Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9228 del 13/02/2014


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9228 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: DELL’UTRI MARCO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Chiraj Rachid n. il 1.4.1972
nei confronti di:
Ministero dell’Economia e delle Finanze
avverso l’ordinanza n. 85/2012 pronunciata dalla Corte d’appello di
Milano il 21.2.2013;
sentita nella camera di consiglio del 13.2.2014 la relazione fatta dal
Cons. dott. Marco Dell’Utri;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona del dott. F.
Salzano che ha richiesto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.

Data Udienza: 13/02/2014

Ritenuto in fatto
i. – Con ordinanza resa in data 21.2.2013, la Corte d’appello di
Milano ha condannato il Ministero dell’Economia e delle Finanze a
corrispondere a Rachid Chiraj la somma di euro 70.000,00 a titolo di
riparazione per l’ingiusta detenzione dallo stesso subita nel periodo
dal 1.12.2009 al 20.6.2011, in relazione a un’ipotesi di reato continuato concernente il traffico di sostanze stupefacenti dalla quale il Chiraj
era stato assolto nel merito.
Con il provvedimento impugnato, la corte milanese, ritenuta la
sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’indennità rivendicata dal ricorrente, ha quantificato l’entità di quest’ultima muovendo dall’importo giornaliero pari a circa euro 100,00, così determinato attraverso la riduzione del maggior importo risultante dal
computo aritmetico espresso dalla proporzione tra la durata massima
della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p. e la somma massima
attribuibile come indennizzo a norma dell’art. 315, co. 2, c.p.p., in
considerazione della minore affiittività che lo stato detentivo aveva
avuto nella concreta fattispecie, avuto riguardo alle già deteriorate
condizioni di vita del Chiraj.
Avverso il provvedimento della corte d’appello di Milano, a
mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione il
Chiraj denunciando la violazione di legge e il vizio di motivazione in
cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato.
In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia illegittimamente e illogicamente attribuito, al fine di ridurre il parametro c.d. `nummario’ dell’indennità rivendicata (ordinariamente
determinato attraverso il rapporto tra la durata massima della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p. e la somma massima attribuibile
come indennizzo a norma dell’art. 315, co. 2, c.p.p.), un decisivo rilievo alle preesistenti degradate condizioni socio-economiche del ricorrente (tali da comportare, a carico dello stesso, un asserito minor
grado di affiittività della detenzione subita), in violazione di tutti i
principi sul punto stabiliti dalla costante giurisprudenza di legittimità, viceversa sottostimando il complesso degli indici evidenziati, nel
corso del giudizio di merito, a sostegno della denunciata gravità delle
conseguenze sofferte, a causa della detenzione, a carico della propria
vita personale e familiare.
2. –

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Considerato in diritto
3. – Il ricorso è fondato.
Con riguardo alle doglianze sollevate dall’odierno ricorrente,
osserva il collegio come l’ordinanza impugnata sia incorsa in
un’evidente e grave violazione del generale principio di uguaglianza
stabilito dall’art. 3 della Costituzione – e in una corrispondente manifesta illogicità della motivazione -, nel giustificare l’adeguamento del
c.d. parametro ‘nummario’ dell’indennità rivendicata dal ricorrente,
attraverso la considerazione del riflesso delle preesistenti degradate
condizioni socio-economiche del Chiraj sull’afflittività dell’esperienza
carceraria allo stesso imposta.
Sul punto, è appena il caso di rammentare come, secondo il
consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, nella liquidazione dell’indennità per la riparazione dell’ingiusta detenzione subita, il giudice sia chiamato all’esercizio di un potere di valutazione
equitativa, in termini monetari, del complesso dei pregiudizi sulki
dal richiedente in conseguenza dell’ingiusta detenzione sofferta, allo
stesso garantendo il riconoscimento di un ristoro destinato a corrispondere, non già a un puntuale e integrale risarcimento del danno,
bensì a una significativa riparazione suscettibile di compensare le
conseguenze afflittive patite per effetto della restrizione della propria
libertà.
A tal fine, in termini orientativi (e al fine di sottrarre la determinazione dell’indennizzo a un’eccessiva discrezionalità del giudice e
a garantire una razionale uniformità di giudizio), questa corte ha
suggerito il ricorso a un canone-base, costituito dal rapporto tra la
somma massima posta a disposizione dal legislatore e la durata massima della custodia cautelare commisurate alla concreta protrazione
dell’ingiusta detenzione sofferta dall’istante.
La somma che deriva da tale computo (pari ad euro 235,82 per
ciascun giorno di detenzione in carcere) può essere ragionevolmente

Ha depositato memoria il procuratore generale presso la corte
di cassazione, che ha concluso per l’annullamento con rinvio del
provvedimento impugnato.
Con memoria pervenuta in data 28.1.2014, il ricorrente ha
formalmente dichiarato di rinunciare alla trattazione pubblica del
proprio ricorso.

dimezzata (euro 117,90 nel caso di detenzione domiciliare, attesa
l’intuibile oggettiva minore afflittività di tale misura (cfr., da ultimo
Cass., Sez. 4, n. 10123/2011, Rv. 252026).
La stessa somma (nella sua base essenziale fissata in forza di
un criterio oggettivo) può inoltre subire adattamenti al caso concreto,
là dove emergano specificità relative alla valutazione di circostanze di
carattere oggettivo o soggettivo riferibili al caso in esame (detenzione
in carcere o a domicilio, autorizzazione al lavoro o meno, etc.), in
ogni caso dovendo il giudice procedere alla formulazione di un’adeguata e congrua motivazione estesa all’esplicitazione delle eventuali
massime di esperienza evocate nella considerazione delle circostanze
di fatto in concreto valorizzate (cfr. Cass., Sez. 4, n. 544/1993, Rv.
194228).
Il canone-base richiamato, dunque, mentre appare suscettibile
di adeguamenti quantitativi (in termini di maggiore o minore entità
monetaria) con riguardo alle specifiche caratteristiche del caso concreto (e dunque in relazione a situazioni o conseguenze legate all’ingiusta detenzione idonee a rifluire, in chiave personale e/ o familiare,
sul grado di afflittività della restrizione subita, di là dalla mera privazione della libertà personale: v. Cass., Sez. 4, n. 34857/2011, Rv.
251429), deve ritenersi viceversa destinato a rimanere insensibile
all’incidenza di particolari occorrenze – quali, ad esempio, la pregressa esperienza carceraria subita (v., sul punto, Cass., Sez. 4, n.
9713/2010, Rv. 246743; Cass., Sez. 3, n. 17404/2011, Rv. 250279) o
l’appartenenza a determinate classi sociali e la conseguente qualificabilità delle condizioni socio-economiche del soggetto – che, oltre a introdurre inammissibili parametri logico-argomentativi d’indole arbitraria o apodittica, si rivelano insanabilmente in contrasto con il
principio di uguaglianza scolpito dall’art. 3 della Costituzione, nella
parte in cui esclude che le particolari condizioni personali e sociali
possano valere, di per sé, a giustificare qualsivoglia disparità di trattamento tra i soggetti dell’ordinamento.
In breve, là dove la corte territoriale ha legittimamente disatteso la richiesta estensione della riparazione invocata dal ricorrente
alle ‘ulteriori’ conseguenze d’indole patrimoniale dallo stesso non
adeguatamente comprovate – correttamente richiamando la continuità nel tempo delle (già degradate) condizioni socio-economiche del
Chiraj quali indici presuntivi di una sostanziale irrilevanza patrimo-

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niale della detenzione sofferta -, del tutto ingiustificatamente la stessa corte ha preteso di estendere la considerazione delle medesime
condizioni socio-economiche del Chiraj ai fini della valutazione
dell’intensità afflittiva dell’esperienza carceraria (e dunque della privazione della libertà personale in sé considerata), arbitrariamente
deprimendo il parametro-base più sopra richiamato in forza di uno
spunto argomentativo giuridicamente e logicamente non consentito.
Sulla base di tali premesse, pertanto, la motivazione dettata
nel provvedimento impugnato, laddove ha ritenuto di adeguare in
termini riduttivi il canone-base relativo alla determinazione dell’equo
indennizzo rivendicato dal ricorrente in ragione della pretesa minore
afflittività dell’esperienza carceraria ingiustamente impostagli, a causa delle pregresse condizioni socio-economiche del soggetto, deve ritenersi dettata in violazione del principio generale di uguaglianza di
cui all’art. 3 della costituzione, oltre che in termini di manifesta illogicità; ciò che ne impone il conseguente annullamento con rinvio alla
medesima corte d’appello di Milano per nuovo esame.

Per questi motivi
la Corte Suprema di Cassazione, annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.2.2014.

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