Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9217 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9217 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IZZO FAUSTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :

PENSA Tommaso, nato a San Severo il 5\1\1967
avverso l’ordinanza del 26\1\2012 della Corte di
Appello di Bari (nr. 57\2007),

udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Fausto Izzo ;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona
del dott. Vito D’Ambrosio, che chiesto dichiararsi
inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 13/11/2013

1. Con ordinanza del 26\1\2012 la Corte di Appello di Bari rigettava l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione avanzata da Pensa Tommaso.
Questi, arrestato in esecuzione di ordinanza cautelare del G.i.p. di Foggia 51W -niír. in
data 29\4\1994, per il reato di cui all’art. 73 T.U. 309 del 1990, era stato detenuto
per un anno. All’esito del processo era stato assolto, ai sensi dell’art. 530, co. II,
c.p.p., con sentenza del 20\12\2004, passata in giudicato.
Osservava la Corte di merito che nella vicenda il Pensa aveva mantenuto una condotta
gravemente colposa che aveva concorso ad indurre in errore il giudice nella adozione
e mantenimento della misura cautelare.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’interessato, a mezzo del
difensore deducendo la violazione di legge ed il vizio della motivazione laddove la
Corte di merito aveva ritenuto la sussistenza di un comportamento connotato da colpa
grave ed idoneo ad incidere sull’errore del giudice. Invero le intercettazioni erano
state ritenute dal giudice della cognizione inidonee a fondare un giudizio di
colpevolezza, pertanto non potevano, nel giudizio riparatorio, essere interpretate in
modo differente. Peraltro il ricorrente aveva spiegato che i suoi legami con persone
dedite all’illecito traffico erano dovute allo svolgimento di lavori di muratura.
CONSIDERATO in DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Va premesso che, come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per
l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di
parametri di valutazione differenti.
In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non
nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei
a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza
dell’imputato, l’adozione ed il mantenimento della misura, inducendo in errore il
giudice
3.2. Nella specie, è quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato
in modo congruo e logico in ordine alla condotta del Pensa ed alla sua idoneità ad
ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nei fatti criminali
contestatigli.
Ebbene, la Corte territoriale, facendo buon governo dell’applicazione delle norme in
materia e con motivazione logica ed ampia, ha evidenzia le ragioni che hanno
indotto al rigetto della richiesta. In particolare dagli atti processuali era emerso che il
Pensa aveva continui contatti personali e telefonici con due persone dedite al traffico
di stupefacenti, Bonaventura e Damasco. Il Bonaventura aveva lasciato in talune
occasioni il suo telefono cellulare al Pensa, il quale rispondeva al suo posto. Il
linguaggio utilizzato nelle conversazioni era criptico ed in una circostanza il Pensa
aveva informato il Bonaventura della presenza delle forze dell’ordine (“… “uomini con
le parrucche”…) nei pressi della sua abitazione. Se ciò non era stato ritenuto dal
giudice della cognizione prova del concorso nel traffico di stupefacenti, certamente era
sintomatico della consapevolezza del Pensa delle illecite attività delle persone che
assiduamente frequentava.
Va in proposito ricordato l’insegnamento di questa Corte, secondo il quale, in
relazione alla problematica della valenza nel giudizio riparatorio della conoscenza e
frequentazione di pregiudicati, tali ambigue frequentazioni, ossia quelle che si

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RITENUTO in FATTO

prestano oggettivamente ad essere interpretate come indizi di complicità, quando non
sono giustificate da rapporti di parentela, possono dare luogo ad un comportamento
gravemente colposo idoneo ad escludere la riparazione, solo se sono poste in essere
con la consapevolezza che trattasi di soggetti coinvolti in traffici illeciti (Cass. n. 363\08,

3.3. A fronte di tale esaustiva motivazione, le censure formulate dal ricorrente sono
caratterizzate da genericità, con richiami ai principi che governano la materia della
riparazione, ma senza specifici argomenti idonei a confutare la ricostruzione dei fatti e
la loro valutazione, effettuata dalla Corte di Appello.
Va ricordato come questa corte di legittimità ritenga dolosa, non solo la condotta
diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e
rappresentato nei termini fattuali ossia l’azione in concreto preordinata all’adozione o
al mantenimento della misura cautelare, ma anche quella che, valutata con il
parametro dell’id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della sicurezza
collettiva. Inoltre che si ritenga gravemente colposo il comportamento di colui il quale
per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione
che renda prevedibile, anche se non voluto, l’intervento dell’autorità giudiziaria (cfr.
Cass. Sez. Un. Sentenza n. 43 del 13/12/1995 Cc. (dep. 09/02/1996), Rv. 203637, ric. Sarnataro;
Cass. Sez. Un., Sentenza n. 34559 del 26/06/2002 Cc. (dep. 15/10/2002), Rv. 222263, ric. Di
Benedictis).

Invero, il sistema della riparazione, come delineato dalla Corte regolatrice, è permeato
dal principio solidaristico, in forza del quale il diritto alla riparazione, in ogni sua
estrinsecazione, inerisce oggettivamente al limite della non interferenza causale della
condotta del soggetto passivo della custodia. Questa Suprema Corte, già con sentenza
n. 6628 del 2009, espressamente richiamata dalle Sezioni Unite n. 32383 del
27.05.2010, ha considerato che il principio solidaristico sotteso all’istituto della
riparazione per ingiusta detenzione, “trova il suo naturale contemperamento nel
dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente
non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o
dolosamente cagionati”.
Pertanto, in tale prospettiva, deve ritenersi che le descritte condotte del Pensa
coerentemente sono state ritenute integrare un comportamento gravemente colposo
ostativo alla riparazione, perché idonee a concorrere a determinare l’errore del giudice
al momento dell’adozione della misura e del suo mantenimento, tanto da inibire il
riconoscimento della riparazione, in ragione del venire meno del fondamento
solidaristico dell’istituto.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013
Il Consigliere estensore

ric. Pandullo, rv. 238782; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 179 del 24/01/1997 Cc. (dep. 27/02/1997),
Rv. 207261).
»e

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