Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9194 del 19/09/2013


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 9194 Anno 2014
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: CIAMPI FRANCESCO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI MILANO
Nei confronti di :
MARTINELLI STEFANO ENRICO N. IL 24.07.1958
Avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI MILANO del 14/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere dott. FRANCESCO MARIA CIAMPI, udite le
conclusioni del PG in persona del dott. Giovanni D’Angelo che ha chiesto l’annullamento
con rinvio; per la parte civile è presente l’avvocato Francesca Garisto che insiste per
l’accoglimento del ricorso; per l’imputato è presente l’avvocato Franco Rossi che chiede
dichiararsi inammissibile ricorso
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 14 giugno 2012 la Corte d’appello di Milano, in riforma della
sentenza del Tribunale di Monza del 20 settembre 2011, appellata da Martinelli
Stefano, dichiarava non doversi procedere nei confronti dello stesso perché l’azione
penaale non poteva essere iniziata per tardività della querela.
2. Il Martinelli, in qualità di medico curante del minore Ricciutelli Cristian, nato il 18
luglio 2003, era stato tratto a giudizio per il reato di lesioni colpose in danno del
medesimo in relazione alla ritardata diagnosi di sordità. La Corte territoriale in
particolare riteneva che la querela presentata dai genitori del minore in data 29
ottobre 2007 era da ritenersi tardiva in quanto i medesimi erano venuti a piena
conoscenza del difetto genetico del loro figlio sin dal giugno-luglio del 2006
3. Avverso tale decisione propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica
presso la Corte d’appello di Milano
Il PG lamenta la violazione dell’art. 124 c.p. e la manifesta illogicità della
motivazione

Data Udienza: 19/09/2013

4. Il ricorso è fondato e deve conseguentemente essere accolto. Va anzitutto premesso
che l’accertamento svolto dal giudice di merito sulla tempestività, o tardività, della
querela involge anche un accertamento di fatto che, se condotto con corretti criteri
logico giuridici, si sottrae al controllo di legittimità. Nel caso in esame l’accertamento
di fatto condotto dal giudice di merito non è posto in discussione; con il ricorso si
contesta invece la correttezza dei criteri utilizzati dal giudice di merito per
individuare il momento iniziale del decorso del termine per la proposizione della
querela che, per giurisprudenza costante, coincide con quello in cui il titolare del
diritto di querela viene a completa conoscenza del fatto reato nei suoi elementi
costitutivi di natura oggettiva e soggettiva.
Questa conoscenza non può essere limitata, come sostanzialmente ritiene la
sentenza impugnata, alla sola consapevolezza dell’esistenza di conseguenze della
patologia che ha riguardato la persona ma deve quanto meno estendersi alla
possibilità che, su questa patologia, abbiano influito errori diagnostici o terapeutici
dei medici che hanno seguito il caso. Diversamente difetterebbe la consapevolezza
dell’astratta esistenza di un’ipotesi di reato che non si realizza solo con il verificarsi
di un evento materiale ma richiede che la persona offesa abbia coscienza, sia pure
sommaria, della violazione di regole cautelari nel trattamento della patologia e
dell’influenza causale di questa violazione sull’evento dannoso verificatosi. In questo
senso va interpreta la giurisprudenza di legittimità (compresa quella richiamata
nella sentenza impugnata) dalla quale si evince che il termine inizia a decorrere
quando la persona offesa abbia la piena cognizione di tutti gli elementi di natura
oggettiva e soggettiva che consentono la valutazione dell’esistenza del reato (v. in
Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 17592 del 07/04/2010, Rv.
questo senso, Cass.,
247096; Cass., sez. IV, 30 gennaio 2008, n. 13938; Cass., sez. 3, 19 dicembre
2005 n. 3943, Decurione, Rv. 233483; sez. 5, 19 dicembre 2005 n. 5944,
Ambrogio, Rv. 233846; 6 febbraio 2003 n. 11781, Blangero, Rv. 223909; sez. 2, 24
luglio 2002 n. 29923, Battistuzzi, Rv. 222083; sez. 5, 20 gennaio 2000 n. 3315,
Prando, Rv. 215580).
Orbene non è possibile, nel caso di lesioni colpose astrattamente riconducibili a
responsabilità medica, che la mera conoscenza delle conseguenze subite in esito al
trattamento terapeutico costituisca consapevolezza dell’esistenza del reato perché
difetta ancora, nella persona offesa, la consapevolezza della circostanza che il
medico ha violato le regole dell’arte medica cagionando le lesioni.
Nel caso in esame la Corte territoriale si è limitata all’accertamento della
consapevolezza dell’esistenza degli esiti della malattia senza indagare funditgse i
querelanti fossero a conoscenza degli errori diagnostici e terapeutici ipotizzati e
senza verificare se questa conoscenza sia intervenuta solo dopo l’espletamento della
consulenza medico legale di parte.
5. Consegue alle considerazioni svolte l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata alla Corte d’appello di Milano (per nuovo esame)cui è rimesso anche il
regolamento delle spese tra le parti del presente giudizio
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano per nuovo
esame e rimette alla medesima Corte il regolamento delle spese tra le parti del
presente giudizio
Così deciso nella camera di consiglio del 19 settembre 2013
IL CONSIGLIERE ESTENSORE

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

IL PRESI

TE

CONSIDERATO IN DIRMO

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