Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9237 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9237 Anno 2016
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: MANZON ENRICO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ben Hamid Saladino nato in Marocco il 22/02/1975
avverso la ordinanza del 01/10/2015 del Tribunale di Genova
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Manzon;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Ciro
Angelillis, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza del 01/10/2015 il Tribunale di Genova, sezione del riesame, -in
accoglimento dell’appello del PM avverso l’ordinanza del Gip presso il Tribunale di
Imperia in data 08/08/2015 con la quale -nella parte che qui rileva- era stata
applicata a Ben Hamid Saladino la misura coercitiva dell’obbligo di presentazione
alla pg, per i reati di cui agli artt. 99, quarto comma, 110, cod. pen., 73, comma
4, 80, comma 1, lett. g), dPR n. 309/1990 per aver detenuto e ceduto alcuni
quantitativi di hashish- applicava al prevenuto la misura maggiormente afflittiva
della custodia cautelare carceraria.
Osservava il giudice di appello che doveva considerarsi sussistente l’aggravante
contestata, ancorchè i fatti potessero sussumersi nell’ipotesi delittuosa meno
grave di cui all’art. 73, comma 5, TU stupefacenti e che comunque dovevano
altresì affermarsi le esigenze cautelari tutte quali previste dall’art. 274, cod.
proc. pen. , trattandosi di soggetto extracomunitario senza dimora fissa, dedito

Data Udienza: 26/11/2015

allo spaccio di droga a fini di sostentamento e peraltro plurirecidivo, anche
specifico.
2. Avverso il provvedimento, tramite il difensore fiduciario, ha proposto ricorso
per cassazione l’imputato articolando un’unica censura di violazione di legge con
riferimento agli artt. 80, comma 1, lett. g), DPR 309/1990 e 59, Cod. pen.
Sostiene il ricorrente che non vi è alcun “nesso funzionale” tra lo spaccio
contestatogli e la vicinanza con Istituti scolastici, peraltro situati a distanza che
afferma essere significativa, non avendo ceduto l’hashish agli studenti, ma ad

effettiva consapevolezza di esercitare l’illecita attività ascrittagli nei pressi di
Istituti scolastici.
CONSIDERATO IN DIRITTO
11 ricorso è inammissibile, perché manifestamente infondato, essendo
comunque pacificamente preclusa in questa sede di legittimità la
riconsiderazione meritale degli elementi fattuali apprezzati dal giudice
dell’appello cautelare.
1.1 I! Tribunale invero ha correttamente ed ampiamente motivato in punto di
fatto in ordine alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 80, comma 1, lett.
g), TU stup., quindi non può ravvisarsi una errata applicazione di tale
disposizione normativa. Né d’altro canto può ritenersi minimamente fondato il
correlativo motivo di doglianza inerente l’inosservanza ovvero erronea
applicazione dell’art. 59, cod. pen. Nell’ordinanza infatti è altresì ben illustrato
come il Ben Hamid ed i coindagati fossero abitualmente dediti allo spaccio di
sostanze stupefacenti nei luoghi in contesto ed è quindi asserzione del tutto
logica, conforme ad esperienza comune nonché basata su precisi riferimenti
fattuali che il Saladino e gli altri coindagati fossero pienamente consapevoli di
agire in prossimità di Istituti scolastici. Va peraltro rilevato che la struttura
testuale e la ratio dell’aggravante speciale de qua non implicano affatto che
destinatari dello spaccio siano studenti, ma appunto soltanto che lo stesso
avvenga “in prossimità .. di scuole ..”. Ne deriva la considerazione, in diritto,
che, diversamente da quanto opina il ricorrente, ai fini dell’applicazione della
aggravante speciale de qua non è necessario che vi sia un nesso funzionale
concreto tra il luogo così normativamente identificato e lo spaccio di droga agli
studenti, trattandosi evidentemente di una previsione normativa che mira a
prevenire, con l’aggravamento della pena, la stessa astratta possibilità che tale
spaccio avvenga.
1.2 Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di

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altri due co-indagati. Afferma inoltre l’applicabilità dell’art. 59 in ordine alla sua

inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in € 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2015.

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