Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9213 del 13/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9213 Anno 2014
Presidente: ROMIS VINCENZO
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FAZIO VITO N. IL 15/01/1947
nei confronti di:
MINISTERO ECOOMIA E FINANZE
avverso l’ordinanza n. 46/2011 CORTE APPELLO di CATANIA, del
15/02/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;
lette/sepaite le conclusioni del PG Dott. c/u_fsg Rizet o i ceu (Lo_ eltler,-00
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Uditi difensor Avv.;

022

C-1-9-retekituu- 4-4-fb

Data Udienza: 13/11/2013

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 6/7/2011 la Corte di Appello di Catania rigettava la
richiesta di riparazione per l’ingiusta detenzione proposta da Fazio Vito, sottoposto
a misura cautelare carceraria per la durata di 394 giorni a seguito di ordinanza di
custodia cautelare emessa in relazione ad indagini per i reati di associazione di
stampo mafioso e associazione finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti, per
i quali, all’esito dell’iter procedimentale, era stato assolto con pronuncia di

La Corte territoriale aveva negato l’indennizzo, ritenendo che il Fazio avesse
concorso, per colpa grave, a dare causa alla custodia cautelare.
2. Avverso la richiamata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Fazio, a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge e vizio motivazionale in
relazione all’art. 314 c.p.p., sotto molteplici profili.
In primo luogo, ha osservato che la Corte non si era limitata a valutare l’efficienza
causale della condotta del ricorrente nella determinazione della sanzione afflittiva,
ma aveva spinto la propria attività di indagine nella riaffermazione ex post della
legittimità del provvedimento custodiale.
Ha rilevato, in secondo luogo, che i giudici del merito avevano ritenuto rilevanti
anche fatti e circostanze estranei alla volontà del ricorrente (specificamente le
dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia) e, pertanto, non idonei a integrare il
dolo e la colpa grave costituenti impedimento del diritto all’equa riparazione.
Ha osservato, inoltre, che gt=g1M11 avevano erroneamente affermato che il
comportamento del ricorrente fosse idoneo a legittimare l’applicazione delle misura
custodiale, poiché la circostanza che lo stesso fosse stato notato più volte insieme
ad alcuni soggetti che si presumono inseriti nel sodalizio non era idonea ex se a
giustificare la custodia cautelare.
Il ricorrente ha evidenziato, infine, che il collegio aveva errato nel ritenere rilevante
ai fini del rigetto della domanda il comportamento processuale dal predetto tenuto,
osservando che, in particolare, il silenzio del Fazio non aveva aggravato la sua
posizione, poiché tutti i provvedimenti giurisdizionali si erano fondati
esclusivamente sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
3. Il ricorrente ha fatto pervenire memoria integrativa.
Il Procuratore Generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento con
rinvio dell’impugnata ordinanza.

Considerato in diritto

4. Il ricorso è fondato, per le ragioni di seguito esposte.
2

annullamento con rinvio della Corte di Cassazione.

Come è noto, in tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, il giudice di merito,
per valutare se chi l’ha patita vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo
o colpa grave, deve valutare, in modo autonomo e completo, tutti gli elementi
probatori disponibili, con particolare riferimento alla sussistenza di condotte che
rivelino eclatante o macroscopica negligenza, imprudenza o violazione di leggi o
regolamenti, fornendo del convincimento conseguito una motivazione che, se
adeguata e congrua, è incensurabile in sede di legittimità. Al riguardo, il giudice

tenuta dal richiedente sia prima che dopo la perdita della libertà personale, al fine
di stabilire, con valutazione ex ante – e secondo un iter logico motivazionale del
tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito – non se tale
condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia
ingenerato, ancorché in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa
apparenza della sua configurabilità come illecito penale, dando luogo alla
detenzione con rapporto di “causa ad effetto” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 34559 del
26/06/2002, dep. 15/10/2002, De Benedictis, Rv. 222263). Il giudice della
riparazione, cioè, ben può rivalutare, ai fini dell’accertamento del diritto alla
riparazione e non della penale responsabilità, i fatti accertati o non esclusi dai
giudici del merito (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 27397 del 10/06/2010,
dep. 14/07/2010, Rv. 247867). La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha chiarito
che il piano valutativo del tutto diverso tra le condotte da considerare per la
sussistenza delle condizioni per la liquidazione dell’equo indennizzo e gli elementi
posti a base della decisione da parte del giudice della cognizione dimostra che tutti
gli elementi probatori devono essere rivalutati, in quanto, pur se ritenuti
insufficienti ai fini della dichiarazione di responsabilità, possono essere tali da
configurare il dolo o la colpa grave, soprattutto nel momento dell’emissione della
misura cautelare personale (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10987 del 15/02/2007,
dep. 15/03/2007, Rv. 236508). Condotte rilevanti in tal senso possono essere di
tipo extraprocessuale (grave leggerezza o trascuratezza tale da avere determinato
l’adozione del provvedimento restrittivo) o di tipo processuale (autoincolpazione,
silenzio consapevole sull’esistenza di un alibi) che non siano state escluse dal
giudice della cognizione.
4.1 Ciò premesso, si osserva che il ragionamento della Corte s’incentra più
sull’individuazione del quadro indiziario a carico del ricorrente che sugli addebiti di
colpa che si sarebbero evidenziati nei suoi confronti con riferimento ai presupposti
per l’indennizzo da ingiusta detenzione. Invero, il giudice della riparazione ha
individuato il comportamento atto a indurre in errore l’autorità giudiziaria in
circostanze non riferibili al ricorrente medesimo (es. convergenti dichiarazioni di
collaboratori di giustizia) o, comunque genericamente enunciate (controllo da parte
3

deve fondare la sua deliberazione su fatti concreti e precisi, esaminando la condotta

dei Carabinieri unitamente ad altre persone appartenenti al gruppo criminale), non
chiarendo in modo sufficiente e convincente in che cosa si sostanzi il contributo
colposo dell’imputato rispetto all’adozione della misura restrittiva, con specifico
riferimento all’oggetto del procedimento.
5. Per tutte le ragioni indicate s’individuano i denunciati vizi di violazione di legge e
di manifesta illogicità della motivazione. S’impone, pertanto, l’accoglimento del
ricorso, con rinvio alla Corte d’Appello di Catania che provvederà a riesaminare il

P.Q.M.

La Corte annulla il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Catania
per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 13 novembre 2013.

caso attenendosi ai criteri enunciati.

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