Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9230 del 22/10/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9230 Anno 2016
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: DE MASI ORONZO

SENTENZA

sul ricorso proposto da

CANNIZZARO Domenico Antonio, nato a Taurianova il 25/10/1996

avverso la ordinanza n. 36 del 31/10/2014 della Corte di Appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Oronzo De Masi;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituito Procuratore generale Fulvio
Baldi, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

Data Udienza: 22/10/2015

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 31/10/2014, la Corte di Appello di Milano ha respinto l’istanza di ricusazione
proposta nell’interesse dell’imputato Cannizzaro Domenico Antonio, nei confronti dei dott.ri
Sergio Piccinni Leopardi e Benedetto Simi De Burgis, componenti del collegio giudicante, a
motivo che non sussiste il pregiudizio lamentato dai ricusanti in i magistrati sono stati

giudicato in grado di appello i coimputati nel medesimo reato (artt. 110 c.p., 74 D.P.R.
309/1990), Biagiotti Alessandro e Molinaro Gianluca, giusta sentenza n. 4681/2014, in quanto
questi ultimi sono stati giudicati con il rito abbreviato, mentre il Cannizzaro è giudicato nelle
forme ordinarie dibattimentali.
La Corte adita ha altresì dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionalità dell’art. 37 c.p.p., in relazione agli artt. 3,24, 101, 111, 117 Cost., 5 e 6
CEDU, in quanto genericamente formulata.
Avverso la ordinanza della Corte di Appello di Milano, propone ricorso per

cassazione il

difensore
dell’imputato, denunciando:
violazione di legge processuale (Art. 606, c. 1, lett. B) c.p.p.) e segnatamente degli artt. 34,
36, 37 c.p.p., nonché illogicità, contraddittorietà, insufficienza della motivazione (art. 606,c.1,
lett. E) c.p.p.), per aver respinto l’istanza di ricusazione avanzata all’ udienza del 10/10/2014 e
dichiarato manifestamente infondata la questione, sollevata dal difensore, di legittimità
costituzionalità dei predetti articoli, in relazione agli artt. 3, 24, 101, 111, 117 Cost., 5 e 6
CEDU, nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio ordinario nei
confronti di un imputato un giudice che abbia pronunciato, o concorso a pronunciare, una
precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, coimputati nel medesimo reato ex art. 110
c.p., 73 DPR 309/1990 e giudicati separatamente nell’ambito del rito speciale del giudizio
abbreviato, nel quale la posizione di quello stesso imputato, in ordine alla sua responsabilità
penale, sia stata comunque valutata.
Con memoria difensiva ex art. 121 c.p.p. e nota d’udienza, il ricorrente richiama, ad ulteriore
sostegno della fondatezza delle argomentazioni svolte nel ricorso, la sentenza di questa Corte
Sez.1, n. 2070 del 10/7/2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
Il ricorrente lamenta che i suindicati magistrati già avevano fatto parte del collegio che, in
separato procedimento, aveva in precedenza valutato la posizione dei due coimputati Biagiotti
e Molinaro, a seguito di giudizio abbreviato avente ad oggetto il reato di importazione dal
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componenti del collegio giudicante della medesima Corte di Appello, V Sezione Penale, che ha

Messico di un’ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo cocaina (cfr. sentenza
della Corte di Appello di Milano, Sez. V Penale,n. 4681/2014 del 6/6/2014), così venendo a
conoscere del fascicolo comprensivo degli atti del P.M. (utilizzabili nel giudizio abbreviato), con
conseguente pregiudizio per la valutazione del materiale probatorio derivante dal dibattimento.
La Corte territoriale, nell’escludere la ricorrenza di un’ipotesi di incompatibilità tra quelle
previste dall’art. 34 c.p.p., come integrato dalla sentenza n. 371/1996 della Corte
Costituzionale, ha replicato che nella suddetta occasione non era stata in nessun modo

responsabilità.
Ha, inoltre, richiamato la decisione di questa Corte secondo la quale può verificarsi l’ipotesi di
incompatibilità del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare una precedente
sentenza nei confronti di altri soggetti concorrenti nello stesso reato in giudizio separato introdotta a seguito della sentenza additiva della Corte Costituzionale del 2 novembre 1996, n.
371, modificativa dell’art. 34, comma 2, c.p.p. – nel caso in cui nel precedente giudizio siano
state valutate prove (anche, eventualmente, con riferimento alla attendibilità di persone), solo
se tale valutazione sia stata effettuata con specifico riferimento anche alla posizione del
concorrente estraneo in quel procedimento, dímodoché si sia affermato, con riguardo sia ai
profili oggettivi sia soggettivi della sua condotta, esplicitamente o implicitamente, che quelle
medesime prove erano idonee a far ritenere la responsabilità anche di tale concorrente
estraneo. Tale situazione non può, comunque, verificarsi se la valutazione delle prove non sia
stata fatta nell’ambito dei fatti descritti nel medesimo capo di imputazione
(Sez. 6, n. 1752 del 14/05/1998, Rv. 211076).
La Corte di Appello di Milano ha, ancora, evidenziato come nella motivazione della sentenza n.
4681/2014, pronunciata nei confronti dei coimputati Biagiotti e Molinaro, la posizione del
Cannizzaro sia stata riportata solo con riferimento alla circostanza della presenza del secondo
(il Molinaro) in Lombardia ad una determinata epoca, in quanto i militari operanti avevano
riferito di un suo incontro con l’odierno ricorrente, senza accenno alcuno all’idoneità degli
elementi accusatori menzionati a far ritenere la responsabilità del ricusante; e, ancora, come
fosse irrilevante tale argomentazione, stante

la netta differenziazione delle regole di

acquisizione probatoria e di valutazione degli elementi acquisiti

nei diversi riti processuali qui

in rilievo.
Il ricorrente insiste essenzialmente su due argomenti: 1°) che la pronunciata responsabilità
penale del Molinaro si fonda anche sui contatti di vario tipo avuti con il Cannizzaro, funzionali
all’importazione della sostanza stupefacente di cui all’imputazione; 2°) che non rileva il
differente regime di utilizzabilità degli atti nell’ambito dei riti processuali in quanto, in ogni
caso, è da considerare il condizionamento subito dai due giudici, connesso all’aver già valutato
la responsabilità dei coimputati nel medesimo reato.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che

non sussiste alcuna valida causa di

ricusazione del giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in precedente
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valutata la posizione del ricorrente o comunque espresso qualsivoglia giudizio sulla sua

procedimento nei confronti di alcuni coimputati e che successivamente concorra a pronunciare
in separato processo altra sentenza nei confronti di altro concorrente nel medesimo reato,
qualora la posizione di quest’ultimo, e dunque la sua responsabilità penale, non sia stata
oggetto di valutazione di merito nel precedente processo

(Sez. 5, n. 6797 del 16/01/2015,

Rv. 262730).
Ed infatti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 371/1996, nel confermare i precedenti
dicta di cui alle note sentenze n. 186/1992 e n. 439/1993, ha ribadito come l’autonomia delle
posizioni di ciascun concorrente consenta – pur nella naturalistica unitarietà delle fattispecie di

condotte autonomamente valutabili in processi distinti, senza che la decisione dell’uno debba
influenzare quella dell’altra.
La fattispecie esaminata dalla Corte Costituzionale riguardava la peculiare ipotesi di reati a
concorso necessario, ma il Giudice delle leggi ha osservato che nel caso in cui non solo vi sia
concorso nel medesimo reato ma la posizione di uno dei concorrenti costituisca elemento
essenziale per la stessa configurabilità del reato contestato agli altri concorrenti, ai quali
soltanto sia formalmente riferita l’imputazione per la quale si procede, la valutazione della
posizione del terzo, dalla quale non si sia potuto prescindere ai fini dell’accertamento della
responsabilità degli imputati, costituisce sicuro ed evidente motivo di incompatibilità nel
successivo processo a carico di tale terzo e che l’incompatibilità in oggetto sussiste, non solo
quando nel primo giudizio la posizione del terzo sia stata valutata a seguito di un puntuale ed
esauriente esame delle prove raccolte a suo carico ma, anche, quando abbia formato “oggetto
di una delibazione di merito superficiale e sommaria, apparendo anzi, in questa seconda
ipotesi, ancor più evidente e grave la situazione di pregiudizio nella quale il giudice verrebbe a
trovarsi.
Di conseguenza, nella ricordata sentenza n. 6797/2015, questa Corte ha ritenuto che
l’incompatibilità – di cui qui si tratta – ha “superato” il limite formale dell’identità del
procedimento dettato dall’art. 34 c.p.p. e viene ora riferita all’identità dell’oggetto tra il giudizio
già compiuto, anche solo incidenter tantum, e il giudizio da compiere.
Orbene, la Corte territoriale ha dimostrato di aver fatto buon governo, nel caso di specie, dei
suddetti principi, avendo accertato che nel giudizio a carico dei correi del Cannizzaro non sono
stati espressi – nemmeno incidentalmente – giudizi in merito alla responsabilità di quest’ultimo
e che la valutazione, anche solo sommaria, della sua posizione non era necessaria ai fini della
configurabilità del reato contestato ai coimputati.
Le doglianze del ricorrente si riducono, quindi, per un verso, all’affermazione di un principio quello per cui il solo aver conosciuto dello stesso reato sarebbe pregiudicante – che come si è
visto non trova riscontro, in quanto è stata espressamente esclusa tanto dal Giudice delle
leggi, che da questa Corte la rilevanza dell’assertiva e generica evocazione di un pregiudizio
che affliggerebbe i giudici ricusati, per il solo fatto di essere venuti a conoscere del “fascicolo
comprensivo degli atti del P.M.”, senza specificare di quali atti si tratta e perché la conoscenza
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concorso – una segmentazione di processi e la scomposizione del fatto in una pluralità di

degli stessi, nella precedente occasione, sarebbe di per se stessa idonea ad influenzare la
valutazione delle prove raccolte nell’istruttoria dibattimentale.
La Corte Costituzionale ha precisato al riguardo che ai fini delle garanzie costituzionali alle
quali la disciplina legale delle incompatibilità deve essere improntata, viene in considerazione
solo l’effettivo compimento di tale valutazione, poiché è solo questo a determinare il
pregiudizio.
Il richiamo della difesa del ricorrente, contenuto memoria difensiva ex art. 121 c.p.p., alla

sovrapponibile perché riguardante il procedimento di prevenzione – nulla aggiunge a quanto
sopra esposto, avuto riguardo alle argomentazioni svolte in ricorso.
È appena il caso di rilevare, infine, la manifesta infondatezza della questione di legittimità
costituzionale degli artt. 34, 36, 37 c.p.p., in relazione agli artt. 3,24, 101, 111, 117 Cost., 5 e
6 CEDU – nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio ordinario nei
confronti di un imputato un giudice che abbia pronunciato, o concorso a pronunciare, una
precedente sentenza nei confronti di altri soggetti, coimputati nel medesimo reato (ex art. 110
c.p.), giudicati separatamente nell’ambito del rito speciale del giudizio abbreviato, nel quale
la posizione di quello stesso imputato in ordine alla sua responsabilità penale sia stata
comunque valutata – difettando nell’esaminata fattispecie, per quanto sopra esposto, proprio
tale ultima condizione, né avendo il ricorrente addotto argomenti diversi da quelli già portati
all’esame del Giudice delle leggi.
Alla declaratoria di rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 22/10/2015.

sentenza di questa Corte Sez.1, n. 2070 del 10/7/2015 – peraltro in fattispecie non

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