438.838,00”, era pertanto priva di risorse
finanziarie liquide, vantava crediti per lo più inesigibili ed era gravemente onerata di debiti. In
tale grave contesto il liquidatore aveva tentato di acquisire liquidità tentando di vendere l’unico
immobile di proprietà della società e di ricavare denaro liquido dal marchio IRGE, senza
effettivo successo nonostante il suo concreto impegno attestato dalle deposizioni testimoniali.
Le uniche liquidità conseguite dal marchio erano state destinate al pagamento dei dipendenti
dell’Inps e l’impegno del liquidatore era dimostrato anche dal fatto che “dell’intero periodo di
imposta 2007 risultano omessi soltanto i versamenti relativi al mese di agosto e per una sol

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parte di lavoratori”. Da ciò il Tribunale desume che l’imputato non aveva “un’alternativa
ragionevolmente esigibile rispetto alla condotta tenuta” perché non censurabile è da qualificarsi
una scelta di amministrazione che “ha preferito adempiere ai debiti tributari e contributivi
inerenti alla propria gestione nonché obbligazioni che egli aveva assunto nei confronti di una
categoria sociale (i lavoratori dipendenti licenziati) in grave difficoltà piuttosto che effettuare
pagamenti di una somma considerevole attinente ad una categoria lavorativa al momento non
coinvolta nella trattativa sindacale”, nella prospettiva sempre di riuscire successivamente a
ripianare ogni debito vendendo l’immobile. L’accertamento in fatto così espletato dal Tribunale
è pervenuto, dunque, a qualificare inesigibile una condotta alternativa rispetto a quella
concretamente adottata dall’imputato; e tale accertamento, che compete appunto al giudice di
merito, è stato supportato da una motivazione priva di illogicità e incongruità, ma anzi
particolarmente concreta, lineare e dettagliata. A prescindere, comunque, dal fatto che
sarebbe inammissibile un ricorso immediato per cassazione fondato su un motivo riconducibile
all’articolo 606, comma 1, lettera e), c.p.p., non si può non rilevare che il giudice di merito non
è incorso in violazione di legge relativa all’elemento soggettivo, bensì ha accertato, nel modo
appena sintetizzato, la concreta insussistenza della fattispecie criminosa

de qua. La sua

conclusione, infatti, argomentata sulla base del principio di personalità della responsabilità
penale trasfuso nella inesigibilità della condotta, riconosce l’esistenza anche dell’elemento
soggettivo del reato (che afferma “integrato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi”) ma
si pone su un piano diverso da quello oggetto della censura del ricorso, piano
fondamentalmente riconducibile all’assenza di nesso eziologico tra la condotta del liquidatore e
il reato, per l’interferenza decisiva e anzi assorbente della condotta altrui (sulla inesigibilità in
rapporto all’ablazione del nesso causale cfr. già Cass. sez. III, 7 luglio 2011 n. 38209 e Cass.
sez. III, 29 aprile 2003 n. 26191): ritiene infatti il Tribunale che la “consumazione è stata
determinata da una condotta pregressa, realizzata da altri (cioè gli ultimi amministratori…),
che ha reso impossibile al soggetto uniformare la propria condotta al precetto penale”.
In conclusione, per quanto osservato in ordine alla infondatezza della censura il ricorso deve
essere rigettato.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso del PG.

Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014

Il Presidente

I

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