Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9216 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9216 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: IZZO FAUSTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :

BRUZZESE Giuseppe,

nato a Grotteria -RC- il 10\12\1954

avverso l’ordinanza del 17\2\2012 della Corte di
Appello di Milano (nr. 137\2011),

udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Fausto /zzo ;
lette le conclusioni del Procuratore Generale, in persona
del dott. Luigi Riello, che chiesto l’annullamento con rinvio
dell’ordinanza;

Data Udienza: 13/11/2013

RITENUTO in FATTO

2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore del Bruzzese
deducendo la violazione di legge ed il vizio della motivazione laddove la Corte di
merito aveva ritenuto la sussistenza di un comportamento connotato da colpa grave
ed idoneo ad incidere sull’errore del giudice. Invero il ricorrente non aveva mantenuto
alcun comportamento specifico da cui desumere una macroscopica colpa; né ciò
poteva desumersi dalla mera frequentazione di un bar e la conoscenza di alcuni
affiliati. Peraltro anche ad ammettere (circostanza non provata) una sua presunta
affiliazione ad un clan cessata nel 1982, tale condotta si era arrestata ad oltre dieci
anni prima dei fatti contestati.
CONSIDERATO in DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
3.1. Va premesso che, come è noto, il rapporto tra giudizio penale e giudizio per
l’equa riparazione, è connotato da totale autonomia ed impegna piani di indagine
diversi e che possono portare a conclusioni del tutto differenti (assoluzione nel
processo, ma rigetto della richiesta riparatoria) sulla base dello stesso materiale
probatorio acquisito agli atti, ma sottoposto ad un vaglio caratterizzato dall’utilizzo di
parametri di valutazione differenti.
In particolare, è consentita al giudice della riparazione la rivalutazione dei fatti non
nella loro valenza indiziaria o probante (smentita dall’assoluzione), ma in quanto idonei
a determinare, in ragione di una macroscopica negligenza od imprudenza
dell’imputato, l’adozione ed il mantenimento della misura, inducendo in errore il
giudice
3.2. Nella specie, è quindi determinante stabilire se la Corte di merito abbia motivato
in modo congruo e logico in ordine alla condotta del Bruzzese ed alla sua idoneità ad
ingenerare nel giudice che ha emesso il provvedimento restrittivo della libertà
personale il convincimento di un suo probabile coinvolgimento nei fatti criminali
contestatigli.
Ebbene, la Corte territoriale, facendo buon governo dell’applicazione delle norme in
materia e con motivazione logica ed ampia, ha evidenzi. le ragioni che hanno
indotto al rigetto della richiesta. In particolare dagli atti processuali era emerso che il
ricorrente aveva continue frequentazioni con appartenenti al clan Mazzaferro,
conoscenza da lui stessa ammessa; inoltre frequentava zone notoriamente di spaccio
di droga. La sua assoluzione era stata determinata dal fatto che le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia non avevano trovato riscontri.
Va rammentato l’insegnamento di questa Corte secondo il quale “In tema di
riparazione per l’ingiusta detenzione, integra gli estremi della colpa grave ostativa al
riconoscimento del diritto, la condotta di chi, nei reati contestati in concorso, abbia
tenuto, pur consapevole dell’attività criminale altrui, comportamenti percepibili come

2

1. Con ordinanza del 17\2\2012 la Corte di Appello di Milano rigettava l’istanza di
riparazione per ingiusta detenzione avanzata da Bruzzese Giuseppe.
Questi, arrestato in esecuzione di ordinanza cautelare del G.i.p. di Milano, per il reato
di cui all’art. 416 bis c.p. ed agli artt. 73 e 74 T.U. 309 del 1990, era stato detenuto
dal 15\6\1994 al 21\10\1997. All’esito del processo, dopo alterne decisioni ed
annullamenti con rinvio della Cassazione, era stato assolto con formula piena con
sentenza della Suprema Corte del 16\11\2009.
Osservava la Corte di merito che nella vicenda il Bruzzese aveva mantenuto una
condotta gravemente colposa che aveva concorso ad indurre in errore il giudice nella
adozione e mantenimento della misura cautelare.

indicativi di una sua contiguità” (Cass. Sez. 4, Ordinanza n. 45418 del 25/11/2010 Cc. (dep.
27/12/2010), Rv. 249237; Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37528 del 24/06/2008 Cc. (dep.
02/10/2008), Rv. 241218).

3.3. A fronte di tale esaustiva motivazione, le censure formulate dal ricorrente sono
caratterizzate da genericità, con richiami ai principi che governano la materia della
riparazione, ma senza specifici argomenti idonei a confutare la ricostruzione dei fatti e
la loro valutazione, effettuata dalla Corte di Appello.
Va ricordato come questa corte di legittimità ritenga dolosa, non solo la condotta
diretta, secondo il criterio penalistico, alla realizzazione di un evento voluto e
rappresentato nei termini fattuali ossia l’azione in concreto preordinata all’adozione o
al mantenimento della misura cautelare, ma anche quella che, valutata con il
parametro dell’id quod plerumque accidit sia tale da creare una situazione di allarme
sociale e di doveroso intervento dell’autorità giudiziaria a tutela della sicurezza
collettiva. Inoltre che si ritenga gravemente colposo il comportamento di colui il quale
per negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi o regolamenti crei una situazione
che renda prevedibile, anche se non voluto, l’intervento dell’autorità giudiziaria (cfr.
Cass. Sez. Un. Sentenza n. 43 del 13/12/1995 Cc. (dep. 09/02/1996), Rv. 203637, ric. Sarnataro;
Cass. Sez. Un., Sentenza n. 34559 del 26/06/2002 Cc. (dep. 15/10/2002), Rv. 222263, ric. Di
Benedictis).

Invero, il sistema della riparazione, come delineato dalla Corte regolatrice, è permeato
dal principio solidaristico, in forza del quale il diritto alla riparazione, in ogni sua
estrinsecazione, inerisce oggettivamente al limite della non interferenza causale della
condotta del soggetto passivo della custodia. Questa Suprema Corte, già con sentenza
n. 6628 del 2009, espressamente richiamata dalle Sezioni Unite n. 32383 del
27.05.2010, ha considerato che il principio solidaristico sotteso all’istituto della
riparazione per ingiusta detenzione, “trova il suo naturale contemperamento nel
dovere di responsabilità che incombe in capo a tutti i consociati, i quali evidentemente
non possono invocare benefici tesi a ristorare pregiudizi da essi stessi colposamente o
dolosamente cagionati”.
Pertanto, in tale prospettiva, deve ritenersi che lkdescrittk condottk del Bruzzese,
coerentemente è stata ritenuta integrare un comportamento gravemente colposo
ostativo alla riparazione, perché idoneo a concorrere a determinare l’errore del giudice
al momento dell’adozione della misura e del suo mantenimento, tanto da inibire il
riconoscimento della riparazione, in ragione del venire meno del fondamento
solidaristico dell’istituto.
Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013
Il Consigliere estensore

Orbene il Bruzzese, il quale è stato ritenuto aver fatto parte dell’associazione criminale
fino al 1982, aveva una sicura conoscenza degli ambienti criminali in cui gravitava;
pertanto la sua contiguità coerentemente è stata considerata come condotta
gravemente colposa ed idonea ad ingenerare l’errore del giudice nella adozione e
mantenimento della custodia cautelare.

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