Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9195 del 07/11/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9195 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: VITELLI CASELLA LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IDOTTA GIUSEPPE N. IL 01/05/1952
GENTILE ROSELLA N. IL 13/11/1963
avverso la sentenza n. 1602/2008 CORTE APPELLO di MESSINA, del
10/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per A’ r
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Data Udienza: 07/11/2013

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Ricorrenti IDOTTA Giuseppe – GENTILE Rossella.

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 10 dicembre 2012, la Corte d’appello di Messina
parzialmente riformava la sentenza emessa in data 29 febbraio 2008 dal
Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, limitatamente alla revoca della pena
accessoria della interdizione dall’esercizio della professione medica applicata agli
GENTILE Rossella. Rigettava altresì la

richiesta di risarcimento danni proposta dalla parte civile USL n. 5 di Messina.
Confermava l’affermazione della penale responsabilità dei predetti imputati in
ordine al delitto di cui agli artt.113, 589 cod. pen. commesso il 21 settembre
2005 in danno di Miriam Bucalo.
Con il capo d’accusa ( come modificato ed integrato dal P.M. nel corso del
giudizio di primo grado ) si contestava all’Idotta, in qualità di primario chirurgo
dell’Ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto, ed alla Gentile, in veste di
anestesista, di aver cooperato a cagionare per colpa la morte della paziente.
L’Idotta, dopo averla sottoposta ad intervento di appendicectomia eseguito con
tecnica laparoscopica,constatata la sopravvenienza di shock ipovolemico,non
provvide a verificare la possibile complicanza cagionata alle strutture vascolari
del retro peritoneo ( in particolare alla arteria ovarica destra) a seguito della
imperita e negligente esecuzione della tecnica laparoscopica, per aver inserito
alla cieca, per via ombelicale, l’ago di Verrès finalizzato alla induzione di
pneumoperitoneo,omettendo di procedere alla riconversione immediata nella
tecnica chirurgica laparotomica. Il chirurgo ebbe in particolare a sottovalutare
una tumefazione in stretta contiguità con i vasi iliaci, da lui stesso rilevata nel
corso dell’esplorazione laparoscopica del vaso peritoneale. Assunse invece,
nonostante la conclamata criticità delle condizioni della bambina, la decisione di
eseguire una TAC urgente all’addome, in tal modo cagionando un ritardo non
meglio precisabile ( ma comunque compreso tra 60 e 120 minuti), risultato
determinante nel compromettere le probabilità di sopravvivenza della paziente.
La Gentile, in qualità di anestesista e lo stesso l’Idotta, nella suddetta veste,pur
manifestando la bambina, al termine dell’intervento di appendicectomia, i
sintomi inequivoci di un evidente e progressivo shock ipovolemico, omisero
inoltre di porre in atto qualsivoglia iniziativa o presidio volti a “stabilizzare ” la
paziente prima ancora di procedere alla TAC, così determinando, anche avuto
riguardo ai valori di attività protrombinica inferiori alla norma, l’inevitabile
aggravamento della emorragia in atto, che, a causa di tale colpevole inerzia di
entrambi i sanitari, condusse a morte la paziente.

imputati IDOTTA Giuseppe e

La Corte d’appello, disposta, previa parziale riapertura dell’istruttoria
dibattimentale, perizia medico-legale volta a verificare la ricorrenza dei profili di
colpa ascritti agli imputati nonché del nesso di causa tra condotte ed omissioni e
l’evento, è quindi prevenuta a ribadirne la colpevolezza. In riferimento alla
posizione del chirurgo Idotta, hanno evidenziato i Giudici di seconda istanza
(condividendo quanto sottolineato dal Tribunale ) che un primo fattore di colpa
causalmente collegato con l’evento

era costituito dall’omesso, immediato

approfondimento della natura della ” tumefazione a cavaliere dei vasi

iliaci ”

inevitabilmente indurre il sospetto che si trattasse di complicanza emorragica,
causata dalla previa introduzione degli strumenti di intervento in laporascopia, in
primis, dell’ ago di Verrès. poco dopo l’inizio dell’intervento. La Corte d’appello
ha poi sottolineato, quale ulteriore profilo di colpa ascrivibile agli imputati ed
egualmente collegato causalmente alla produzione dell’evento,i1 comportamento
omissivo dell’Idotta che, nella fase post-operatoria, per negligenza ed imperizia,
trascurò di affrontare l’emergenza avendo disposto l’esecuzione di una
pressoché inutile TAC per poi intervenire chirurgicamente quando ormai la
situazione clinica della bambina era definitivamente pregiudicata.
La responsabilità della Gentile è risultata specificamente integrata, a giudizio
della Corte distrettuale, oltrechè dal fatto di aver lasciato la paziente per
quaranta minuti, senza alcun trattamento terapeutico nonostante la diretta
percezione della grave emorragia in atto, soprattutto
interventi di stabilizzazione della paziente di

dalla mancanza di
primaria competenza

dell’anestesista ( e tuttavia incombenti anche sull’Idotta, quale capo dell’equipe
chirurgica ), previa infusione dei c.d. espansori di plasma, al fine di rimpiazzare
il sangue perduto nel circolo.
Gli imputati propongono distinti ricorsi per cassazione per tramite dei rispettivi
difensori.
La difesa dell’Idotta articola cinque motivi così riassunti.
Con il primo, denunzia la nullità della sentenza impugnata nonché il vizio di
contraddittorietà della motivazione nella parte in cui ha recepito un’ipotesi di
colpa del tutto nuova ed autonoma – da un punto di vista naturalistico oggetto della contestazione suppletiva sub capo n. 4 della rubrica ( per aver
omesso qualsivoglia intervento volto a stabilizzare la paziente ), eseguita dal
P.M.,nel corso del dibattimento, in violazione degli artt. 516, 518, 522 cod.
proc.pen. ,in difetto di consenso dell’imputato.
Con il secondo motivo

assume il difensore la violazione del diritto di difesa

conseguente alla pronunzia dell’ordinanza 5 novembre 2012 con la quale la
Corte distrettuale ha escluso l’audizione dei consulenti di parte sulla perizia
disposta in grado d’appello,malgrado l’avvenuta audizione dei periti d’ufficio. Ciò

2

pur rilevata dall’Idotta in sede laparoscopica. Ciò avrebbe dovuto

avrebbe dato luogo alla nullità prevista dall’art. 178 lett. c) codice di rito per la
violazione dell’art. 495, comma 2° stesso codice, avendo la Corte d’appello
impedito la partecipazione dell’imputato all’assunzione di una prova a discarico.
Con il terzo motivo denunzia un ulteriore vizio di violazione di legge e di
contraddittorietà della motivazione. Sostiene il difensore che i Giudici d’appello
avrebbero recepito gli esiti della perizia d’ufficio, trascurando di prendere in
esame il materiale probatorio di segno contrario pur acquisito in esito
all’istruttoria; ciò con particolare riferimento all’elemento della individuazione

l’unica perforazione della vena cava inferiore occorsa riscontrata in sede
autoptica quando invece la difesa aveva dimostrato ( sulla base di un corposo
compendio probatorio non valutato dai Giudici di secondo grado ) che la puntura
in detto vaso conseguì al tentativo dell’imputato, dopo la conclusione
dell’intervento, di incannulare la paziente onde infonderle i liquidi necessari.
Peraltro, a conferma del clamoroso errore in cui erano incorsi i periti d’ufficio, ha
sottolineato il ricorrente che la consulenza autoptica aveva fin da principio
messo in risalto il dato anatomico riconducibile alla puntura da infusione.
Con la quarta censura denunzia la difesa i medesimi vizi di violazione di legge
e vizi motivazionali con specifico riferimento al tema della colpa e del nesso di
causalità. La sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente,disattendendo i
molteplici e consolidati approdi della giurisprudenza di legittimità in tema

di

causalità nei reati omissivi impropri dovuti a colpa medica, avrebbe inteso
accogliere un “approccio prettamente statistico del tutto scollegato dall’effettivo
svolgimento dei fatti ” . Nel giudicare sussistenti i profili di colpa a carico

dell’Idotta, ha invero ritenuto la “tumefazione ” osservata dall’imputato,
manifestazione dell’emorragia in atto malgrado l’assoluta mancanza di elementi
in tal senso e soprattutto in assenza di riscontri di natura istologica. Facendo
leva sul dato statistico
lesioni vascolari

relativo alla concreta possibilità di complicanze per

connesse alla pratica chirurgica in laparoscopia, la Corte

distrettuale ha ritenuto accertata l’avvenuta lesione di qualche grosso vaso,
unicamente sul rilievo della compatibilità astratta della possibile causazione di
tale tipologia di lesioni. Con riferimento all’altro profilo di colpa relativo alla
ritardata esecuzione degli interventi di stabilizzazione, si è ritenuta
apoditticamente l’inutilità della TAC disposta dall’imputato. Né si è considerato
che l’evento risultava, alla stregua di una valutazione ex ante, del tutto
imprevedibile per l’imputato tantopiù che non si è stati in grado di individuare la
condotta causativa dell’evento, benchè la difesa, con i motivi d’appello, avesse
dettagliatamente rappresentato4 come fosse stato perfettamente osservante dei
protocolli medici il comportamento tenuto dall’imputato durante l’intero
svolgimento dell’intervento.

3

dell’origine dell’emorragia fatta coincidere, solamente per esclusione, con

Con il quinto motivo si invoca l’annullamento della sentenza impugnata in
applicazione dell’ art. 3 della legge 8 novembre 2012 n. 189 per essersi
l’imputato sempre conformato alle linee guida accreditate nella comunità
scientifica, sul rilievo incontestabile che l’eventuale responsabilità dell’Idotta non
avrebbe potuto che configurarsi, a tutto concedere, in termini di colpa lieve,
non essendo emersa alcuna prova a dimostrazione che lo stesso ebbe a
compiere un’errata manovra operatoria.
Con motivi aggiunti depositati in cancelleria in data 2 settembre 2013, la difesa

primo motivo di ricorso, ha eccepito, in primo luogo, la nullità assoluta della
perizia medico-legale disposta dalla Corte d’appello in sede di parziale
rinnovazione del dibattimento, per la violazione dell’art. 222 codice di rito,
versando il perito dr. Antonino Trunfio in condizioni di incapacità perché all’epoca
già interdetto o sospeso dalla professione a seguito della sentenza di condanna
pronunziata a suo carico dal Tribunale di Torino. Ha inoltre eccepito che la
mancata audizione dei consulenti di parte in ordine alla perizia disposta d’ufficio
dalla Corte d’appello integrava anche la violazione dell’art. 227 cod. proc. pen.
che stabilisce che il parere peritale debba esser espresso il forma orale e solo
eccezionalmente mediante deposito di relazione scritta.
Il difensore dell’imputata Gentile Rossella, con il proposto ricorso, articola tre
ordini di motivi, così sintetizzati.
Con il

primo, denunzia

vizi motivazionali in punto all’affermazione di

colpevolezza dell’imputata cui la Corte d’appello sarebbe giunta per aver
affermato che, contrariamente ad ogni logica, sia i medici che gli infermieri, al
cospetto di una paziente che manifestava evidenti segni di shock emorragico,
restarono inerti per circa quaranta minuti, attesa la mancanza di qualsivoglia
documento attestante l’orario conclusivo del primo intervento. Ha altresì
censurato l’ulteriore assunto motivazionale della Corte d’appello laddove ha
ritenuto, in condivisione con l’opinione dei periti, che l’epilogo fatale conseguito
all’emorragia era evitabile e che, a tale scopo, sarebbe stato necessario
procedere alla stabilizzazione della paziente ancor prima che al nuovo intervento
chirurgico volto a suturare il vaso lesionato,
Con il secondo motivo, denunzia vizi motivazionali e di violazione di legge in
relazione alla pronunziata condanna della imputata alla rifusione delle spese in
favore delle parti civili costituite benchè queste, comparse alle prime udienze del
processo d’appello, avessero direttamente riferito di esser state integralmente
risarcite, tant’è vero che non parteciparono al processo ed omisero di
presentare le conclusioni. Da ciò discende la revoca tacita della costituzione di
parte civile in ragione dell’avvenuto, integrale ristoro delle pretese risarcitorie.

4

di Idotta Giuseppe, oltre ad illustrare diffusamente le censure dedotte con il

Con il terzo motivo, solleva la ricorrente eccezione di incostituzionalità degli
artt. 74,75,82 codice di rito per contrasto con gli artt. 24 e 25 Cost. nella parte
in cui è prevista la prosecuzione della domanda civile nel processo penale
benchè essa risulti interamente soddisfatta in sede extraprocessuale.

Considerato in diritto

La prima e la seconda censura dedotta dalla difesa dell’imputato Idotta sono

Quanto all’eccepita violazione degli artt. 518 e 522 cod. proc. pen. (oggetto del
primo motivo di ricorso e di diffusa illustrazione con i motivi aggiunti ) appare al
Collegio del tutto immune da vizi logico-giuridici, la motivazione della sentenza
impugnata ( pag. 12 ) con la quale è stata respinta la medesima eccezione
introdotta con i motivi d’appello. La Corte distrettuale, adeguandosi peraltro al
costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale in
tanto può ritenersi sussistere la nullità per immutazione del fatto in dipendenza
di contestazione suppletiva in quanto ciò provochi un concreto ed effettivo
pregiudizio all’esercizio del diritto di difesa, ha correttamente evidenziato che la
modifica del capo di imputazione era sopravvenuta nell’ambito

“di un ampio

contraddittorio già sviluppato sulle modalità del trattamento terapeutico
“,attraverso la menzione nel capo n. 4, contestato, a titolo di cooperazione
colposa, ad entrambi gli imputati, dell’omessa “stabilizzazione ” della paziente
nella fase post-operatoria. Nella sostanza si era trattato di una sostanziale e
migliore esplicitazione della colpevole inerzia già addebitata all’Idotta al capo n.
3 sotto il profilo del ” ritardo ” ingiustificabile nell’attivarsi adeguatamente
secondo scienza e coscienza, in presenza di conclamati sintomi di

shock

ipovolemico,olik guisa da pregiudicare irreversibilmente le possibilità di
sopravvivenza della paziente. Nel capo di imputazione originario già si
addebitava al chirurgo, nella medesima ottica, l’omessa, immediata
riconversione alla tecnica laparotomica, una volta emersa la presenza della
“tumefazione” e la colpevole perdita di tempo per far luogo all’ esecuzione di
una TAC dopo circa un’ora dal termine dell’appendicectomia, in conclamata
presenza di emorragia.
Né – passando al secondo motivo, ribadito anche con i motivi aggiunti – appare
sussistere alcuna violazione del contraddittorio. Posto che, come precisato dalla
Corte d’appello con l’ordinanza in data 5 novembre 2011, i periti di parte
avevano partecipato alle operazioni svolte da quelli d’ufficio ed ” alla scorsa
udienza hanno direttamente rivolto l’esame dei periti della Corte ”

il

contraddittorio doveva ritenersi nella sostanza garantito anche mediante il
successivo deposito di memorie. E’ altresì esclusa, a termini della citata

5

infondate.

ordinanza, qualsivoglia violazione dell’art. 227 cod. proc. pen. essendo
comunque consentito il deposito di relazione scritta ( Sez, 6 n.6945 del 1991
rv.187674). In ogni caso una siffatta violazione avrebbe integrato una nullità di
ordine generale a regime intermedio, da dedurre immediatamente a norma degli
artt. 182 e 183 codice di rito,pena la sopravvenuta sanatoria. ( Sez. 5 n.32902
del 2011 rv.250940 ). A tanto neppure si accenna nei motivi aggiunti.
Quanto alla violazione dell’art. 222 cod.proc.pen., dedotta esclusivamente con
i motivi aggiunti, deve osservarsi che l’eventuale stato di incompatibilità del

dalla Corte d’appello con ordinanza in data 23 maggio 2011, se lo stesso, già a
quell’epoca si trovasse in stato di interdizione. Di tanto il ricorrente non ha dato
alcun riscontro,limitandosi a mere affermazioni in tal senso esposte con i motivi
aggiunti, in violazione ovviamente del principio di autosufficienza del ricorso. In
ogni caso la violazione della disciplina in materia di incompatibilità del perito
nominato dal giudice ( cfr.Sez. 1 n.1101 del 2009 rv.245938 ; Sez. 6 n.39235
del 2013 rv.257038 ) integra una nullità relativa, da eccepirsi dalla parte
interessata a norma e nei termini previsti dall’art. 182 cod. proc.pen. e quindi o
prima del compimento dell’atto cui la parte stessa assiste, ovvero, se ciò non è
possibile, immediatamente dopo. Se la nullità sia tardivamente rilevata, ne
sopravviene la sanatoria, come accaduto nel caso di specie in cui a tanto si è
provveduto solamente con i motivi nuovi depositati in data 2 settembre 2013,in
sede di giudizio di cassazione.
Osserva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata non resiste
invece alle censure dedotte dall’Idotta con il terzo ed il quarto motivo di ricorso e
dal difensore della Gentile con la prima censura. Concernendo dette doglianze il
tema centrale dell’affermazione della responsabilità degli imputati ne appare
opportuna una trattazione congiunta.
E’ necessario preliminarmente soffermarsi su quattro elementi – sia fattuali che
di ordine valutativo – di seguito illustrati, pacificamente acclarati nei giudizi di
merito e non contestati, al fine di poter poi specificamente delineare le questioni
controverse rilevanti, oggetto delle censure fondatamente dedotte dagli imputati.
1. La causa prossima del decesso della bambina fu individuata nello shock
ipovolemico dovuto all’imponente emorragia conseguita all’intervento
chirurgico di appendicectomia ( pur eseguito con successo dal chirurgo
Idotta ) i cui sintomi: forte dolore e palpabile gonfiore al fianco destro,
in sede renale; pallore; intensa sudorazione erano apparsi subito evidenti
al risveglio dall’anestesia. La rilevante perdita della massa circolante di
sangue non fu adeguatamente contrastata ” con interventi e presidi
idonei ”

come riportato nel capo di imputazione

condusse rapidamente a morte, la paziente.

6

sub n. 4 – e quindi

perito dr. A. Trunfio avrebbe potuto inficiare la nullità della nomina disposta

2.

Si è evidenziata, in sede autoptica, la lesione parietale di natura
iatrogena all’arteria ovarica di destra, molto verosimilmente dovuta,
nella fase iniziale dell’intervento in laparoscopia, alla introduzione per via
ombelicale, nell’addome della paziente, dell’ago di Verrès: strumento
necessario all’immissione, nella cavità addominale, di gas inerte ( anidride
carbonica) allo scopo di provocare il distacco della parete dell’addome dai
visceri ed effettivamente dotato della “c.d. camicia esterna che termina
con una punta a triangolo, tagliente: fetta di salame ” (cfr.pag. 7 della

tale da non poter cagionare una così imponente e rapida complicanza
emorragica. Trattasi invero di un piccolo vaso arterioso ” che assume
dimensioni, in diametro, tra gli 0,8 ed i 2,00 millimetri al massimo ” ,
verosimilmente non ancora raggiunte nel caso della paziente, all’epoca
solamente dodicenne. I consulenti di parte dell’imputato Idotta ed il
consulente del P.M. ( cfr. sentenza di primo grado pag. 13 e segg. )
avevano convenuto sul fatto che, anche una lesione importante
dell’arteria ovarica (nel caso di specie lesionata solamente in ragione di
un ottavo del relativo calibro ) avrebbe potuto produrre un’emorragia di
tale imponenza da cagionare a sua volta shock ipovolemico solamente
nell’arco di parecchie ore: da otto a dieci se non di giorni laddove
Miriam Bucalo giunse a morte due ore dopo il termine dell’intervento.
3. La tesi – sostenuta in particolare dal prof. Maresi, consulente di parte
dell’imputato Idotta – secondo la quale la causa dell’emorragia era da
individuarsi in una lesione di origine non iatrogena ” di un grosso vaso
legata ad una rara patologia – displasia fibromuscolare congenita – dalla
quale la ragazza era probabilmente affetta ”
d’appello )

(cfr. pag. 22 della sentenza

è risultata priva di fondamento giacchè, come annota la

Corte distrettuale, già in sede di perizia autoptica ed istologica si era
accertata ” la corretta disposizione delle fibrocellule muscolari della pareti

sentenza di primo grado ). Siffatta lesione è stata pacificamente ritenuta

vasali di tutti i vasi arteriosi esaminati “, di guisa da doversi escludere che
la paziente fosse portatrice della patologia , ” la cui alterazione avrebbe
dovuto risultare evidente in altre sedi “.
4.

La contestazione di cui al capo n.1 con cui si imputa all’ Idotta lo
specifico profilo di responsabilità di non aver valutato, quale elemento ”
non compatibile con una indicazione chirurgica in condizioni di sicurezza ”
che sconsigliava l’intervento chirurgico, i valori – inferiori alla norma dell’attività protrombinica (riscontrati dagli esami di laboratorio eseguiti
sulla paziente ) denotanti un deficit dei fattori vitamina K dipendenti, è
stato ritenuto dal Giudice di prime cure come non controindicante in
assoluto l’intervento ” ferma una doverosa generica cautela “. Sul punto

7

K

( cfr. pag. 16 della sentenza impugnata ) anche la Corte d’appello ha
condiviso l’opinione espressa dai periti d’ufficio – e fatta propria dal
Tribunale – secondo i quali doveva ritenersi corretta l’esclusione di
estremi di responsabilità colposa dell’imputato per negligenza, sotto tale
aspetto, non risultando alterati in grado eccessivo, i valori della
coagulazione.
Ciò posto, secondo quanto ritenuto dai Giudici di merito in conformità alle
contestazioni suppletive di cui ai capi nn.3 e 4 della rubrica,i1 comportamento

determinante dell’evento – come scaturente dalla posizione di garanzia rivestita
dal primario Idotta, in qualità di capo èquipe, a tutela e protezione della
incolumità della paziente, da lui stesso sottoposta a trattamento chirurgico,
era consistito nel mancato, immediato approfondimento dell’effettiva natura e
consistenza della “tumefazione”

riscontrata e descritta in cartella clinica dallo

stesso Idotta ” a cavaliere dei vasi iliaci “,

poco dopo l’inizio dell’intervento,

una volta indotto pneumoperitoneo con ago di Verrès, previa incisione del bordo
trocar

ombelicale e dopo aver introdotto il

da 10 cm. con l’ottica sì da

consentire l’esame obiettivo della cavità addominale. Ha altresì annotato la
Corte d’appello che la tumefazione fu veduta sia dall’altro chirurgo Petrelli, sia
dall’anestesista Gentile che dall’infermiera strumentista Boncaldo. Si trattava
di un evento imprevisto atto ad indurre il ragionevole sospetto dell’origine
emorragica dovuta a lesione vascolare quale complicanza statisticamente
apprezzabile, della introduzione in addome” alla cieca” dell’ago di Verrès e del
trocar, in conformità alla tecnica chirurgica laparoscopica. Con valutazione

ex

post, basata soprattutto sulle opinioni espresse dai periti d’ufficio, i Giudici di
secondo grado hanno affermato che ” appare certo che quella inizialmente
descritta come una generica tumefazione, fosse una massa liquida emorragica
ancora incapsulata “. Hanno altresì precisato che

“era certamente un ematoma

retroperitoneale frutto di una già imponente perdita di sangue correlata
all’intervento chirurgico da pochi minuti avviato e quindi da una lesione
certamente iatrogena “, invero pervenendo a tale conclusione per esclusione,
sul rilevo che, in sede di esame autoptico, non se ne era individuata altra
origine ( quale, ad esempio, sarcoma silente, ecc.). La sentenza ha dato atto (
pag.17 ) che, contrariamente a quanto sostenuto dal consulente di parte
dell’imputato, prof. Staudacher,i1 perito dr.Trunfio aveva precisato che l’esame
TAC confermò la perfetta coincidenza tra la raccolta ematica (sopravvenuta dopo
l’intervento) e la tumefazione localizzata inizialmente dall’Idotta.
Come denunziato dal difensore dell’ imputato, deve rilevarsi che la motivazione
della sentenza impugnata in punto al tema centrale della ricostruzione del nesso
di causalità disattende il consolidato insegnamento di questa Corte, avendo i

8

omissivo – affetto da colpa per imperizia e per negligenza e concausa

Giudici di seconda istanza esplicitato al riguardo un ragionamento illogico,
carente ed incoerente con le risultanze. Ha a tale proposito puntualmente
richiamato il ricorrente la motivazione della sentenza n.39959 del 2009 emessa
dalla Sezione Quarta in data 23 settembre 2009 che fa proprie le ormai
consolidate enunciazioni di principio risalenti alla sentenza n. 30328 emessa il
10 luglio 2002 dalle Sezioni Unite ( sentenza Franzese ). In sintesi si è
affermato che, ai fini della ricostruzione del nesso di causalità quale
fondamentale elemento costitutivo del reato, ” le Sezioni Unite hanno ripudiato

dati statistici ovvero su criteri valutativi a struttura probabilistica ” .

Com’è

noto, l’iter argomentativo seguito dalle Sezioni Unite implica la necessità
ineludibile che, all’esito del ragionamento probatorio seguito dal giudice di
merito sulla base delle emergenze di fatto e ” dell’evidenza disponibile ”

e

comunque in applicazione dei parametri di valutazione della prova indiziaria in
ossequio al disposto dell’art. 192 cod. proc. pen. ,”esclusa l’interferenza di fattori
alternativi ” , possa ritenersi “giustificata e processualmente certa la conclusione
che la condotta omissiva è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con
“alto od elevato grado di credibilità razionale” o di “Drobabilità logica”. In altri
termini deve raggiungersi quel grado di “certezza processuale” che consenta di
poter ricollegare un evento ad una condotta omissiva “al di là di ogni ragionevole
dubbio”.
Applicando siffatti canoni interpretativi al caso concreto, i Giudici di merito, ai
fini della verifica del nesso di causalità, avrebbero dovuto accertare:
1) la condotta attiva in concreto esigibile dall’imputato in relazione alla posizione
di garanzia dallo stesso rivestita, una volta verificato con certezza che la ”
tumefazione ” aveva origine emorragica e che era stata causata dall’imperito
approccio iniziale della tecnica chirurgica laparoscopica, finalizzato ad indurre
un pneumoperitoneo, con la conseguente individuazione – tanto imprescindibile,
quanto evidente – del vaso arterioso o venoso, effettivamente lesionato che,
come testè si è annotato, pacificamente non poteva corrispondere alla arteriola
ovarica di destra;
2) se l’evento, ove l’imputato avesse posto in essere il comportamento così
individuato e (secondo la contestazione) colposamente omesso, in mancanza
dell’interferenza di sequenze causali alternative, non si sarebbe verificato ”
ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore e con
minore intensità lesiva “,come testualmente affermato dalle Sezioni Unite.
L’esito positivo del c.d. giudizio controfattuale – fondato sulla valutazione del
compendio probatorio disponibile – avrebbe quindi consentito di giungere alla
conclusione che la condotta omissiva ascritta alli Idotta era causa ( o concausa

9

qualsiasi interpretazione che faccia leva esclusivamente o prevalentemente, su

) dell’evento con

“alto od elevato grado di credibilità razionale” o di

“probabilità logica”.
In verità difficilmente contestabili appaiono la censure sollevate dalla difesa in
punto all’immotivato ed apodittico assunto della Corte d’appello che, come
sostenuto dal ricorrente, ” ha ritenuto [ la tumefazione ]

manifestazione

dell’emorragia in atto malgrado l’assoluta mancanza di dati idonei a convalidare
tale ipotesi “,

tanto legittimamente non potendo sostenersi sulla base

dall’eventualità, statisticamente apprezzabile, di una lesione di natura iatrogena

ancorchè detta tumefazione fosse stata osservata da altri componenti
dell’èquipe.

Obietta il ricorrente che la tumefazione non fu evidenziata in sede

autoptica. Nè furono prelevati reperti istologici nella zona a cavaliere dei vasi
iliaci di guisa da restare preclusa la “corrispondenza istologica tra la tumefazione
predetta e le caratteristiche di un ematoma ” .

Indubbia la fondamentale

valenza di riscontro di un siffatto accertamento, come tale atto a dissipare ogni
incertezza. Pare superfluo osservare che se l’ematoma non avesse trovato causa
nell’emorragia, non sarebbe stato logicamente possibile sostenere che essa era
la iniziale “spia ” dell’ingravescente patologia – negligentemente trascurata e
sottolavalutata dal chirurgo al suo incipit –

che provocò la morte la bambina,

sopravvenuto lo shock ipovolemico reso manifesto dagli inequivoci sintomi
rilevati dall’Idotta e dall’anestesista al termine dell’appendicectomia. Appare
quindi necessario demandare al giudice di rinvio una completa e rinnovata
“rivisitazione” sul punto del materiale probatorio, ovviamente precluso in sede di
legittimità, sottoponendo ad approfondita confutazione critica le diverse
risulatanze.
La motivazione della sentenza impugnata neppure si sottrae all’ulteriore censura
proposta dal difensore dell’Idotta in riferimento all’altra questione, strettamente
connessa alla precedente e che direttamente attiene alla corretta formulazione
del giudizio controffattuale. Se la morte della paziente fu dovuta

a shock

ipovolemico causato da emorragia, ineludibile era il preliminare accertamento
dell’origine di questa,logicamente subordinato all’individuazione del vaso ritenuto
offeso dalla pratica chirurgica. La Corte distrettuale ha tuttavia dovuto
ammettere che non era stato possibile

“pervenire con assoluta certezza” ad

individuare quale arteria o vena (evidentemente di rilevanti dimensioni e quindi
non coincidente, per quanto sopra si è osservato, con la minuscola arteria
ovarica di destra) fosse stata lesionata dal chirurgo di guisa da provocare
l’emorragia poi divenuta inarrestabile, anche a cagione delle ulteriori concausali
omissioni – negligenti ed imperite – degli stessi sanitari imputati. L’unico dato
certo era costituito dalla sede retroperintoneale dell’emorragia ( cfr. sentenza di
primo grado pagg. 23,29 ), non solo in ragione del visibile gonfiore visibilmente

10

conseguente alla procedura d’intervento in laparoscopia prescelta dal chirurgo,

riscontrato dal chirurgo al fianco destro,all’altezza del rene destro,ma anche per
la mancata raccolta di sangue dal drenaggio apposto dall’Idotta nella cavità
addominale e peritoneale. A tale proposito la Corte d’appello ha messo in dubbio
che il foro palesemente evidenziato in sede autoptica nella vena cava inferiore
trovasse unica e plausibile origine nel tentativo di infusione di una sacca di
sangue attuato dall’Idotta nel corso dell’intervento di emergenza. Riferì infatti il
teste dr. Monti di aver veduto, una volta entrato in sala operatoria ad intervento
“incannulata la vena cava inferiore “.

seconda istanza hanno al contrario evidenziato che

I Giudici di

“tutte le altre fonti ”

avevano accennato a tentativi – invero non riusciti – di incannulare l’aorta
(ovverosia un’arteria) – risultata peraltro indenne, in esito all’autopsia tantopiù sottolineando che lo stesso Idotta dichiarò di aver tentato un ” accesso
vascolare dei grossi vasi “.

Egli stesso ne ammise tuttavia la pressoché

impossibile individuazione ” a causa dell’imbibizione di tutti i tessuti
perivascolari “.
Anche a tale riguardo non appaiono infondate le censure dedotte dalla difesa
dell’Idotta in relazione al ragionamento propugnato dai periti d’ufficio ( fatto
proprio dalla Corte d’appello ) che, in buona sostanza, erano pervenuti ad
identificare il punto di origine dell’emorragia, ” per esclusione ” nell’unico vaso
sul quale l’esame autoptico ebbe a riscontrare una perforazione. Sul punto il
ricorrente ha messo in luce la carenza e la contraddittorietà della motivazione
che, oltre a trascurare gli accertamenti eseguiti dai periti in sede autoptica che,
sulla scorta delle ” caratteristiche strutturali del foro “,

ne avevano escluso la

riconducibilità alla ” presunta lesione accidentale cagionata dall’ago di Verrès ” ,
peraltro richiamando i pareri espressi da altri consulenti escussi nel corso del
dibattimento che, conformemente alla deposizione resa dal chirurgo Monti,
avevano condiviso siffatta tesi.
La Corte distrettuale, dunque,pur dovendo riconoscere di

non avere a

disposizione elementi di convincimento dotati di certa e sicura rilevanza
probatoria sull’individuazione dell’origine dell’emorragia, ha tuttavia escluso,
seguendo un censurabile ragionamento apodittico, manifestamente contrastante
con il richiamato insegnamento delle Sezioni Unite, che una siffatta lacuna
potesse esser tale ” da mettere in discussione il nesso di causalità ” . Ed ha
altresì affermato che, siccome la morte della bambina derivò da un’emorragia e
siccome non vi era plausibile spiegazione di una diversa causa alternativa
sull’origine della stessa emorragia, era giocoforza ritenere ” certa la manovra
che causò l’emorragia di cui ci si poteva accorgere a partire dal momento del
comparire sullo schermo della più volte menzionata tumefazione “.

Incorrendo

in un’evidente contraddittorietà argomentativa con quanto premesso in ordine
all’omessa verifica della reale natura della “tumefazione”, la Corte d’appello,

11

di appendicectomia concluso,

limitandosi a sposare la tesi sostenuta dal perito Costarella in sede di escussione
dibattimentale ( testualmente riportata nel corpo della motivazione ), ha inteso
precisare – nella presunta finalità di giungere ad assunti conclusivamente
incontestabili sul tema centrale del nesso eziologico – che non aveva pregnante
rilevanza stabilire se l’emorragia avesse avuto origine iatrogena od altra causa
ovvero se fosse conseguita a complicanze nell’esecuzione dell’intervento in
laparoscopia, posto che la lesione di un vaso è evento, in astratto e nella
generalità dei casi, ” del tutto prevedibile nelle statistiche e nella letteratura

dei medici imputati, era, secondo gli stessi Giudici di seconda istanza,

“come ”

fu affrontata siffatta grave patologia.
L’affermazione è l’effetto della carenza e della frattura, evidenziate nell’iter
logico-argomentativo seguito dai Giudici d’appello.
Appare ovvio ritenere che l’efficacia e la portata salvifica del comportamento
esigibile – ma colposamente omesso – avrebbero dovuto parametrarsi ed
adeguarsi – obiettivamente e temporalmente – in relazione all’individuazione del
vaso; alla zona dell’addome interessata; alla verifica dell’entità della
lesione;all’adozione di misure di emergenza ” interinali ” “calibrate” sulla
specifica evidenza patologica; alla praticabilità in concreto dell’intervento di
sutura quale unico e decisivo ” rimedio ” unanimemente riconosciuto come
dotato di sicuri effetti salvifici per la giovane paziente, secondo le leges artis e
secondo le capacità professionali dello stesso operatore e/o dell’èquipe, ecc.; il
tutto con diretta rilevanza ed incidenza agli effetti della corretta formulazione del
giudizio controfattua le.
Vero è che potenziali lesioni vasali costituiscono, per pacifico e non contestato
assunto dei periti interpellati nel procedimento, complicanza statisticamente
compatibile con la tecnica dell’appendicectomia laparoscopica, rientrando nella
nozione di prevedibilità. Ma per giungere a siffatta conclusione non può
logicamente e legittimamente prescindersi – ovviamente al di fuori di qualsivoglia
inammissibile presunzione astratta – dalla verifica, nel caso specifico, della sede
e – soprattutto – dell’entità della lesione vascolare provocata. A tanto non pare
abbiano proceduto i Giudici di seconda istanza nella riferita situazione di
incertezza.
S’impone quindi, in sede di rinvio, un’approfondita verifica delle relative
emergenze onde acclarare se e come possa configurarsi, nel caso concreto, la
sussistenza del nesso di causalità.
L’altro comportamento omissivo – imputato all’ Idotta al capo n. 3 – è stato
individuato dalla Corte d’appello nell’aver ritardato, per
negligenza,

nell’affrontare il progressivo

shock

ipovolemico cagionato

dall’emorragia, i cui sintomi erano apparsi evidenti al

12

imperizia e per

risveglio della

Ciò che invece rilevava, agli effetti dell’affermazione della penale responsabilità

paziente,una volta concluso l’intervento di appendicectomia. Ad avviso dei
Giudici d’appello l’imputato avrebbe perso tempo prezioso – tra i sessanta ed i
centoventi minuti dal termine dell’appendicectomia – per contrastare e rimediare
all’ingravescente patologia, disponendo una pressochè inutile TAC urgente
all’addome, eseguita ad ore 13,27, unicamente finalizzata a localizzare la sede
dell’emorragia, peraltro già manifestatasi alla palpazione al fianco destro.
Ritiene il Collegio,anche a tale proposito, non infondate le censure del ricorrente
che ha lamentato come la Corte d”appello abbia, con assunti apodittici, concluso
tempo “, non

rispondendo alle specifiche obiezioni dedotte dal difensore con apposite
deduzioni scritte volte a confutare l’assunto dei periti d’ufficio,invece fatto
proprio dalla sentenza impugnata; ciò anche con riferimento alla scansione
temporale della fase immediatamente successiva alla conclusione dell’intervento
di appendicectomia. Come peraltro evidenziato dalla sentenza di primo grado (
pagg.14-22 ) la TAC evidenziò la collocazione nel retroperitoneo di un grosso
ematoma, in loggia renale destra; il che avrebbe contribuito all’individuazione
dell’origine dell’emorragia: circostanza, come già si è osservato, di
imprescindibile rilevanza, nel caso concreto. A quanto osservato dal Giudice di
prime cure, non avrebbe potuto a priori

escludersi una valutazione del tutto

negativa in ordine a tale esame strumentale ancorchè fosse stato eseguito
senza mezzo di contrasto, che avrebbe reso necessario il prolungamento
dell’esame di altri quindici minuti, posto il sopravvenuto precipitare dei valori
pressori della paziente ( pag. 28). La TAC avrebbe comunque evitato al chirurgo
di ” trovarsi senza guida nelle paludi del retro peritoneo ” come sostenuto dal
prof. Staudacher, perito di parte dell’imputato Idotta (pag.29). In ogni caso la
Corte d’appello ha obliterato specificamente di approfondire ed esplicitare in
concreto – alla stregua delle censure dedotte dal ricorrente ed illustrate nel corso
della discussione orale –

i termini del giudizio controfattuale sul punto,

procedendo alla previa individuazione della condotta positiva omessa, ma
esigibile dal sanitario nell’accertata situazione fattuale e dotata di effetti salvifici.
Al giudice di rinvio deve quindi demandarsi un riesame complessivo ed organico
delle risultanze sul punto, previa confutazione delle diverse valutazioni medicolegali messe a disposizioni dei giudici di merito dai diversi periti interpellati
affinchè, con compiute e coerenti argomentazioni logiche, possa giungersi ad
affermare o ad escludere sia la ricorrenza della contestata omissione, ritenuta
connotata da colpa, sia la efficienza concausale della stessa.
Allo stesso Idotta, in cooperazione colposa con l’anestesista GENTILE si è altresì
addebitato di aver omesso, al termine dell’appendicectomia laparoscopica, in
presenza di “evidente e progressivo shock ipovolemico ” qualsivoglia intervento
o presidio

“volto a stabilizzare la paziente ” (capo n. 4) da attuarsi, secondo

13

per l’inutilità dell’esame e per la colpevole ” perdita di

l’opinione dei diversi periti, mediante la trasfusione in via d’urgenza dei c.d.
espansori del plasma che avrebbero avuto l’effetto di rimpiazzare ”
come massa, il sangue perduto nel circolo ”

e quindi dare

almeno

“al cuore qualcosa

da pompare in attesa che si potesse intervenire per bloccare l’emorragia ” ( cfr.
sentenza impugnata pag. 29 – 30).
La Corte d’appello ha evidenziato, in base alle risultanze fattuali – riscontrate con
apprezzamento logicamente coerente e quindi insindacabile in sede di legittimità
– che l’imputata Gentile, per negligenza ed imperizia professionale, rimase

dell’intervento di appendicectomia (sopravvenuto ad ore 12,30) allorchè si
determinò a compiere un prelievo per ” emocromo urgente “, di fatto eseguito
per via arteriosa ( attesa l’impossibilità di eseguirlo in via venosa per
l’aggravamento dello stato di shock ) dalla collega Randazzo qualche minuto
prima del responso, comunicato ad ore 13,18, che purtroppo confermò la gravità
della situazione atteso il riscontrato valore dell’emoglobina pari a 6,1
(cfr.sentenza di primo grado pag. 23 ).

Tra le 12,30 e le 13,18 non si
” alcun supporto farmacologico alle

somministrò comunque alla paziente

funzioni cardiocircolatorie utile a contrastare il palese stato di shock” ( pag. 31 )
risultando praticati i primi interventi infusivi a distanza di oltre mezz’ora dal
risveglio ( pag.35 ). L’addebito per omissione e per ritardo terapeutico veniva
ascritto anche all’Idotta, reinvestito della già chiarita posizione di garanzia quale
capo dell’èquipe chirurgica che, pur concluso l’intervento di appendicectomia,
aveva necessariamente dovuto “riprendere in carico la paziente ” una volta
evidenziatasi, al risveglio dall’anestesia, la complicanza emorragica, da lui stesso
peraltro constatata. Identico obbligo, derivante da analoga posizione di garanzia,
gravava peraltro in via autonoma anche

in capo all’anestesista,tenuta a

procedere di sua iniziativa, nella conclamata sopravvenienza

di sintomi

inequivoci dell’emorragia in atto, all’infusione di plasma-espander, ” utilmente
praticabile con una pressione arteriosa tra 130 e 80 “, anche a prescindere

invece del tutto inerte per circa trenta – quaranta minuti dal termine

dalle decisioni dell’Idotta,in difetto della disponibilità, nell’immediatezza di
sacche di plasma.
Come fondatamente lamentato dai ricorrenti, la motivazione della sentenza non
va esente da censure in punto alla corretta formulazione del giudizio
controfattuale agli effetti dell’accertamento del nesso di causalità. Per la
concorde e non contestabile opinione dei diversi periti officiati nel procedimento
( oltrechè per comune buon senso ) in presenza di emorragia, l’intervento
d’elezione, dotato di indubbi effetti salvifici deve mirare, nel più breve tempo
possibile, alla sutura del vaso dal quale la stessa ha avuto origine. Come sopra
si è sottolineato, appare quindi di intuitiva evidenza quale imprescindibile
importanza rivesta l’individuazione del vaso e dell’esatto punto della lesione

14
‘/(

iatrogena. Ed è quindi ozioso ancora rimarcare quale fondamentale importanza
rivesta, agli effetti della sussistenza o meno del nesso di causalità,
l’accertamento del punto di origine dell’emorragia. Mette conto a tale riguardo
rilevare che il difensore dell’anestesista,sulla scorta di quanto precisato dal teste
prof. D’Angelo in qualità di responsabile del servizio di coagulazione – unità di
ricerca trombosi dell’Ospedale S.Raffaele di Milanog.ha dedotto che, in presenza
di emorragia di rilevante intensità, tanto da aver cagionato shock, l’attuazione
del rimpiazzo della massa circolante ha effetti temporanei e non risolutivi. In

caso di lesione conseguente a lesione laparoscopica, è solamente chirurgica al
fine di ” ridurre la mortalità”. Ora, contrariamente alla tesi sostenuta dal prof.
Staudacher (fatta propria acriticamente dalla Corte d’appello ) secondo il quale
preminenti se non esclusivi effetti salvifici dovevano riconoscersi nell’intervento
di stabilizzazione della paziente il dott. Adamo, consulente di parte
dell’imputata Gentile ha invece precisato che se si immettono – ed in notevole
quantità – liquidi ( ad esempio tre litri per ogni litro di sangue perso)
“aumentando di molto il volume del sangue, si aumenta la pressione e pertanto
si aumenta la perdita, avviando la c.d. triade killer ” . Lo stesso perito ha altresì
riferito del sopravvenuto mutamento delle linee guida in vigore negli anni ’90 in
materia di infusione in esito alle verifiche statistiche che avevano dimostrato un
aumento della mortalità per i pazienti trattati con “terapia fluidica aggressiva “.
Sicchè, secondo l’opinione dello specialista, la corretta applicazione delle
procedure di stabilizzazione non sarebbe più improntata ” ad un riempimento
volemico aggressivo ” , ma ad una pratica di
tempo ”

“riempimento rapido per breve

strettamente connessa alla concomitante verifica della stabilità

emodinamica del paziente. Con riferimento al caso di specie, ha affermato il
perito dr.Adamo che, una volta somministrati alla paziente 500 ml. ( invero
1500 ml ) di plasma – expander,, posto che la paziente ” non ha dato nessuna
risposta ” ed ” è rimasta instabile dal punto di vista emodinamico ”

null’altro

avrebbe dovuto o potuto fare l’anestesista. A questo punto ineludibile diventava
esclusivamente il trattamento chirurgico. Ed ha concluso il professionista – a
quanto è riportato in ricorso – che, una volta tentata la stabilizzazione del
paziente quale precipuo incombente dell’anestesista, ove a tale pratica non
consegua adeguata risposta dal paziente ” è inutile continuare; più spingi,più
perde “.

Indiscutibile appare l’incidenza di una siffatta tesi in ordine

all’affermata esistenza del nesso di causalità tra il comportamento omissivo
ascritto alla Gentile e l’evento. Al giudice di rinvio, previo riesame critico funditus
delle richiamate emergenze, dovrà quindi demandarsi di sottoporre ad
t
approfondita verifica confutazione dell’opinione dedotta dal dr. Adamo ( cui
neppure si accenna nella motivazione della sentenza impugnata ) e quella – di

15

caso di lesione iatrogena non deve procedersi a stabilizzazione. La risposta,in

opposto significato – sostenuta dagli altri periti ed in particolare dal prof.
Staudacher (sostanzialmente recepita dalla Corte d’appello ) secondo il quale,
qualora l’origine dell’emorragia risiedesse ( come da lui stesso asserito ) in un
vaso arterioso renale, sia l’emorragia stessa sia l’ematoma sarebbero stati
controllabili nel retro peritoneo grazie all’infusione – riscaldata e rapida – della
paziente per due o tre vie, così ribadendo ” la sua tendenziale non operabilità, a
condizione della sua compensazione “. Il tutto al fine di acquisire certi riscontri
medico-legali ai fini dell’elaborazione del giudizio contro fattuale con specifico

all’Idotta.
Devono ritenersi assorbiti il quinto motivo dell’impugnazione dedotta
dall’imputato Idotta e la seconda censura proposta dal difensore dell’altra
imputata Gentile.
La sentenza impugnata deve quindi esser annullata con rinvio alla Corte
d’appello di Reggio Calabria che, giusta quanto fin qui premesso, procederà a
nuovo esame della vicenda processuale.

PQM

Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria
per nuovo esame.
Così deciso in Roma,lì 7 novembre 2013.

riguardo alla posizione dell’anestesista e dell’ulteriore addebito ascritto anche

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