Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9253 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9253 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NIADA ROBERTO N. IL 11/04/1957
COSTA VALTER N. IL 05/12/1947
avverso la sentenza n. 3698/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
23/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 5. g
che ha concluso per ee

DEPOSITATA IN CANCELLERIA

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 31/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 23.11.2012 ha confermato
la decisione con la quale, in data 1.2.2012, il Tribunale di quella città aveva
riconosciuto

Roberto NIADA

e Valter COSTA

responsabili del reato di

emissione di fatture per operazioni inesistenti.

cassazione.

2. Con un unico motivo di ricorso deducono il vizio di motivazione, rilevando
che la Corte territoriale sarebbe pervenuta alla conferma della decisione di primo
grado attraverso il mero richiamo alla motivazione formulata dal primo giudice
ed attraverso un ragionamento ritenuto insufficiente a dimostrare la sussistenza
del reato loro contestato, fondato su elementi meramente indiziari e su un
erroneo inquadramento della vicenda, che riassumono, osservando come non vi
sarebbe neppure la prova che le operazioni oggetti di fatturazione fossero
inesistenti.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.
La Corte territoriale, dopo una puntualissima ricostruzione della vicenda
processuale e della decisione di primo grado, comprensiva anche della minuziosa
disamina di ogni singola operazione, con menzione dei riscontri documentali e
delle caratteristiche della merce compravenduta, ha, del tutto legittimamente,
richiamato per relationem la motivazione della decisione di primo grado, dando
atto della circostanza che nei motivi di appello erano state riproposte le
medesime questioni già esaminate e debitamente confutate dal giudice di prime
cure.

4. Va tale proposito ricordato come la giurisprudenza di questa Corte abbia
costantemente ritenuto che la motivazione per relationem effettuata dal giudice
d’appello sia generalmente legittima e consenta al giudice di fornire adeguata
giustificazioni delle ragioni poste a sostegno della pronuncia.
L’ambito di ammissibilità di una siffatta motivazione è stato, tuttavia,

1

Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per

compiutamente delimitato, indicando in modo dettagliato entro quali limiti il
giudice d’appello possa avvalersene.
Si è così precisato, in un primo tempo, come non sia necessario, per il
giudice d’appello, esaminare nuovamente le questioni genericamente formulate
nei motivi di gravame e sulle quali si sia già soffermato il giudice di prime cure,
con argomentazioni esatte e prive di vizi logici, quando le censure mosse alla
sentenza di primo grado non contengano elementi nuovi rispetto a quelli già
esaminati e disattesi (Sez. IV n. 38824, 14 ottobre 2008; Sez. VI n. 31080, 15

E’ dunque consentito al giudice di appello uniformarsi, tanto per la ratio
decidendi, quanto per gli elementi di prova, agli stessi argomenti valorizzati dal
primo giudice, specie se la loro consistenza probatoria sia così prevalente e
assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione (Sez. V n. 39080,
15 ottobre 2003; Sez. V n. 3751, 23 marzo 2000).
In tale circostanza, ciò che si richiede al giudice del gravame è, in definitiva,
una valutazione critica delle argomentazioni poste a sostegno dell’appello,
all’esito della quale risulti l’infondatezza dei motivi di doglianza (cfr. Sez. IV
n.16886, 20 gennaio 2004).
Tali argomentazioni sono state ulteriormente ribadite, osservando che la
conformità tra l’analisi e la valutazione degli elementi di prova posti a sostegno
delle rispettive pronunce nelle sentenze di primo e secondo grado determina una
saldatura della struttura motivazionale della sentenza di appello con quella del
primo giudice tale da formare un unico, complessivo corpo argomentativo (Sez.
VI, n. 6221, 16 febbraio 2006).
L’individuazione dei limiti di legittimità della motivazione

per relationem

trova un ulteriore punto fermo nell’obbligo del giudice d’appello di argomentare
sulla fallacia, inadeguatezza o non consistenza dei motivi di impugnazione in
presenza di specifiche censure dell’appellante sulle soluzioni adottate dal giudice
di primo grado, poiché il mero richiamo in termini apodittici o ripetitivi alla prima
pronuncia o la semplice reiezione delle censure predette determina un evidente
vizio di motivazione (Sez. VI n. 49754, 20 dicembre 2012; Sez. III n. 24252, 24
giugno 2010; Sez. VI n. 12148, 19 marzo 2009; Sez. IV n. 38824, 14 ottobre
2008; Sez. VI, n. 35346, 15 settembre 2008; Sez. VI 6221\06 cit.).

5. Date tali premesse, si osserva che, nel caso di specie, il giudice
dell’appello non si è limitato ad un acritico richiamo della pronuncia di primo
grado, poiché, pur avendo evidenziato che le censure formulate a carico della
sentenza del primo giudice non contenevano elementi di novità rispetto a quelli
già esaminati e dallo stesso disattesi, ha comunque considerato ogni singola

2

luglio 2004; Sez. V n. 7572, 11 giugno 1999; Sez. V n. 4415, 8 aprile 1999).


censura difensiva, indicando le ragioni per le quali non era possibile, come invece
preteso dagli appellanti, utilizzare il medesimo ragionamento sviluppato dal
primo giudice per pervenire all’assoluzione degli imputati per altri fatti, contestati
con riferimento all’art. 2 del d.lgs. 74\2000 anche con riguardo alle condotte
riconducibili all’art. 8 del medesimo decreto e per le quali era intervenuta
condanna.
I giudici del gravame, ancora una volta in risposta alle deduzioni degli
appellanti, hanno nuovamente analizzato le emergenze probatorie ed i dati

risposta ad ogni questione loro prospettata.
A fronte di ciò, i ricorrenti ripropongono sostanzialmente, in questa sede, le
medesime questioni, formulando, in definitiva, in un generico addebito di
mancanza di motivazione, corredato da richiami ad elementi fattuali finalizzati a
proporre, in questa sede di legittimità, una lettura personale ed alternativa delle
emergenze probatorie già considerate dai giudici del merito che non è però
consentito effettuare, non essendo compito di questa Corte quello di ripetere
l’esperienza conoscitiva del giudice di merito.
Le argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata si
presentano, dunque, prive di cadute logiche o manifeste contraddizioni e si
palesano, conseguentemente, del tutto immuni dalle censure formulate in
ricorso.

6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
per ciascuno di essi.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della
cassa delle ammende.
Così deciso in data 31.1.2014

fattuali posti alla base della decisione impugnata, fornendo dunque puntuale

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