Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9210 del 27/05/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9210 Anno 2016
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LOMBARDI BATTISTA N. IL 10/12/1974
avverso la sentenza n. 2730/2013 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 13/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore GAnerale in persona del Dott. E- 5-Q-ki
che ha concluso per (e’

Data Udienza: 27/05/2015

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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RITENUTO IN FATTO

1.1 La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 26 novembre 2014, in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di Cosenza del 14 ottobre 2013 emessa nei confronti di
LOMBARDI Battista, imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen. e 2 commi 1 e 1 bis
della L. 638/83 (omesso versamento delle ritenute previdenziali per il periodo compreso tra
febbraio e maggio 2007, novembre 2008 e da gennaio a maggio 2009 per un ammontare

limitatamente alle condotte commesse dal febbraio al maggio 2007 e, per l’effetto,
rideterminava la pena per le condotte residue in giorni quindici di reclusione ed C 150,00 di
multa, confermando nel resto.
1.2 Avverso la detta sentenza propongono distinti ricorsi l’imputato personalmente,
affidando l’impugnazione a quattro motivi, ed il difensore dell’imputato, deducendo, a sua
volta, due motivi specifici. Per quanto riguarda il ricorso proposto personalmente dall’imputato,
con il primo motivo egli lamenta l’inosservanza della legge processuale penale e il difetto
assoluto di motivazione per avere la Corte distrettuale confermato la responsabilità penale con
motivazione del tutto apparente e senza nulla argomentare circa la violazione dell’art. 464 cod.
proc. pen. Con il secondo motivo si lamenta il difetto di motivazione per illogicità manifesta e
inosservanza dell’art. 192 cod. proc. pen. in punto di valutazione delle prove per la conferma
della piena responsabilità, avendo la Corte omesso di verificare l’effettiva corresponsione delle
spettanze ai dipendenti e non essendo sufficiente, al riguardo, la testimonianza del funzionario
INPS. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta che la Corte di merito avrebbe ritenuto regolare
la notificazione della contestazione in via amministrativa sulla base di quanto riferito dal
funzionario delegato dall’INPS, in contrasto con la mancata notifica della contestazione che
avrebbe precluso ad esso ricorrente la possibilità di fruire della specifica causa di non
punibilità. Con l’ultimo motivo il ricorrente si duole del difetto assoluto di motivazione in ordine
al diniego dell’invocato beneficio della sospensione condizionale della pena.
1.3 Per quanto riguarda il ricorso proposto dal difensore fiduciario dell’imputato, il primo
motivo è identico al primo motivo del ricorso del LOMBARDI e altrettanto va osservato con
riferimento al secondo motivo, in tutto analogo al parallelo motivo del ricorso del LOMBARDI in
punto di valutazione delle prove a suo carico, in violazione della regola dell’oltre ogni
ragionevole dubbio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Entrambi i ricorsi sono inammissibili in quanto manifestamente infondati. Possono
essere congiuntamente esaminati i primi due motivi dei ricorsi del LOMBARDI e del suo
difensore in quanto del tutto analoghi nei contenuti. Con riferimento al primo, la censura è
palesemente destituita di fondamento in quanto, come costantemente affermato da que s ta
1

complessivo di C 2.212,00) dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione

Corte Suprema, la mancata revoca espressa dal decreto di condanna penale non determina
alcuna nullità del giudizio conseguente all’opposizione in quanto la revoca è un antecedente
immancabile del giudizio che si verifica per il solo fatto della sua celebrazione,

“ope legis” e

non “ope judicis”. Inoltre la eventuale inosservanza del comma 3 dell’art. 464 cod. proc. pen.
non comporta alcuna sanzione processuale con la conseguenza che, in ossequio alla regola
della tassatività delle ipotesi di nullità di cui all’art. 177 del codice processuale, la mancata
revoca non produce alcuna nullità (tra le tante, Sez. 3^ 7.5.1997 n. 7140, Bortolotti, Rv.

22013, Dainese, Rv. 247277).
2. Con riguardo al secondo motivo va ricordato che in tema di omesso versamento di
ritenute previdenziali ed assistenziali, muovendo dalla premessa della necessità dell’esborso
delle retribuzioni quale elemento certo ai fini della affermazione della responsabilità penale, va
ritenuto corretto quanto affermato dal giudice di appello in ordine alla idoneità probatoria dei
modd. DM10 per la dimostrazione della effettiva corresponsione delle retribuzioni (in termini,
tra le più recenti, Sez. 3^ 15.7.2014 n. 437330, Valenza, Rv. 259909;; idem 5.12.2013 n.
7772, Di Giacinto, Rv. 258851 secondo le quali la prova dell’effettiva corresponsione delle
retribuzioni nel processo per l’imputazione del delitto in esame, può essere tratta dai modelli
attestanti le retribuzioni corrisposte ai dipendenti e gli obblighi contributivi verso l’istituto di
previdenza (cosiddetti modelli DM 10), sempre che non risultino elementi contrari.
3. Va aggiunto che tali modelli hanno funzione ricognitiva della situazione debitoria del
datore di lavoro di guisa che la loro compilazione e presentazione equivale all’attestazione
all’ente di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali non sono stati versati i
contributi (Sez. 3^ 10.4.2013 n. 37145, Deiana e altro, Rv. 256957). Nel caso in esame è
certa l’esistenza dei modd. DM10 per come riferito dal teste qualificato (il funzionario delegato
dell’Istituto previdenziale) che ha confermato l’avvenuta trasmissione dei detti modelli da parte
dell’imputato, da cui era poi originato l’accertamento sfociato nel presente procedimento.
3.1 E’ anche da escludere che nel caso in esame sia stata violata – come dedotto dalla
difesa del ricorrente – la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Premesso, in via generale,
che tale regola di giudizio contenuta nell’art. 533 comma 1 cod. proc. pen. come modificato
dall’art. 5 della L. 46/06, impone al giudice il ricorso ad un metodo dialettico di verifica
dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del <>, con la conseguenza che il
giudicante deve effettuare detta verifica in maniera da scongiurare la sussistenza di dubbi
interni (ovvero la autocontraddittorietà o la sua incapacità esplicativa) o esterni alla stessa
(ovvero l’esistenza di una ipotesi alternativa dotata di razionalità e plausibilità pratica)

(in

termini Sez. 1^ 24.10.2011 n. 41110, P.G. in proc. )avad, Rv. 251507), osserva il Collegio che
il principio suddetto non ha innovato la natura del sindacato della Corte di Cassazione sulla
motivazione della sentenza e non può, quindi, “essere utilizzato per valorizzare e rendere
decisiva la duplicità di ricostruzioni alternative del medesimo fatto, eventualmente emerse in

2

208958; Sez. 5^ 27.9.2005 n. 38966, Pipia ed altro, Rv. 232552; Sez. 3^ 13.4.2010 n.

sede di merito e segnalate dalla difesa, una volta che tale duplicità sia stata oggetto di attenta
disamina da parte de/giudice dell’appello”(Sez. 5^ 10411, Viola, Rv. 251507).

3.2 La condanna al là di ogni ragionevole dubbio comporta, invero, in caso di
prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che siano individuati gli elementi di
conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta,

“in modo da far risultare la non razionalità del

dubbio derivante dalla stessa ipotesi alternativa, non potendo detto dubbio fondarsi su
un’ipotesi del tutto congetturale, seppure plausibile”. (Sez. 4^ 17.6.2011 n. 30862, Giulianelli

e altri, Rv. 250903). In altri termini si richiede che il dato probatorio acquisito lasci fuori
soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili “in
rerum natura” ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, sia esclusa in

assenza di riscontri pur minimi nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine
naturale delle cose e della normale razionalità umana (così Sez. 1^ 3.3.2010 n. 17921,
Giampà, Rv. 247449).
3.3 Può, peraltro, considerarsi dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte che la
nuova previsione normativa trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di
innocenza: non si tratta quindi della introduzione di una regola di giudizio nuova su basi più
restrittive rispetto al passato ma della codificazione di un principio giurisprudenziale
ampiamente usato in virtù del quale la pronuncia di condanna deve fondarsi sulla certezza
processuale della responsabilità dell’imputato (in termini Sez. 2^ 9.11.2012 n. 7035, De
Bartolomeí ed altri, Rv. 254025).
4.

Improponibili risultano invece il terzo ed il quarto motivo del ricorso avanzato

personalmente dall’imputato, trattandosi di censure mai sollevate, neppure in modo implicito,
con l’atto di appello e dunque, non scrutinabili in sede di legittimità in ossequio alla regola
fissata dall’ultimo comma dell’art. 606 cod. proc. pen.
5. Sulla base di tali considerazioni i ricorsi vanno dichiarato inammissibili: segue la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento della
somma – ritenuta congrua – di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, trovandosi in
colpa il ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili

e

ricorsi) e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2015
Il Consigl

re estensore

Il Presidente

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