Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9234 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9234 Anno 2016
Presidente: AMORESANO SILVIO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Albanese Alessandro, nato il 15 maggio 1978
avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino del 5 agosto 2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Pietro
Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 19/11/2015

RITENUTO IN FATTO
1. – Con ordinanza del 5 agosto 2015, il Tribunale di Torino ha confermato
l’ordinanza del Gip dello stesso Tribunale del 12 luglio 2015, con la quale era stata
applicata all’indagato la misura della custodia cautelare in carcere in relazione a tre
reati inerenti il traffico di cocaina, consumati in momenti e contesti diversi, tra il
maggio e il luglio 2013.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

motivazione quanto ai gravi indizi di colpevolezza. Con particolare riferimento al capo
1 dell’imputazione provvisoria – relativo a più cessioni di cocaina a due soggetti nel
maggio 2013 – vi sarebbe un travisamento dell’interpretazione delle intercettazioni
ambientali a carico degli acquirenti, le quali riguardavano sostanza stupefacente da
loro acquistata presso un soggetto non identificato. E, anzi, la corretta interpretazione
di tali intercettazioni avrebbe dovuto portare – secondo la difesa – alla conclusione che
l’indagato era l’acquirente e non il venditore dello stupefacente, anche perché i due
soggetti avevano con loro solo un grammo e mezzo di cocaina e stavano andando
presso un magazzino dove era depositato 1 kg della stessa sostanza.
Quanto al capo 2 dell’imputazione – relativo alla detenzione di cocaina da parte
dell’imputato in concorso con tale Nonno – la difesa rileva che quest’ultimo non
sarebbe attendibile, perché aveva motivi di risentimento nei confronti di Albanese, il
quale non aveva rispettato la promessa di aiutare la sua famiglia. Inoltre, le modalità
della consegna dello stupefacente, riferite da Nonno, sarebbero in contrasto con
quanto osservato direttamente dalla polizia giudiziaria. Né costituirebbe riscontro
dell’attendibilità di quest’ultimo la serie di particolari riferiti su un viaggio
asseritamente compiuto nel meridione per recuperare lo stupefacente.
Con un secondo motivo di doglianza, si lamenta l’omessa valutazione del tempo
trascorso dalla commissione dei reati, visto che l’indagato era stato “continuamente
monitorato senza che gli si potesse rimproverare alcun comportamento illecito”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile. Le censure del ricorrente hanno per oggetto
una rivalutazione, parziale e unidirezionale, del quadro istruttorio che emerge dalle
indagini preliminari ed appaiono del tutto sganciate dalla denuncia di lacune o vizi
logici della motivazione del provvedimento impugnato, del quale non pongono
compiutamente in discussione il nucleo essenziale.

cessazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, la manifesta illogicità della

È sufficiente qui richiamare, quanto agli indizi di colpevolezza per il reato di cui
al capo 1 dell’imputazione provvisoria, le risultanze di numerose intercettazioni
ambientali di conversazione tra presenti all’interno delle autovetture utilizzate dai due
acquirenti, nonché i rilevamenti GPS della loro posizione. Questi ultimi si riferivano
chiaramente all’acquisto e non alla vendita dello stupefacente (come analiticamente
evidenziato alle pagg. 2-3 dell’ordinanza impugnata). Dalle stesse conversazioni
emerge, poi, che lo stupefacente acquistato doveva essere occultato, come

1 kg di droga in un deposito nella disponibilità dei due acquirenti. La circostanza che
l’acquisto fosse avvenuto proprio dall’odierno indagato emerge da quanto
direttamente accertato dalla polizia giudiziaria circa gli incontri fra i tre soggetti e le
conversazioni intercettate in occasione di tali incontri (si veda la dettagliata
descrizione alle pagg. 4-5 dell’ordinanza).
Analoghe considerazioni valgono quanto al capo 2 dell’imputazione, rispetto al
quale l’ordinanza impugnata muove dal dato, correttamente ritenuto decisivo – e
neanche preso in considerazione nel ricorso per cassazione – dell’arresto in flagranza
dell’indagato nel possesso di oltre mezzo kilogrammo di cocaina, e svolge un’ampia e
articolata disamina circa la portata delle dichiarazioni accusatorie di Nonno, soggetto
con la mediazione del quale l’indagato aveva venduto cocaina a tale De Meo. Inoltre il
Tribunale si fa espressamente carico di argomentare circa l’attendibilità di Nonno,
adeguatamente contrastando la tesi difensiva secondo cui quest’ultimo sarebbe stato
mosso da intenti di vendetta nei confronti dell’indagato. Si valorizza, in particolare,
l’assoluta incoerenza della spiegazione alternativa della successione dei fatti fornita
dallo stesso Albanese corroborata da una prima, non verosimile, versione di Nonno,
poi radicalmente sconfessata da quest’ultimo (pagg. 7-8 dell’ordinanza impugnata).
Del tutto generico è il secondo motivo di doglianza, perché con esso ci si limita
a formulare indimostrate asserzioni circa la mancanza di attualità del pericolo di
reiterazione del reato e di inquinamento delle prove, senza richiamare, neanche a fini
di critica, la motivazione del provvedimento impugnato sul punto. Del resto, il
Tribunale dà correttamente conto dell’esistenza di una rete di alto livello nella quale
l’indagato, soggetto gravato da precedenti penali specifici, ha assunto nel tempo un
grado di inserimento sempre maggiore, essendosi dimostrato capace di operare al di
fuori dei confini territoriali locali ed essendo dotato di una elevata forza intimidatoria,
come si evince dalle pressioni da lui esercitate sullo stesso Nonno.
4. – Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
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effettivamente avvenne, visto il ritrovamento da parte della polizia giudiziaria di oltre

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativarnente
fissata in € 1.000,00.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 novembre 2015.

P.Q.M.

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