Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9263 del 06/02/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9263 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GRAZIANO ANTONIO N. IL 18/10/1960
avverso la sentenza n. 6810/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
25/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.. 24 .
che ha concluso per J2
Q_

Data Udienza: 06/02/2014

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

0‘7

32174/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25 febbraio 2013 la Corte d’appello di Milano ha respinto l’appello
proposto da Graziano Antonio avverso sentenza del 28 giugno 2012 con cui il gip del Tribunale
di Milano lo aveva condannato alla pena di quattro mesi di reclusione e € 120 di multa per il
reato di cui agli articoli 81 cpv. c.p. e 2 I. 638/1983 per avere omesso di versare le ritenute
previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti della sua ditta

2. Ha presentato ricorso il difensore dell’imputato, adducendo due motivi. Il primo motivo
denuncia violazione dell’articolo 2 I. 638/1983 e vizio motivazionale: il reato non sussiste
perché non è stato provato l’effettivo pagamento delle retribuzioni ai dipendenti; e su ciò la
corte territoriale non ha motivato. Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 2, commi
1 bis e 1 ter, I. 638/1983, perché manca la prova della contestazione del reato e/o della
notifica dell’avviso di accertamento. Ciò comporterebbe la improcedibilità dell’azione penale e
comunque la carenza dell’elemento psicologico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Il primo motivo si fonda sulla pretesa mancanza della prova del pagamento delle
retribuzioni ai dipendenti, che non sarebbe stata oggetto di motivazione da parte della corte
territoriale. Il motivo ripropone, invero, la prima doglianza dell’appello: infatti, in esso il
difensore dell’imputato aveva chiesto in via principale l’assoluzione per insussistenza del fatto
poiché mancava la prova certa della effettiva erogazione delle retribuzioni ai dipendenti (a
parte l’ulteriore profilo della ricezione della raccomandata del 29 aprile 2009, di cui si dirà
infra). E la corte, al riguardo, ha motivato, seppure concisamente, evidenziando che la prova
della effettiva erogazione delle retribuzioni sussiste in quanto “l’accertamento da parte
dell’Inps è stato condotto sulla base dei modelli DM 10 compilati dall’imputato, che fanno prova
contro di lui giacchè attestano il pagamento delle retribuzioni”. E la valutazione della Corte
d’appello sulla idoneità di tali documenti a fornire, in difetto di elementi contrari, suddetta
prova è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte (da ultimo Cass.
sez. III, 10 aprile 2013n. 37145: “In tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali
ed assistenziali, gli appositi modelli attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli
obblighi contributivi verso l’istituto previdenziale (cosiddetti modelli DM 10), hanno natura
ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro e la loro presentazione equivale
all’attestazione di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali è stato omesso il
versamento dei contributi”; v. altresì Cass. sez. III, 4 marzo 2010 n. 14839; Cass. sez. III, 7
ottobre 2009 n. 46451; Cass. sez. III, 14 febbraio 2007 n. 26064). Il motivo, al riguardo, si
limita ad affermare, con piena genericità, che il riferimento della corte territoriale ai modelli DM

dal giugno 2007 al marzo 2008 nonché nel luglio, agosto e settembre 2008.

10 “non soddisfa in quanto l’argomentazione non ha pregio giuridico contrastando con i principi
,

costituzionali del processo accusatorio e dell’esercizio dell’azione penale”, perché la prova

• dell’effettiva corresponsione delle retribuzioni grava sul PM. Così conformato, il motivo si
dimostra affetto da inammissibilità evidente.
3.2 Il secondo motivo adduce che quando fu esercitata l’azione penale mancava la prova
della notifica della contestazione e dell’avviso di accertamento: l’avviso di accertamento era
stato notificato con raccomandata del 29 aprile 2009 la cui cartolina era stata acquisita solo

giudici di merito, la sottoscrizione non è dell’imputato, da ciò discendendo che non vi è prova
che l’imputato abbia ricevuto la notifica da parte dell’Inps nell’avviso di accertamento per
l’omesso versamento. Irrilevante è che la sottoscrizione, poi, sia della moglie dell’imputato,
poiché la notifica a mezzo posta si perfeziona, in caso di mancata consegna personalmente al
destinatario, con raccomandata di notizia dell’avvenuta notificazione al destinatario stesso.
Mancando dunque la prova dell’avvenuta contestazione e/o della notifica dell’avviso di
accertamento, “difettava del tutto l’elemento psicologico del reato nonchè la stessa
procedibilità dell’azione penale”. Inoltre, non essendovi prova certa che l’imputato avesse
conosciuto le contestazioni degli avvisi di accertamento e quindi fosse stato messo in
condizione di fruire della causa di non punibilità di cui all’articolo 2, commi 1 bis e 1 ter, I.
638/1983, la corte territoriale avrebbe dovuto rinviare il procedimento per consentire al
pagamento delle ritenute omesse, come richiesto dall’imputato in subordine alla richiesta di
assoluzione. Né il decreto di citazione a giudizio nel caso di specie sarebbe stato equipollente
alla notifica dell’avviso di accertamento.
Anche in questo motivo il ricorrente riversa tematiche già prospettate ai giudici di merito,
ampiamente affrontate nella sentenza di primo grado e considerate, comunque, anche nella
sentenza di secondo, essendo state oggetto di doglianza d’appello. Sotto quest’ultimo aspetto,
deve rilevarsi che la corte territoriale offre una motivazione quanto mai concisa e non del tutto
congrua. Infatti, afferma che l’imputato ebbe “rituale cognizione dell’accertamento dell’Inps,
dato che la firma apposta sulla cartolina dì ricevimento della contestata raccomandata fu
apposta da sua moglie”, la quale “aveva di certo il potere di ricevere l’atto in luogo del
destinatario”; se poi la notifica fosse stata invalida (“il che non può dirsi” secondo il giudice
d’appello) la prova del volontario inadempimento dell’obbligo contributivo consisterebbe nel
“mancato versamento neanche nei tre mesi all’uopo concessi dal GUP attraverso il rinvio della
udienza”.
L’asserto che una notifica a mezzo posta ricevuta da persona diversa dal destinatario sia
valida perché tale persona ha il potere di ricevere in suo luogo non collima con la disciplina
dettata dall’articolo 7, ultimo comma, I. 20 novembre 1982 n. 890 così come aggiunto
dall’articolo 36, comma 2 quater, d I. 31 dicembre 2007 n. 248, convertito con modifiche nella

prima della udienza del 28 giugno 2012, e in tale cartolina, come riconosciuto dagli stessi

I. 28 febbraio 2008 n. 31: norma, questa, che esige, quando il piego non è consegnato
personalmente al destinatario, che l’agente postale dia a quest’ultimo “notizia…dell’avvenuta
notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata”. Senza la spedizione di tale
raccomandata di notizia la notifica non si perfeziona, e non può pertanto qualificarsi valida. La
questione era stata invece più compiutamente affrontata dal gip del Tribunale di Milano nella
sentenza di primo grado, la cui motivazione integra quella della sentenza di secondo,
sussistendo una fattispecie di c.d. doppia conforme (cfr.Cass. sez. III, 1 dicembre 2011-12

aderire a quanto addotto dal primo giudice laddove, nell’incipit della sua scarna motivazione,
afferma che “l’appellante ribadisce in questa sede argomenti difensivi già motivatamente
disattesi dal giudice del primo grado”. In sintesi, il primo giudice ha evidenziato come la
notifica della contestazione o dell’avviso di accertamento della violazione da parte dell’Inps non
costituisce condizione di procedibilità dell’azione penale per il reato in questione (così come,
dopo un – non ancora remoto – contrasto giurisprudenziale, hanno chiarito S.U. 24 novembre
2011-18 gennaio 2012 n. 1855, richiamate anche dal gip), costituendo unicamente una causa
di non punibilità del reato già perfezionatosi la fruizione del termine di tre mesi conseguente a
detta notifica se congiunta al versamento del dovuto entro i suddetti tre mesi. Qualora, invero,
prima del decorso del termine di tre mesi per il pagamento di quanto dovuto il pagamento sia
effettuato, ciò rende non punibile il fatto. Questa valorizzazione della attività riparatoria è
talmente intensa che, come osserva correttamente il giudice di primo grado, “è tempestivo
l’adempimento (e trova applicazione la causa di non punibilità) in qualsiasi momento esso
avvenga, quando in precedenza l’obbligato non abbia ricevuto un avviso rituale”. Dunque, il
fatto che l’imputato abbia avuto, successivamente all’avviso notificato mediante la
raccomandata del 29 aprile 2009 nelle modalità sopra descritte, la possibilità di avvalersi della
causa di non punibilità “assorbe” ogni vizio della notifica postale dell’avviso suddetto, oltre
all’eventuale mancanza di equipollenza all’avviso di atti procedurali successivi. E qui si
riconnette al ragionamento esaustivo del primo giudice la concisione del secondo, laddove
quest’ultimo afferma che se la notifica dell’accertamento era stata invalida comunque il primo
giudice aveva concesso il rinvio della udienza per consentire il versamento nei tre mesi di
legge, versamento che non era avvenuto dimostrando la volontarietà dell’inadempimento
dell’obbligo contributivo – il che confuta evidentemente pure la doglianza sulla carenza di
elemento soggettivo -. Nel caso di specie, il primo giudice dà atto che l’imputato, a prescindere
appunto da ogni altro profilo attinente ai precedenti atti della sequenza procedurale, è stato
posto nella condizione di fruire della causa di non punibilità mediante il versamento delle
ritenute quanto meno mediante il rinvio, all’udienza dell’8 febbraio 2012 (il cui verbale gli è
stato notificato al domicilio eletto), “di più di 3 mesi per perfezionare il pagamento delle
ritenute dovute”. E tale circostanza il ricorrente si è ben guardato dal confutare, apportando
essa, così, una evidente infondatezza al suo secondo motivo.

aprile 2012 n. 13926) e avendo d’altronde il giudice d’appello espressamente dichiarato di

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
• con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese
del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale
emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il
ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 6 febbraio 2014

Il Consig re Estensore

Il Presidente

Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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