Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9236 del 30/01/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9236 Anno 2014
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RUSSO LAZZARO N. IL 12/01/1970
avverso la sentenza n. 1839/2011 CORTE APPELLO di BARI, del
24/09/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/01/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. RA:2-2_cAnurg–ao
.)

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Data Udienza: 30/01/2014

7597/2013

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 24 settembre 2012 la Corte d’appello di Bari ha respinto l’appello
proposto da Russo Lazzaro avverso sentenza del 10 dicembre 2010 con cui il Tribunale di
Foggia lo aveva condannato alla pena di giorni 13 di arresto e C 8500 di ammenda – la pena
detentiva venendo sostituita da pena pecuniaria di C 570, pervenendosi così a un totale di C

146,142 e 181 d.lgs. 42/2004 (capo b) per avere realizzato una recinzione in cemento armato
e uno sbancamento senza DIA o autorizzazione e su zona inclusa nel Parco nazionale del
Gargano.
2. Sono stati presentati due ricorsi: il primo, depositato il 10 dicembre 2012, è stato
proposto dal solo difensore; il secondo, depositato il 21 gennaio 2013, è stato proposto sia dal
difensore sia dall’imputato; entrambi adducono gli stessi quattro motivi. Il primo motivo
denuncia violazione dell’articolo 157 c.p.: sarebbe maturata la prescrizione perché l’opera era
stata ultimata circa due anni prima dell’accertamento, irrilevante essendo la permanenza di
tondini di ferro non recisi sul muro, richiamata dalla corte territoriale. Il secondo motivo
denuncia vizio motivazionale e violazione del principio del

favor rei quanto alla data di

ultimazione dell’opera, per non avere il giudice d’appello tenuto in conto le risultanze
probatorie e un’altra sentenza del Tribunale di Foggia. Il terzo motivo denuncia mancanza di
motivazione ed erronea applicazione di legge per la non necessità di concessione (permesso di
costruire), essendo sufficiente l’autorizzazione amministrativa. Il quarto motivo denuncia
mancanza di motivazione sull’omessa ammissione di mezzi istruttori, chiesti nell’atto
d’appello,e in particolare di una perizia sulla natura dell’opera, sulla sua funzionalità e sulla sua
ultimazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

9070 di ammenda – per i reati di cui agli articoli 44, comma 3, d.p.r. 380/2001 (capo a) e

3. Il ricorso è infondato.
3.1 I primi due motivi – come si è detto, comuni ai due ricorsi -, dal momento che si
incentrano entrambi sulla questione della data di ultimazione dell’opera allo scopo di
dimostrare la maturata prescrizione, possono essere accorpati nel vaglio.
Secondo i suddetti, pertanto, l’opera abusiva sarebbe stata ultimata “circa due anni prima
dell’accertamento della violazione” come risulterebbe dalle risultanze processuali, non
rilevando elementi diversi da quelli attinenti alla funzionalità dell’opera stessa. Poiché si tratta,

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sempre secondo i motivi, soltanto di un muro di contenimento della strada sovrastante, in un

complesso agricolo isolato e distante dal centro abitato, l’opera è divenuta funzionale senza
che ne fosse necessaria “né la tinteggiatura, né la recisione dei tondini in ferro, né, infine,
l’apposizione di ulteriori decorazioni”. Per di più tali tondini sarebbero stati sporgenti “per pochi
ed impercettibili centimetri” sul lato superiore del manufatto “e quindi non invadenti lo spazio
circostante”. Secondo gli stessi accertatori, poi, l’opera era, appunto, conclusa.
Il contenuto appena sintetizzato della doglianza indica che, anziché prospettare una
questione di diritto, si colloca sul piano fattuale, in ordine alla data di ultimazione dell’opera e
alle sue caratteristiche funzionali, prospettando un esito alternativo del compendio probatorio
che si contrappone a quello adottato dalla sentenza impugnata ed esige, per verificarne la
fondatezza, una cognizione di fatto in questa sede preclusa. D’altronde, il riferimento alla
pretesa carenza motivazionale che a tale impronta fattuale viene affiancata non corrisponde
all’effettivo apparato motivazionale della sentenza impugnata. Il giudice d’appello affronta
infatti con specificità e senza incongruenze logiche la questione dell’ultimazione dell’opera,
fondandosi sull’oggettivo apporto delle fotografie acquisite agli atti, da cui rileva che risulta
chiaramente che al momento dell’accertamento avvenuto il 7 maggio 2007 i lavori erano
ancora in corso perché “si trattava di un muro in cemento armato certamente non ultimato
come dimostrano inequivocabilmente, a tacer d’altro, i tondini in ferro sporgenti e non ancora
tagliati”, fotografie cui aveva fatto riferimento anche il primo giudice. Che la corte territoriale
non abbia menzionato in tale sua valutazione – come poi ulteriormente adducono i motivi in
esame – una sentenza del Tribunale di Foggia del 17 febbraio 2012 relativa alla violazione della
legge sismica nella stessa opera – sentenza che, secondo i ricorrenti, aveva ritenuto ultimati i
lavori – è evidentemente irrilevante, poiché il giudice di merito non è affatto obbligato a
esaminare tutti i dati probatori e tutti gli argomenti difensivi nella sua motivazione, purché
questa sia completa e autosufficiente, implicitamente assorbendo quanto non è stato
espressamente menzionato, vale a dire quanto con essa è incompatibile ma, per carenza di
decisività, non è idoneo a infrangerne la struttura logico-giuridica (cfr. Cass. sez. II, 8 febbraio
2013 n.9242; Cass. sez. VI, 19 ottobre 2012 n.49970; Cass. sez. IV, 13 maggio 2011 n.
26660; Cass. sez. VI, 4 maggio 2011 n. 20092): e non si vede, in effetti, come il contenuto
della suddetta sentenza, se realmente corrispondente a quanto addotto dai ricorrenti, potesse
infrangere la decisività delle fotografie scattate in sede di sopralluogo il 7 maggio 2007.
Quanto appena osservato mostra l’infondatezza dell’ulteriore argomento della violazione del
principio del favor rei: è vero che se vi è incertezza sul tempus commissi delicti, il dies a quo
va determinato nel modo più vantaggioso per l’imputato, ritenendo quindi che il reato sia stato
consumato nella data più risalente (Cass. sez. III, 3 dicembre 2009-3 marzo 2010 n. 82833;
Cass. sez. II, 24 maggio 2006 n. 19472; Cass. sez. II, 19 gennaio 2005 n. 3292), ma nel caso
di specie il giudice di merito ha ritenuto che tale incertezza non scaturisse dal compendio
probatorio, dal quale, al contrario, ha ritenuto emergere elementi oggettivi nel senso della
mancata ultimazione prima del 7 maggio 2007. I due primi motivi, in conclusione, risultano
privi di consistenza.

.,

3.2 II terzo motivo, sempre comune a entrambi i ricorsi, è del tutto generico quanto alla
pretesa erronea applicazione di legge che imputa alla corte territoriale, e parimenti è
manifestamente infondato laddove afferma che manchi la motivazione sulla sufficienza di una
mera autorizzazione, avendo l’impugnata sentenza evidenziato le caratteristiche con ciò

ictu

ocull incompatibili dell’opera pacificamente realizzata dal Russo (“una recinzione in cemento
armato lunga circa 50 metri sul versante nord e più di 37 metri sul versante ovest, di spessore
di trenta cm, alta solo per un tratto circa 2 metri, ed uno sbancamento, un livellamento in
parte in questa stessa area… del Parco nazionale del Gargano”).

sulla mancata disposizione di perizia richiesta nell’atto d’appello, perizia che avrebbe dovuto
accertare “la natura e la funzionalità dell’opera, e se la medesima necessitava di ulteriori
interventi rifiniture per lo scopo cui era destinata”. Come si è già più sopra evidenziato, il
giudice di merito nella sua motivazione non è obbligato a esaminare ogni richiesta difensiva, se
comunque la sua motivazione è congrua e sufficiente, ovvero assorbe implicitamente ogni altro
profilo; e d’altronde, trattandosi di richiesta presentata nell’atto d’appello, non si può non tener
in conto che la perizia giammai rientra nella categoria della “prova decisiva” (cfr.Cass. sez. VI,
3 ottobre 2010 n. 43526), e che l’oggetto dell’accertamento tecnico richiesto risultava
chiaramente assorbito – per quanto si evince dalla complessiva motivazione della sentenza
impugnata – dal compendio probatorio già sussistente, e in particolare dalle fotografie
effettuate durante il sopralluogo del 7 maggio 2007.
In conclusione, entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili (il che impedisce,
non consentendo il formarsi di un valido rapporto processuale di impugnazione, di valutare la
presenza di eventuali cause di non punibilità ex articolo 129 c.p.p.: S.U. 22 novembre 2000 n.
32, De Luca; in particolare, l’estinzione del reato per prescrizione è rilevabile d’ufficio a
condizione che il ricorso sia idoneo a introdurre un nuovo grado di giudizio, cioè non risulti
affetto da inammissibilità originaria come invece si è verificato nel caso de quo: ex multis v.
pure S.U. 11 novembre 1994-11 febbraio 1995 n.21, Cresci; S.U. 3 novembre 1998 n. 11493,
Verga; S.U. 22 giugno 2005 n. 23428, Bracale; Cass. sez. III, 10 novembre 2009 n. 42839,
Imperato Franca), con conseguente condanna del ricorrente Russo, ai sensi dell’art.616 c.p.p.,
al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza
della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è
ragione di ritenere che i ricorsi siano stati presentati senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente Russo versi per
ciascun ricorso la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa
delle ammende.

P.Q.M.

Riguardo, infine, al quarto motivo di entrambi i ricorsi, questo lamenta omessa motivazione

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento per ciascuno delle spese
processuali e della somma di €1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma il 30 gennaio 2014

Il Consiglie

stensore

Il Presidente

.

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