Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9220 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9220 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IZZO FAUSTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :

AVIGNONE Francesco,

nato a Polistena -RC- il 14\10\1970

avverso l’ordinanza del 6\4\2012 della Corte di
Appello di Reggio Calabria (nr. 14\2011),

udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Fausto Izzo ;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona
del dott. Vito D’Ambrosio, che chiesto rigettarsi il ricorso;

Data Udienza: 13/11/2013

1. Con ordinanza del 6\4\2012 la Corte di Appello di Reggio Calabria rigettava
l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione avanzata da Avignone Francesco.
Questi, arrestato in esecuzione di ordinanza cautelare del G.i.p. di Reggio, per il reato
di cui all’art. 416 bis c.p. e tentata estorsione, era stato detenuto dal 17\1\2005 al
16\1\2006. All’esito del processo di primo grado era stato assolto dall’imputazione
associativa e condannato per la tentata estorsione. Con sentenza della Corte di
Appello del 3\3\2010 veniva definitivamente assolto da tutti i reati per non aver
commesso i fatti.
Osservava la Corte di merito che nella vicenda l’Avignone aveva mantenuto una
condotta gravemente colposa che aveva concorso ad indurre in errore il giudice nella
adozione e mantenimento della misura cautelare.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’Avignone
deducendo la violazione di legge ed il vizio della motivazione laddove la Corte di
merito aveva ritenuto la sussistenza di un comportamento connotato da colpa grave
ed idoneo ad incidere sull’errore del giudice. Invero il ricorrente non aveva assicurato
al congiunto alcun positivo intervento ma si era limitato solo a tranquillizzare la
vittima.
CONSIDERATO in DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Va premesso che, come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per
l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di
parametri di valutazione differenti.
In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non
nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei
a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza
dell’imputato, l’adozione ed il mantenimento della misura, inducendo in errore il
giudice
3.2. Nella specie, è quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato
in modo congruo e logico in ordine alla condotta dell’Avignone ed alla sua idoneità ad
ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nei fatti criminali
contestatigli.
Ebbene, la Corte territoriale, facendo buon governo dell’applicazione delle norme in
materia e con motivazione logica ed ampia, ha evidenzia Ke le ragioni che hanno
indotto al rigetto della richiesta. In particolare dagli atti processuali era emerso che il
ricorrente aveva fatto da intermediario, con successo, per evitare un’estorsione in
danno del cugino Grimaldi Giuseppe. Con tale condotta aveva dimostrato capacità di
incidere sulle decisioni della cosca “Radicena” di Taurianova interessata all’atto
delittuoso. Nel giudizio di merito a suo carico erano state poste le accuse di alcuni
collaboratori (Comandè Roberto e Giuseppe) le quali, non essendo state riscontrate,
avevano inibito la pronuncia di condanna.
La condotta era stata ritenuta gravemente colposa, anche alla luce del fatto che
L’Avignone, pregiudicato, si era inserito nella vicenda, con autorevolezza, subito dopo
la sua scarcerazione.

2

RITENUTO in FATTO

Cass. Sez. Un. Sentenza n. 43 del 13/12/1995 Cc. (dep. 09/02/1996), Rv. 203637, ric. Sarnataro;
Cass. Sez. Un., Sentenza n. 34559 del 26/06/2002 Cc. (dep. 15/10/2002), Rv. 222263, ric. Di
Benedictis).

Invero, il sistema della riparazione, come delineato dalla Corte regolatrice, è permeato
dal principio solidaristico, in forza del quale il diritto alla riparazione, in ogni sua
estrinsecazione, inerisce oggettivamente al limite della non interferenza causale della
condotta del soggetto passivo della custodia. Questa Suprema Corte, già con sentenza
n. 6628 del 2009, espressamente richiamata dalle Sezioni Unite n. 32383 del
27.05.2010, ha considerato che il principio solidaristico sotteso all’istituto della
riparazione per ingiusta detenzione, “trova il suo naturale contemperamento nel
dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente
non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o
dolosamente cagionati”.
Pertanto, in tale prospettiva, deve ritenersi che le descritte condotte dell’Avignone
(che, invecedi invitare il congiunto a denunciare il delitto, sfruttando l’autorevolezza che
gli derivava dal suo profilo criminale e dalla conoscenza degli autori del delittoi si è
adoperato per evitare la consumazione dell’estorsione in danno di una persona da lui
garantita e protetta) coerentemente sono state ritenute integrare un comportamento
gravemente colposo ostativo alla riparazione, perché idonee a concorrere a
determinare l’errore del giudice al momento dell’adozione della misura e del suo
mantenimento, tanto da inibire il riconoscimento della riparazione, in ragione del
venire meno del fondamento solidaristico dell’istituto.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013
Il Cons’ liere estensore

3.3. A fronte di tale esaustiva motivazione, le censure formulate dal ricorrente sono
caratterizzate da genericità, con richiami ai principi che governano la materia della
riparazione, ma senza specifici argomenti idonei a confutare la ricostruzione dei fatti e
la loro valutazione, effettuata dalla Corte di Appello.
Va ricordato come questa corte di legittimità ritenga dolosa, non solo la condotta
diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e
rappresentato nei termini fattuali ossia l’azione in concreto preordinata all’adozione o
al mantenimento della misura cautelare, ma anche quella che, valutata con il
parametro dell’id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della sicurezza
collettiva. Inoltre che si ritenga gravemente colposo il comportamento di colui il quale
per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione
che renda prevedibile, anche se non voluto, l’intervento dell’autorità giudiziaria (cfr.

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