Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9241 del 31/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9241 Anno 2014
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: RAMACCI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CANNARIATO SALVATORE N. IL 03/09/1971
CANNARIATO NUNZIO N. IL 05/07/1978
avverso la sentenza n. 2818/2011 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 02/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 31/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA RAMACCI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 31/01/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 2.10.2012 ha

parzialmente riformato la decisione con la quale, in data 9.5.2011, il Tribunale di
quella città aveva riconosciuto

Salvatore CANNARIATO

e

Nunzio

CANNARIATO responsabili dei reati di cui agli art.110, 648 cod. pen., 171 ter,

stati sorpresi in possesso di 534 CD musicali e 285 DVD abusivamente riprodotti
che esibivano, in maggior parte, per la vendita su una bancarella e per avere
usato violenza e minaccia la personale di polizia intervenuto per il controllo e
l’identificazione spintonando e, successivamente, minacciando.
Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per
cassazione.

2. Con un unico motivo di ricorso deducono la violazione di legge,
lamentando che i giudici del gravame avrebbero omesso di considerare, nella
loro decisione, alcuni elementi significativi.
Rilevano, in primo luogo, che mancherebbe la prova della conoscenza
dell’illecita provenienza dei supporti sequestrati e che il delitto di ricettazione
non potrebbe concorrere con quello previsto dalla legge sul diritto d’autore.
Non risulterebbe inoltre dimostrato che detti supporti fossero effettivamente
destinati alla vendita, stante l’assenza di potenziali acquirenti impegnati in
contrattazioni e la loro assenza al momento dell’intervento della polizia
giudiziaria.
Aggiungono, poi, che nella fattispecie non sarebbe configurabile il delitto di
cui all’art. 337 cod. pen., atteso il contenuto delle dichiarazioni rese dall’agente
di polizia escusso come teste e per il fatto che questi ed il suo collega non
avevano riportato alcuna lesione personale.
Insistono, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile, perché basato su motivi manifestamente
infondati.
Deve in primo luogo rilevarsi che, da tempo, le Sezioni Unite di questa Corte
hanno ritenuto la configurabilità del concorso tra il reato di ricettazione e quello

commi 1 e 2 legge 633\1941 e 337 cod. pen. (in Palermo, 16.6.2007) per essere

di commercio abusivo di prodotti audiovisivi abusivamente riprodotti quando
l’agente, oltre ad acquistare supporti audiovisivi fonografici o informatici o
multimediali non conformi alle prescrizioni legali, li detenga a fine di
commercializzazione (SS. UU. n. 47164, 23 dicembre 2005).
Quanto all’elemento soggettivo, si è ripetutamente affermato, sempre con
riferimento alla ricettazione, che, ai fini della configurabilità del reato, la mancata
giustificazione del possesso di una cosa proveniente da delitto costituisce prova
della conoscenza della illecita provenienza (Sez. I n. 13599, 12 aprile 2012; Sez.

Nel caso in esame non risulta, per quanto è dato rilevare dalla sentenza
impugnata e dal ricorso, unici atti cui questa Corte ha accesso, che gli imputati
abbiano prospettato ai giudici del merito la diretta e personale riproduzione dei
supporti loro sequestrati, né che abbiano fornito spiegazioni sulla loro
provenienza.
Quanto alla destinazione alla vendita dei CD e dei DVD, i giudici del gravame
hanno posto in rilievo la esposizione degli oggetti su una bancarella nei pressi di
un mercato rionale, osservando anche che i ricorrenti, all’atto dell’intervento del
personale di polizia, sopraggiunsero sul posto reclamando la proprietà della
merce esposta.

4. Si tratta, dunque, di dati fattuali decisivi che la Corte territoriale ha
opportunamente valutato con argomentazioni scevre da cedimenti logici o
manifeste contraddizioni e che, per tali ragioni, non possono essere oggetto di
censura in questa sede di legittimità.

5. Per ciò che concerne, infine, il delitto di resistenza e minaccia a pubblico
ufficiale, va preliminarmente osservato che lo stesso non richiede affatto che
siano cagionate lesioni personali al pubblico ufficiale, comportando tale
evenienza la commissione di un autonomo reato che pacificamente concorre con
quello previsto e punito dall’art. 337 cod. pen.
Va poi ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il
Collegio condivide, il delitto di resistenza a pubblico ufficiale si configura anche
con il solo atto del divincolarsi, quando non costituisca una reazione spontanea
ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio
impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa (Sez. VI
n.8997, 5 marzo 2010; Sez. VI n.35125, 4 settembre 2003; Sez. V n.715, 22
gennaio 1985).
Non è neppure richiesto che sia impedita, in concreto, la libertà di azione del
pubblico ufficiale, essendo sufficiente che si usi violenza o minaccia per opporsi

2

Il n. 41423, 23 novembre 2010 ed altre prec. conf.).

al compimento di un atto di ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito
positivo o negativo di tale azione e dall’effettivo verificarsi di un impedimento
che ostacoli il compimento degli atti predetti (Sez. VI n.3970, 29 gennaio 2010;
Sez. VI n.6392, 1 giugno 1998; Sez. Il n.13343, 29 novembre 1986).
Quanto all’elemento soggettivo, lo stesso è individuabile in un dolo specifico
concretantesi nel fine di ostacolare l’attività pertinente al pubblico ufficio o
servizio in atto (Sez. VI n.37959, 18 ottobre 2005; Sez. VI n.7176, 19 febbraio

6. Nella fattispecie, i giudici del merito, hanno evidenziato come, dalla
deposizione testimoniale di uno degli agenti e dagli atti irripetibili compiuti al
momento dell’arresto, risulti che i ricorrenti si siano opposti attivamente al
personale di polizia spintonando.
Si tratta, anche in questo caso, di valutazione di dati fattuali non ripetibile da
parte del giudice di legittimità.

7. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla
declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile
a colpa dei ricorrenti (Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186) – consegue l’onere
delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della
Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di euro 1.000,00
ciascuno.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della
Cassa delle ammende.
Così deciso in data 31.1.2014

2004).

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