Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9211 del 19/12/2012


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Penale Ord. Sez. 3 Num. 9211 Anno 2013
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) MIROCLETI ERMINIO N. IL 21/05/1973
avverso la sentenza n. 8141/2011 GIP TRIBUNALE di GENOVA, del
21/03/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
lette/milite le conclusioni del PG Rick !

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 19/12/2012

”71.9s

21227/2012

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 21 marzo 2012 il G.I.P. del Tribunale di Genova su richiesta delle parti
applicava a Mirocleti Erminio (imputato del reato di cui all’articolo 73, commi 1 e 1 bis, d.p.r. 9
ottobre 1990 n. 309 per detenzione senza autorizzazione nella propria abitazione di sostanze
stupefacenti di tipo hashish, cocaina, “exstasy” e marijuana non destinate esclusivamente ad

ordinanza di scioglimento della riserva assunta sempre all’udienza del 21 marzo 2012,
accogliendo la relativa istanza del PM, disponeva la confisca della somma di denaro in contanti
e sul libretto di deposito Coop in sequestro, ritenendo che le circostanze in cui era stata
rinvenuta l’ingente somma, occultata e suddivisa in diversi nascondigli dell’abitazione, insieme
a una rilevante quantità di stupefacente a materiale per il confezionamento di dosi deponevano
per la provenienza illecita del denaro, verosimilmente provento di una fiorente attività di
spaccio e altresì rilevando che l’imputato non era stato in grado di provare diversa
provenienza: non vi era riscontro documentale delle sue dichiarazioni rese in sede di convalida
dell’arresto; risultava inoltre che l’imputato non aveva mai presentato dichiarazione dei redditi,
mentre la sua convivente l’aveva presentata solo nel 2008 (dichiarando un reddito imponibile
di euro 10.471) e nel 2009 (ancora per euro 10.971); tutto ciò considerato, dunque, la
disponibilità della somma costituiva un probabile incentivo alla reiterazione della condotta
criminosa.
2. Con ricorso depositato il 3 aprile 2012 il difensore dell’imputato denunciava come unico
motivo la mancanza di motivazione della sentenza sulle ragioni per cui riteneva corretta la
prospettazione delle parti sulla entità della pena inflitta.
Successivamente depositava ricorso datato 30 aprile 2012 avverso l’ordinanza del 12 aprile
2012, articolato su due motivi,
Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 205 c.p., 240 e 445 c.p.p.

La confisca in quanto misura di sicurezza può essere disposta ex articolo 205 c.p. in
sentenza o successivamente in incidente di esecuzione, non però, come avvenuto nel caso di
specie, dopo l’emanazione della sentenza di patteggiamento ma prima che questa sia passata
in giudicato. Tale possibilità è limitata a casi specificamente indicati dalla norma, qui non
ricorrenti. Infatti l’ordinanza, pur priva di riferimenti normativi, è riconducibile all’articolo 240
c.p. (non è applicabile l’articolo 12 sexies d.I.8 giugno 1992 n. 306 convertito in I. 7 agosto
1992 n. 356) e la contrarietà alla legge sulle modalità e sui tempi di emanazione la qualifica
atto abnorme, contro cui è estensibile il ricorso per violazione di legge. L’ordinanza invero è
stata depositata in cancelleria il 12 aprile 2012 e notificata il 13 al difensore, cioè quando era
spirato il termine per impugnare la sentenza di patteggiamento. Anche qualora i termini per

uso personale) la pena di due anni di reclusione ed euro 3000 di multa; successivamente, con

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l’impugnazione della sentenza fossero all’epoca non ancora scaduti si dubita che il
provvedimento di confisca fosse impugnabile ex articolo 586 c.p.p. perché non emesso nel
corso del giudizio ma in un momento successivo. Inoltre le doglianze del ricorso non potevano
essere proposte come motivo nuovo ex articoli 585 e 611 c.p.p.
Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 240 c.p. e 445 c.p.p.; inoltre prospetta
vizio motivazionale per mancanza e manifesta illogicità della motivazione.

che colleghino il denaro con il reato, non essendo stata contestata nessuna condotta di
cessione di stupefacente; l’ipotesi attenuata dell’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309/1990,
applicata su richiesta, non avrebbe poi potuto comportare un profitto pari alla somma
confiscata, tanto più che parte dello stupefacente è ad uso personale dell’imputato, persona
tossicodipendente. Inoltre sussiste la prova della veridicità di quanto subito affermato
dall’imputato sul denaro, cioè averlo messo da parte poco per volta dal proprio stipendio è
custodito in un paio di buste perché doveva servire entro breve per l’acquisto di un box con la
sorella della propria compagna e il convivente di lei, con i quali lavorava regolarmente: ciò
sarebbe confermato dalle s.i.t. dei due suddetti, allegate al ricorso. L’attività lavorativa
dell’imputato è verificabile pure in relazione ai documenti allegati (dichiarazione dei redditi e
buste paga). Anche il deposito di parte del denaro su un libretto mal si attaglia all’ipotesi della
sua provenienza delittuosa.
La confisca obbligatoria di cui all’articolo 240, secondo comma, c.p.c. non ricorre,
riguardando solo le cose che hanno carattere intrinsecamente criminoso o che costituiscono il
prezzo del reato.
Quanto alla motivazione è contraddittoria laddove si è ritenuto verosimile che il denaro
provenisse da una fiorente attività di spaccio pur avendo ritenuto congrua nella sentenza di
patteggiamento la qualificazione giuridica di cui all’articolo 73, quinto comma, d.p.r. 309 del
1990. Non sono state considerate le allegazioni difensive già citate, affermandosi
erroneamente che non sussiste riscontro documentale alle dichiarazioni rese in sede di
convalida d’arresto. La irritualità delle modalità di emissione dell’ordinanza ha poi impedito un
contraddittorio in ordine alla veridicità delle dichiarazioni dell’imputato e dei testimoni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il primo ricorso presentato dalla difesa dell’imputato vede su una pretesa mancanza di
motivazione della sentenza in ordine alla determinazione della sanzione da infliggere. Il giudice
si sarebbe limitato “a recepire supinamente l’accordo intervenuto tra le parti” senza assolvere

Ai fini della confisca facoltativa ex articolo 240, primo comma, c.p. non sussistono elementi

3. gli specifici doveri di controllo ex articolo 444, comma secondo, c.p.p., formulando affermazioni
– prive di concreto riferimento agli elementi di fatto posti in base dell’accordo sulla pena dalle
parti.
Il ricorso è inammissibile in quanto affetto da evidente genericità, la censura non
specificando alcuna illegalità nella determinazione della pena accolta dal giudice recependo
l’accordo delle parti, illegalità che è il necessario presupposto alla revoca del consenso
integrata dall’impugnazione (cfr. Cass. sez. 19 febbraio 1998 n. 3946). L’applicazione della

unilateralmente sciogliere esercitando uno jus poenitendi una volta che si è perfezionato (sulla
mancanza di una facoltà di recesso Cass. sez.II 10 gennaio 2006 n. 3622); la natura peculiare
della sentenza, il cui contenuto è in massima parte eterodiretto dall’accordo che recepisce, si
riflette logicamente su una deminutio dell’obbligo motivazionale (cfr. p. es . Cass. sez. IV, 16
luglio 2006 n. 34494), che si riduce al sintetico rendiconto degli elementi verificati, con
particolare riguardo – qui non pertinente – alle ipotesi di non punibilità ex articolo 129 c.p.p.
(da ultimo Cass. sez. II, 17 novembre 2011-17 febbraio 2012 n. 6455). Solo nell’ipotesi in cui
l’accordo non è recepito (anche, eventualmente, proprio per non congruità della pena) si
ravviva l’obbligo di motivazione. Nel caso di specie il giudice ha recepito l’accordo e, quanto
alla congruità della pena, la parte non adduce alcun concreto rilievo di illegale incongruità,
limitandosi, a ben guardare, a un tentativo di recesso dall’accordo, non effettuabile visto il suo
perfezionamento.
Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza
“versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il
ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500 in favore della Cassa
delle ammende.
4. Per quanto riguarda invece il secondo ricorso, si osserva che in data 21 marzo 2012 il
gip del Tribunale di Genova ha pronunciato la sentenza oggetto del primo, disponendo in essa,
ex articoli 240 c.p. e 87 d.p.r. 309/1990, la confisca e la distruzione dello stupefacente in
sequestro nonché la confisca dei bilancini sequestrati. Dal verbale d’udienza risulta che, a
immediato seguito della lettura del dispositivo e della motivazione contestuale della sentenza,
il giudice conclude l’udienza “riservandosi la decisione circa la destinazione del denaro”; prima
della lettura suddetta il PM aveva insistito “per la confisca di tutto il denaro in sequestro”
chiedendone in subordine il sequestro conservativo. In data 12 aprile 2012 il gip, “a
scioglimento della riserva assunta all’udienza del 21.3.2012” accoglie l’istanza di confisca del
P.M.; questa ordinanza è oggetto del secondo ricorso.

pena su richiesta delle parti è invero un negozio processuale che le parti non possono

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Dalle modalità di emissione dell’ordinanza emerge allora che essa non ha avuto uno scopo
correttivo (diretto a sanare un errore materiale della sentenza), non potendosi pertanto
connettere, a parte ogni altro rilievo procedurale, alla correzione d’errore materiale derivante
da omessa statuizione di confisca, procedura idonea qualora la confisca sia obbligatoria
secondo certa giurisprudenza (Cass. sez.VI, 12 novembre 2009 n. 2944; Cass. sez.I, 13
giugno 1994 n. 2881). Si tratta di una integrazione della sentenza, frutto di una riserva
assunta a verbale subito dopo la lettura del dispositivo e della motivazione della sentenza

in presenza del difensore dell’imputato. Non si è verificata, pertanto, una lesione del principio
del contraddittorio, bensì una scissione del provvedimento definitivo, nel senso di conclusivo
del procedimento, in sentenza, pronunciata in udienza come per legge, e in ordinanza
riservata, pronunciata successivamente senza supporto normativo per tale procrastinazione e
quindi per tale scissione. Il legislatore detta invece uno sbocco definitivo unitario,
ordinariamente la sentenza (ma a seconda del procedimento anche altre tipologie di
provvedimento definitivo), in cui si consuma il potere di jus dicere, non essendo consentito al
giudicante di provvedere in modo separato e successivo (al di là del caso degli errori materiali,
che peraltro, in quanto tali, non costituiscono un plus rispetto a quanto già pronunciato). Un
provvedimento, dunque, aggiuntivo rispetto al provvedimento definitivo si colloca in contrasto
con i principi generali e deve essere considerato abnorme (a proposito della confisca in tal
modo disposta si sono pronunciati per la abnormità due recenti arresti, Cass. sez. II, 20 aprile
2011 n. 21420 – che concerne una ordinanza di confisca obbligatoria emessa nella stessa data
in cui veniva depositata la sentenza di condanna, quindi evidentemente trattandosi di ipotesi di
omissione involontaria, per la quale, essendo il processo definito con la lettura del dispositivo,
la pronuncia indica come rimedio esclusivamente l’impugnazione – e Cass. sez. IV, 3 novembre
2010 n. 41105 – relativo a provvedimento di confisca posteriore al decreto penale di
condanna). Caratterizza la fattispecie in esame il fatto che il provvedimento non è stato
emesso per colmare una omissione, bensì, per quanto si evince dal verbale, la “riserva”
sull’istanza di confisca è stata una scelta precisa del giudice: il che ancor più evidenzia – non
sussistendo nell’ordinamento processuale, né penale né civile, un potere di riserva contestuale
alla emissione di sentenza avente ad oggetto una parte della regiudicanda che proprio la
sentenza dovrebbe dirimere – l’abnormità dell’ordinanza emessa.
Assorbito pertanto ogni altro profilo, relativo al contenuto del provvedimento abnorme,
questo deve essere annullato, con conseguente restituzione della somma che ne è oggetto
all’avente diritto.

P.Q.M.

stessa, con la quale il giudice ha esaminato una istanza proposta, prima di tale lettura, dal PM

Dichiara inammissibile il ricorso avverso la sentenza del G.I.P. del Tribunale di Genova in data
21. 3. 2012 e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1500 in favore della Cassa delle Ammende. Annulla senza rinvio l’ordinanza del G.I.P. del
Tribunale di Genova in data 12. 4. 2012 e dispone la restituzione della somma in sequestro
all’avente diritto.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma il 19 dicembre 2012

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