Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9224 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9224 Anno 2016
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SALDIMPIANTI COSTRUZIONI MECHANICAL ASSEMBLY
S.R.L.
avverso l’ordinanza n. 6/2014 TRIB. LIBERTA’ di LANUSEI, del
24/09/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;
lette/site le conclusioni del PG Dott.

g

eo1/4.0

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 27/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1.1 Con ordinanza del 24 settembre 2014 il Tribunale di Lanusei, in funzione di giudice del
Riesame rigettava in parte la richiesta di riesame avanzata nell’interesse della società
SALDIMPIANTI COSTRUZIONI MECHANICAL ASSEMBLY s.r.l. avverso il decreto di sequestro
preventivo per equivalente fino alla concorrenza di C 297.780,00 corrispondente all’omesso
versamento dell’IVA per l’anno fiscale 2010 entro il termine di legge previsto per il 27
dicembre 2011. Il Tribunale, infatti, riduceva l’importo ad C 275.831.31, disponendo il

una quota parte della IVA omessa oggetto di versamento per effetto della intervenuta
rateizzazione, mantenendo nel resto il provvedimento cautelare.
1.2 Propone ricorso avverso il detto provvedimento la società suddetta in persona del suo
legale rappresentante INGROSSO Romeo, deducendo due motivi: con il primo lamenta
l’inosservanza della legge penale e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato, evidenziando come l’unica ragione del mancato versamento
risiedesse nella improvvisa ed imprevedibile crisi di liquidità dell’azienda che non aveva potuto
reperire le risorse destinate all’assolvimento dell’obbligo tributario. Con il secondo motivo la
difesa, richiamandosi alla decisione della CEDU nella causa Grande Stevens c. Italia emessa in
data 4 marzo 2014, sostiene essere stata violata la regole del ne bis in idem in quanto la
società sarebbe stata assoggettata ad una duplice sanzione per lo stesso fatto avente identica
natura afflittiva di tipo penale; rileva in proposito la difesa che la società, privata in via
cautelare della somma corrispondente all’IVA non versata, è stata destinataria, altresì, di una
cartella di pagamento da parte della concessionaria per la riscossione EQUITALIA s.p.a. avente
per oggetto una somma addirittura doppia rispetto all’IVA omessa ed evidenzia che, in ogni
caso, alla notifica della cartella è seguita una rateizzazione concordata del debito tributario in
corso al momento del sequestro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Premesso che al legale rappresentante della
società ricorrente è stato contestato il reato di cui all’art. 10 ter del D. Lgs. 74/00 per l’omesso
versamento dell’IVA annuale concernente l’anno 2010 per l’importo di C 297.780,00, il
Tribunale ha ravvisato il fumus criminis nel mancato – e peraltro documentato – assolvimento
di tale specifico obbligo tributario.
1.1 E’ noto quali siano i confini all’interno dei quali il Tribunale è chiamato a verificare la
sussistenza del fumus delicti indispensabile per l’adozione del provvedimento cautelare reale.
Come ripetutamente affermato da questa Corte, nel caso di adozione di misure cautelari reali,
il controllo del giudice del riesame non può investire la concreta fondatezza dell’accusa, ma
deve essere limitato alla verifica della corrispondenza della fattispecie astratta di reato
ipotizzata dall’accusa al fatto per cui si procede, esulando da tale controllo la possibilità del
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dissequestro e la contestuale restituzione all’avente diritto della somma di C 21.948,69 pari ad

concreto accertamento delle circostanze di fatto su cui la stessa è fondata, ed a maggior
ragione delle circostanze di fatto che alle prime, eventualmente, si sovrappongano, rendendo
giustificata la condotta dell’indagato; circostanze che sono attribuite alla cognizione del giudice
del merito (Cass. Sez. 3″ 12.5.1999 n. 1821, Petix, Rv. 214218). Proprio per questa ragione
si rende necessario il rinvio alla fase di merito di profili sia in punto di materialità della
condotta che di elemento soggettivo che necessitano di approfondimenti ulteriori incompatibili
con la fase cautelare nella quale deve farsi riferimento soltanto alla astratta configurabilità del

quale è il sequestro seppur finalizzato alla confisca per equivalente.
1.2 Naturalmente l’attività di controllo del giudice del riesame non potrà essere
disancorata dall’analisi delle deduzioni difensive offerte dalle parti, essendo preciso obbligo del
giudice, quello di dare conto anche delle ragioni per le quali per le quali il fatto integra il reato
contestato, posto che quest’ultimo è antecedente logico e necessario del provvedimento
cautelare (in questo senso Cass. Sez. 2^ 23.3.2006 n. 19523, P.M. in proc. c. Cappello, Rv.
234197; Cass. Sez. 3^ 20.5.2010 n. 27715, Barbano, Rv. 248134).
1.3 Ovviamente, poiché è compito del giudice quello di esaminare il fumus criminis in tutte
le componenti relative alla fattispecie contestata, ivi compreso l’elemento soggettivo, solo
laddove questo risulti ad evidenza insussistente, potrà essere rilevata l’infondatezza del fumus
commissi delicti (in questo senso Cass. Sez. 4^ 21.5.2008 n. 23944, P.M. in proc. Di Fulvio,
Rv. 240521; Cass. Sez. 3^ 11.3.2010, D’Orazio, Rv. 247103).
1.4 Corollario di tale proposizione è che nella sola ipotesi della ritenuta insussistenza del
fumus commissi delicti in tutti le sue componenti, il sequestro oggetto di riesame potrà
(rectius, dovrà) essere revocato.
1.5 Tanto premesso, occorre allora verificare se nel caso di specie il Tribunale si sia
attenuto ai detti criteri o se sia incorso in una carenza assoluta di motivazione (cui è
equiparabile una motivazione meramente apparente e dunque del tutto vuota di contenuto):
ciò in correlazione con altro limite proprio della’ impugnabilità in sede di legittimità di
provvedimenti cautelari di natura reale, ammessa soltanto per violazione di legge,
intendendosi per tale sia quella concernente errores in procedendo che quella concernente
errores in judicando ovvero per violazione di legge derivante da vizi motivazionali così radicali
da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante
o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a
rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (tra le tante Sez. 1^ 31.1.2012 n.
6821, Chiesi, Rv. 252430; Sez. 5^ 13.10.2009 n. 43068, Bosi, Rv. 245093; s.u. 29.5.2008 n.
25932, Ivanov, Rv. 239692).
1.6 Orbene il Tribunale, nel ricostruire i termini della vicenda ha ravvisato il fumus criminis
attenendosi alle regole sopra enunciate, in quanto oltre a valutare l’elemento oggettivo, sia
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reato ed alla sussistenza dei presupposti per adottare un provvedimento ablativo provvisorio

pure a livello provvisorio sulla base degli atti a disposizione come prospettati dalla Pubblica
Accusa, ha tenuto conto anche delle deduzioni difensive prospettate in sede propria dalla
difesa che aveva, per l’appunto, posto l’accento esclusivamente sull’improvviso difetto di
liquidità dell’azienda. Il Tribunale, in replica a tale tesi, ha escluso che si versasse in una
ipotesi di forza maggiore e che da parte della difesa fosse stata fornita la prova della assoluta
impossibilità di adempiere all’obbligo per cause non imputabili all’azienda, sottolineando come
nel corso del 2011 (anno in cui si sarebbe dovuto provvedere al versamento dell’IVA) la società

dell’IVA. La decisione del Tribunale, quindi, non solo è corretta sotto il profilo motivazionale in
quanto nessuna carenza può essere ravvisata essendo stato tenuto conto anche dei rilevi
difensivi, ma è rispettosa di quelle regole da tempo elaborate dalla giurisprudenza di questa
Corte secondo le quali non è sufficiente ad escludere la colpevolezza in materia di omesso
versamento dell’IVA per la cui integrazione è previsto il dolo generico, prospettare la crisi di
liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine cd. “lungo”, ove non venga
dimostrato che tale situazione di impasse finanziaria non sia dipesa dalla scelta di non far
debitamente fronte alla esigenza predetta (v. oltre a S.U. 28.3.2013 n. 37424, Romano, anche
Sez. 3^ 24.6.2014 n. 8352, Schirosi, Rv. 263128; idem, 6.11.2013 n. 2614, Saibene, Rv.
258595; e, con riferimento alla similare ipotesi di omesso versamento delle ritenute certificate
ex art. 10 bis del D. Lgs. 74/00 Sez. 3^ 5.12.2013 n. 5467, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3^
1.12.2010 n. 10120, Provenzale).
1.7 Perché in concreto ciò si verifichi, è però necessario che da parte dell’interessato
vengano assolti gli oneri di allegazione che dovranno investire non solo l’aspetto della non
ascrivibilità a chi abbia omesso il versamento, della crisi economica che ha investito l’azienda o
la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile
tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto (non
ultimo, il ricorso al credito bancario). Si è anche precisato che il ricorrente che intenda giovarsi
in concreto di tale esimente, dovrà dare prova di non aver potuto reperire le risorse necessarie
a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo
posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte
a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti
dalla sua volontà e a lui non imputabili (in questi termini oltre alla ricordata decisione
Mercutello, vds. di questa stessa Sezione sentenza 6.2.2014, n. 10813, Servida, non
massimata).
1.8 Dal testo del ricorso si ricava una ulteriore prova della esattezza della decisione del
Tribunale dal momento che la difesa prospetta quale causa della illiquidità aziendale la
circostanza imprevista di un mancato introito di somme da parte di una società (la TECNIMONT
s.p.a. corrente in Milano) per conto della quale la società ricorrente aveva effettuato lavori per
la realizzazione di una centrale a biomasse in provincia di Pavia con la quale era insorto un
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aveva avuto a disposizione somme liquide che tuttavia non aveva destinato al versamento

contenzioso poi risolto in fase transattiva che aveva comportato per la società SALDIMPIANTI
COSTRUZIONI MECHANICAL ASSEMBLY s.r.l. la percezione di C 543,468,86 in luogo della
somma dovuta di C 1.317.474,80. Tale disponibilità, seppure ridotta rispetto alle previsioni,
avrebbe consentito – a giudizio del Tribunale – il reperimento di risorse per il pagamento del
tributo, tenuto conto della priorità di assolvimento del debito erariale rispetto ad altri, pur seri,
impegni economici.
2. Anche il secondo motivo, a giudizio del Collegio, non è fondato. La ricorrente, partendo

fiscale ha natura eminentemente sanzionatoria (v. in proposito S.U. 31.1.2013 n. 18374,
Adami e altro, Rv. 255037; Sez. 3″ 6.3.2014 n. 18311, Cialini, Rv. 259103; Sez. 3^
27.2.2013 n. 23649, D’Addario, Rv. 256164), perviene alla conclusione che, nel caso in esame,
la sanzione tributaria irrogata ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs. 472/97 avrebbe identica natura. E
quanto all’identità del fatto, tale ultima sanzione irrogata attraverso la cartella di pagamento
emessa dalla società EQUITALIA s.p.a. ed oggetto della richiesta di rateizzazione poi accolta
dalla concessionaria per la riscossione e dalla stessa Amministrazione Finanziaria, muove dal
medesimo fatto storico che ha dato luogo alla sanzione di tipo ablatorio disposta dal giudice
penale, con la conseguenza che nel caso in esame sarebbe ravvisabile una violazione del
principio del ne bis in idem recentemente riaffermato dalla CEDU nella causa Grande Stevens
c. Italia con la nota sentenza del 4 marzo 2014.
2.1 Tale tesi non può essere condivisa. Come è noto l’art. 4 del Protocollo n. 7 della
Convenzione E.D.U. sancisce il c.d. principio del “ne bis in idem”, laddove si afferma che

“Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso
Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza
definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato”.
2.2 In parallelo l’art. 50 della Carta dei Diritti fondamentali della U.E. dispone
testualmente : “Nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già

stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva
conformemente alla legge”.
2.3 Ora, indipendentemente dalla natura – eventualmente penale – della sanzione inflitta
in via amministrativa alla società odierna ricorrente, è incontroverso che la norma europea
pone un limite alla possibilità che un individuo venga processato (o condannato) per una
seconda infrazione quando questa scaturisce dagli stessi fatti che hanno dato origine alla prima
sanzione.
2.4 Tuttavia tale disposizione trova applicazione nella ipotesi – qui non ricorrente – in cui
del medesimo fatto sia chiamato a rispondere lo stesso autore, nel senso, cioè, che occorre
anche una identità soggettiva passiva del destinatario della sanzione: ma laddove dello stesso
fatto rispondono a titolo diverso due diversi soggetti (nel caso in esame la società, destinataria
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dalla condivisibile premessa che il provvedimento di sequestro per equivalente in materia

della sanzione tributaria vera e propria ed il suo legale rappresentante, unico soggetto ad
essere perseguito penalmente per la condotta contemplata dall’art. 10 ter del D. Lgs. 74/00
non punibile ove riferita alla società), la norma EDU non può trovare applicazione: è non è
superfluo ricordare che a norma dell’art. 7 del D.L. 30.9.2003 n. 269 convertito nella L.
24.11.2003 n. le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio delle società aventi
personalità giuridica (e la società odierna ricorrente è una s.r.I.) sono a carico di queste ultime
e non della persona fisica che le rappresenta legalmente (v. per tali concetti Sez. 3^

presente sentenza, secondo la quale “non sussiste la preclusione all’esercizio dell’azione penale di cui
all’art. 649 cod. proc. pen., quale conseguenza della già avvenuta irrogazione, per lo stesso fatto, di una
sanzione formalmente amministrativa ma avente carattere sostanzialmente “penale” ai sensi dell’art. 7
CEDU, allorquando non vi sia coincidenza fra la persona chiamata a rispondere in sede penale e quella
sanzionata in via amministrativa”).
2.5 Una ulteriore ragione della infondatezza della tesi difensiva – che si connota per un
richiamo non adeguatamente approfondito ed elaborato alla sentenza della CEDU 4 marzo
2014 – risiede nel fatto che nel caso in esame non vi è stata alcuna sanzione di tipo definitivo,
quanto meno sotto il profilo formalmente penale, posto che il decreto di sequestro per
equivalente è sì finalizzato alla confisca (che sotto il profilo ablatorio rappresenta una sanzione
definitiva) ma abbisogna della conferma giudiziale della condanna penale per il reato
presupposto, nella specie ancora di là da venire; sicchè manca anche il requisito della
definitività di una sanzione che rende inapplicabile una seconda sanzione per il medesimo
fatto.
3. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato: segue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
Il Co sigliere estensore

Il Presidente

24.10.2014 n. 43809, Gabbana e altri, Rv. 265118, depositata nelle more del deposito della

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