Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9191 del 02/02/2017

Penale Sent. Sez. 2 Num. 9191 Anno 2017
Presidente: DAVIGO PIERCAMILLO
Relatore: PAZZI ALBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Credito Emiliano – CREDEM s.p.a., con sede in Reggio Emilia, in persona del
legale rappresentante pro tempore,
nel procedimento penale promosso nei confronti di A.A., e B.B.,
avverso la sentenza n. 3262/2013 del 22.10.2015 della Corte di Appello di
Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alberto Pazzi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Giuseppina Casella, che ha concluso per l’ annullamento con rinvio;
udito il difensore della parte civile Credito Emiliano – CREDEM s.p.a., Avv.
Roberto Sutich, che ha concluso riportandosi ai motivi;
udito il difensore dell’ imputato B.B., Avv. Filippo Loria, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso della parte civile;
udito il difensore dell’imputato A.A., Avv. Giovanni Stefano
Dallera, che ha concluso chiedendo il rigetto o inammissibilità del ricorso della
parte civile.

RITENUTO IN FATTO

Data Udienza: 02/02/2017

1. Con sentenza in data 22 ottobre 2015 la Corte di Appello di Milano, in
riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Milano in data 17 dicembre 2012,
ha assolto A.A. e B.B. dai reati loro ascritti in
concorso per insussistenza del fatto revocando nel contempo le statuizioni civili
previste dalla decisione appellata.
A.A. e B.B. erano stati tratti del giudizio perché
in tesi accusatoria, in violazione del disposto degli artt. 640, 640-ter e 61 n. 7 e
11, c.p., con artifici e raggiri attinenti alla contabilità bancaria, avevano indotto

di amicizia fidi, prestiti e scoperture di conto, in assenza dei presupposti e delle
garanzie richieste, cagionando in tal modo al!’ istituto di credito un danno pari a
otto milioni di euro; in particolare si assumeva nell’ imputazione che A.A., in qualità di
personal bancker affluent:

district manager,

e B.B., quale

i) fossero intervenuti abusivamente su dati,

informazioni e programmi di contabilità bancaria del Credito Emiliano; ii)
avessero fatto indebito uso del conto transitorio DEBCRE al fine di creare una
provvista sul conto corrente di alcuni clienti e colmare la mancanza di liquidità;
iii) avessero omesso di annotare dati attinenti alla posizione dei clienti per
occultarne l’esposizione in sofferenza; iv) avessero registrato con causali
generiche o errate operazioni di trasferimento di denaro.
2. Ha proposto ricorso per Cassazione avverso la predetta sentenza il
difensore della parte civile costituita Credito Emiliano – CREDEM s.p.a. ex art.
576 c.p.p., deducendo i seguenti motivi di doglianza:
2.1. ai sensi dell’ art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p. la mancanza, la
contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione sotto il profilo della
travisamento della prova nella parte in cui la sentenza della Corte d’ Appello di
Milano aveva completamente omesso ogni riferimento alle dichiarazioni
testimoniali degli ispettori di CREDEM s.p.a., ritenute invece fondamentali nella
motivazione della sentenza di primo grado, e di altri testi che avevano
platealmente sconfessato il narrato del cassiere Gefonti, a cui era stata
erroneamente attribuita una valenza probatoria decisiva; in questo modo i
giudici di appello non avrebbero proceduto a una totale ricostruzione della
congerie istruttoria al fine di valutarne il contenuto, ma si sarebbero limitati a
enucleare dalle risultanze processuali descritte dal primo giudice e non
autonomamente ricostruite solo quelle che apparivano funzionali alla propria
valutazione critica contrastante con quella della decisione appellata;
2.2 ai sensi dell’ art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p. l’ erronea applicazione
della legge penale con riferimento alla pretesa insussistenza degli elementi
costitutivi delle fattispecie di cui agli artt. 640 e 640-ter c.p..

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4en–

in errore il Credito Emiliano procurando a clienti loro legati da vincoli di favori o

A questo proposito la difesa lamenta che attraverso il travisamento della prova in
precedenza denunciato la corte territoriale sia pervenuta immotivatamente a
escludere l’ esistenza di artifici e raggiri, di un profitto ingiusto, di un danno e di
un intervento sine iure di alterazione del sistema informatico.
Al contrario tutte le forzature del sistema, al fine di renderlo cieco e incapace di
rilevare illeciti, e tutte le accortezze tecniche utilizzate costituivano elementi
sufficienti a integrare la fattispecie di cui all’ art. 640-ter c.p.; nel contempo, a
dire della difesa, la Corte d’Appello non avrebbe adeguatamente valutato la

istruttoria, le quali avevano chiara natura di artifici e raggiri idonei a eludere il
controllo della banca e avevano indotto in errore la stessa determinandola ad atti
di disposizione patrimoniale che mai sarebbero stati compiuti altrimenti, con un
danno pari a C 8.400.000.
2.3. ai sensi dell’ art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p. la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione con riferimento all’
insussistenza degli elementi costitutivi dei delitti di truffa e frode informatica; a
questo riguardo la corte territoriale, nel privilegiare l’ esito assolutorio, avrebbe
operato una rivalutazione sommaria delle emergenze probatorie venendo così
meno all’ obbligo di motivazione rafforzata che su di lei gravava, in ossequio al
quale era tenuta al dovuto approfondimento e alla necessaria critica di tutti i
passaggi argomentativi della sentenza di primo grado, che invece non era stata
presa in esame rispetto ad alcune posizioni quanto ad operatività su incassi e
pagamenti e a tutte le posizioni quanto alla gestione del credito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Credito Emiliano – CREDEM s.p.a. lamenta, con il primo motivo di
ricorso, la mancata valutazione da parte della corte territoriale delle dichiarazioni
testimoniali rese dagli ispettori o dai dipendenti della banca.
Ora il vizio di travisamento della prova per omissione, deducibile in cassazione ai
sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e) cod. proc. pen., è configurabile quando
manchi la motivazione in ordine alla valutazione di un elemento probatorio
acquisito nel processo (cfr. Sez. 4, n. 50557 del 07/02/2013 – dep. 13/12/2013,
Chierici, Rv. 25789901) che abbia carattere decisivo ai fini della pronuncia (Sez.
2, n. 47035 del 03/10/2013 – dep. 26/11/2013, Giugliano, Rv. 25749901).
Nel caso di specie la corte territoriale non è affatto incorsa in un simile vizio.
Infatti la Corte d’Appello ha in esordio registrato che la condotta contestata agli
imputati in sostanza consisteva nella concessione di prestiti facili e di
agevolazioni ingiustificate a fronte di garanzie considerate modeste o inesistenti

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pluralità di condotte poste in essere degli imputati, ampiamente descritte in sede

da parte dei beneficiari, nel rilascio di fidi senza adeguate istruttorie e con
modalità censurabili e nell’ aver consentito rischiosi sconfinamenti a esclusivo
tornaconto di imprenditori vicini e soggetti amici.
La corte territoriale poi, pur senza procedere a una formale rassegna delle voci
processuali di cui la difesa lamenta la mancata considerazione, le ha
complessivamente valorizzate, laddove ha spiegato che i rilievi ispettivi (e
conseguentemente le deposizioni che gli stessi ispettori avevano reso nel corso
del dibattimento illustrando il risultato delle proprie indagini) elencavano

però l’ importanza di queste affermazioni nell’ ambito disciplinare ed escludendo
invece un loro rilievo in ambito penale, in mancanza di elementi che
consentissero di individuare gli elementi caratteristici dei delitti in contestazione.
La Corte d’Appello dunque non ha affatto trascurato le risultanze delle indagini
ispettive e le deposizioni dei testi che le avevano illustrate in ambito
dibattimentale ma ha ritenuto che i risultati ottenuti potessero assumere
rilevanza per l’ autorità di vigilanza o gli organi interni deputati alle sanzioni
disciplinari ma non per il giudice penale.
1.2 Nessun travisamento della prova, inteso come ipotesi in cui il giudice di
merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su
un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (Cass. 28.7.2016
n. 33051), può poi essere ravvisato nella valutazione della deposizione del teste
Gefonti, da cui la Corte d’ Appello ha evinto, in assonanza con il contenuto della
lettera del medesimo in data 28.5.2008, che tutte le operazioni compiute sul
partitario DEBCRE vennero dallo stesso effettuate dietro autorizzazione dei diretti
superiori (“.. dovevo chiedere l’autorizzazione a chi di dovere ….. autorizzazione

che mi veniva data..”pag. 28 della sentenza della Corte d’ Appello di Milano) ma
con inserimento su iniziativa personale dell’ interpunzione.
1.3 Una volta constatate l’ avvenuta considerazione delle risultanze dell’ indagine
ispettiva interna e delle correlate dichiarazioni degli ispettori e la corretta
valutazione della deposizione del Gefonti, occorre poi ricordare che la novella
codicistica introdotta con la I. n. 46 del 20 febbraio 2006, che ha riconosciuto la
possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti
processuali specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la
natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di
legittimità, sicchè gli atti indicati devono contenere elementi processualmente
acquisiti, di natura certa ed obiettivamente incontrovertibili, che possano essere
considerati decisivi in rapporto esclusivo alla motivazione del provvedimento
impugnato e nell’ ambito di una valutazione unitaria e devono pertanto essere
tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso.

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anomalie procedurali, violazioni di normative interne e irregolarità, relegando

Resta invece esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze
acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso
una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa
ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità
delle fonti di prova.
I motivi proposti tendono invece, a ben vedere, ad ottenere un’ inammissibile
ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal
giudice di merito, il quale, a seguito di un esame dell’ intera congerie istruttoria

ragioni del suo convincimento.
2. Rispetto agli elementi costituitivi dei reati in contestazione la corte
territoriale ha compiuto una serie di risolutivi rilievi.
2.1 In merito alla frode informatica, implicitamente individuata anche ai fini della
truffa quale modalità artificiosa utilizzata per far conseguire ai clienti beneficiati il
profitto ingiusto, la Corte d’Appello ha ritenuto che non vi sia stato alcun
intervento sine iure o alterazione del sistema informatico, perché la condotta
enfatizzata come artificio è consistita nell’ utilizzo di una mera interpunzione
(vale a dire nell’ inserimento nel campo destinato alla compilazione del
nominativo del beneficiario di un puntino fra due parentesi) per poter passare
alla compilazione del campo successivo.
L utilizzo di questa interpunzione ha rappresentato quindi una vistosa anomalia
inconciliabile con il mascheramento doloso e la maliziosa fraudolenta
dissimulazione che i reati in contestazione presuppongono, essendo talmente
evidente da non poter passare inosservata a qualunque controllo ispettivo e
ordinario; in sostanza il ricorso a questa condotta ha costituito una prassi
abituale e illegittima ma non certo un sofisticato sistema fraudolento in quanto la
stessa, lungi dall’ accecare il sistema, ha fatto risaltare l’ irritualità delle
operazioni compiute e le ha rese facilmente riconoscibili da parte degli organi di
controllo, come è in effetti avvenuto alla prima ispezione utile.
2.2 Non sfugga peraltro come in ripetuti passaggi motivazionali la corte
territoriale, dopo aver rilevato plurime irregolarità contabili ma nessun artificio
contabile idoneo a mascherare alcunchè, abbia spiegato che non potevano
essere ravvisati artifici e raggiri qualora nulla fosse stato nascosto e risultasse l’
iscrizione di una partita a debito, atteso che una simile operazione, contabilizzata
nella sua evidenza, non dissimulava alcunchè ma semmai la poneva in evidenza.
2.3 Quanto all’ ingiusto profitto con altrui danno la Corte d’Appello, una volta
dato per pacifico che nessuno degli imputati avesse agito per interesse
personale, ha spiegato che era necessario provare, in coerenza con il tenore del
capo d’imputazione, che gli stessi avessero inteso garantire un ingiusto profitto a

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e con motivazione esente da vizi logici manifesti e giuridici, ha esplicitato le

clienti a loro collegati da vincoli di favore e di amicizia, mentre tali rapporti
personali erano rimasti del tutto inesplorati; per di più nel caso in cui la somma
concessa in mancanza di garanzia fosse stata restituita unitamente agli interessi
passivi dovuti non era possibile ravvisare nè un ingiusto profitto, nè un danno in
capo all’ istituto di credito.
2.4 Rispetto al profilo soggettivo ai fini della configurabilità del delitto di truffa la
Corte d’Appello ha sottolineato come non bastasse l’ erogazione di somme in
spregio alle più elementari norme di accesso al credito, ma necessitasse anche

I’ intento di procurare un profitto al cliente/amico.
Oltre a ciò la condotta attribuita dal primo giudice al A.A. corrispondeva al
profilo soggettivo della colpa per omesso controllo da parte del soggetto che
rivestiva una posizione di garanzia piuttosto che a quello del dolo fraudolento
richiesto dalla delitto in contestazione.
2.5 Infine la corte territoriale ha inteso chiarire che nel caso in cui per favorire
un cliente si fosse alimentato il suo conto corrente a discapito di un altro conto,
attingendo indebitamente la provvista da quest’ ultimo, il reato era addebitabile
alli autore del fatto e, in presenza dei presupposti di cui all’ art. 40 c.p., al suo
sovraordinato, la persona offesa andava individuata nel correntista a discapito
del quale l’operazione era avvenuta e la banca non poteva essere identificata
come il truffato bensì come il responsabile civile del delitto commesso.
2.6 A fronte di questi plurimi, precisi, rilievi il ricorso è fondato su motivi che in
sostanza ripropongono le stesse ragioni già discusse nelle sedi di merito e non
condivise dal giudice del gravame, ma non si confrontano realmente con gli
argomenti illustrati dai giudici dell’ appello, dovendosi gli stessi perciò
considerarsi non specifici.
La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo
per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste
a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni
del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente
dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191,
Barone, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634; Sez.
4, 03/07/2007, n. 34270, Scicchitano, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n.
35492, Tasca, Rv. 237596).
In particolare l’ istituto di credito ricorrente non ha specificamente contestato,
rispetto al reato di frode informatica, i rilievi della corte territoriale in ordine alla
mancanza di alcun intervento sine iure e di alterazione del sistema informatico,
nonché, rispetto alla truffa, gli argomenti illustrati in merito all’ inesistenza di

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una loro preordinata violazione al fine specifico di frode in danno della banca con

artifici e raggiri relativamente a tutte le modalità prospettate nel capo
d’imputazione (interpunzione e artifici contabili), alla mancata dimostrazione dell’
esistenza di un profitto nei termini descritti nell’imputazione, all’ assenza di
prova in ordine a un effettivo danno tenendo conto dei rientri avvenuti, alla
mancanza della compiuta dimostrazione del precipuo dolo richiesto dal delitto de
quo e alla corretta individuazione della parte offesa.
2.7 In ogni caso le valutazioni compiute dalla Corte d’Appello non contengono
alcuna erronea interpretazione della legge penale.

specificazione delle condotte fraudolente da tenere (di cui “la prima consiste nell’
alterazione, in qualsiasi modo, del “funzionamento di un sistema informatica o
telematica”: in tale fattispecie vanno fatte rientrare tutte le ipotesi in cui viene
alterato, in qualsiasi modo, il regolare svolgimento di un sistema informatico o
telematico”, la seconda è costituita dall’ intervento “senza diritto con qualsiasi
modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o
telematico”: si tratta di un reato a forma libera che, finalizzato pur sempre
all’ottenimento di un ingiusto profitto con altrui danno, si concretizza in una
illecita condotta intrusiva ma non alterativa del sistema informatico o telematico”
Cass. 24.2.2011 n. 9891, Cass. 22.3.2013 n. 13475) e per il fatto che una simile
attività fraudolenta investe non un determinato soggetto passivo, di cui difetta l’
induzione in errore, bensì il sistema informatico attraverso la sua manipolazione.
Nel caso in esame la corte territoriale ha correttamente escluso il ricorrere della
seconda condotta prevista dall’ art. 640 ter c.p., non essendovi stato alcun
intervento intrusivo senza diritto, dato che chi inserì le operazioni (soggetto per
di più da individuarsi non negli odierni imputati, ma nel cassiere Gefonti, che
operò di sua iniziativa in assenza di suggerimenti esterni) era abilitato all’ utilizzo
del sistema e del DEBCRE.
Nè sarebbe stata ipotizzabile una qualsiasi alterazione del funzionamento del
sistema informatico, poiché nel caso di specie non vi è stato, secondo la
valutazione del giudice di merito, accecamento di sorta; l’ anomalia di utilizzo
era infatti, oltre che temporanea e destinata a essere superata al momento della
definizione della posizione, del tutto palese e riscontrabile da chiunque avesse
accesso al sistema informatico della banca e aveva caratteristiche talmente
evidenti da non poter passare inosservata a qualsiasi controllo.
2.8 Analoghe considerazioni debbono essere compiute rispetto al reato di truffa,
in quanto la corte territoriale: i) ha correttamente escluso il ricorrere di artifici e
raggiri nella condotta di chi, piuttosto che ricorrere al mascheramento doloso
della realtà al fine di indurre i funzionari addetti al controllo in errore, faccia
ricorso a una vistosa anomalia o a un’ evidente irregolarità inidonea a simulare o

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Il reato di frode informatica si caratterizza rispetto alla truffa per la

dissimulare alcunchè; ii) ha a ragione individuato la persona offesa dalla
condotta irregolare tenuta nel titolare del conto su cui le fittizie operazioni erano
state regolate, in assenza di dimostrati riflessi a discapito della banca; iii) ha
conseguente ritenuto che il danno correlato all’ imputazione contestata dovesse
essere calcolato tenendo conto del pregiudizio effettivamente sofferto dall’
istituto di credito e non dal titolare dei conti passati a sofferenza, ove questi non
fosse risultato inadempiente; iv) ha infine reputato che il dolo non fosse affatto
integrato dall’ omesso controllo da parte del soggetto che rivestiva posizioni di

consapevolezza di usare artifici e raggiri e nell’ intenzione di indurre l’ istituto in
errore per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
3.1 Secondo la giurisprudenza di questa corte il giudice dell’ appello, ove
intenda non condividere la statuizione di condanna pronunciata in primo grado,
deve riesaminare il materiale probatorio vagliato dal precedente giudice,
considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello
ulteriormente acquisito, per dare poi, riguardo alle parti della prima sentenza
non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che giustifichi le
sue difformi conclusioni (“In tema di motivazione della sentenza, il giudice di
appello che riformi la decisione di condanna pronunciata in primo grado, nella
specie pervenendo a una sentenza di assoluzione, deve, sulla base di uno
sviluppo argomentativo che si confronti con le ragioni addotte a sostegno del
“decisum” impugnato, metterne in luce le carenze o le aporie, che ne giustificano
l’integrale riforma” Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014 – dep. 03/12/2014, P.C. in
proc. Fu e altri, Rv. 26132701).
Questo vaglio ben può essere effettuato in via sintetica e non analitica, tramite l’
indicazione di ragioni che giustifichino, nel loro complesso, il superamento degli
esiti del primo giudizio.
Così ha fatto la corte territoriale quando ha escluso, in linea generale, rispetto
alli intera condotta addebitata agli imputati tanto la sussistenza di una condotta
artificiosa, quanto la possibilità di ravvisare il dolo e il fine di profitto ipotizzato
nel capo d’ imputazione, atteso che questi rilievi valgono a destituire di
fondamento le ipotesi criminose rispetto a tutte le operazioni passate al vaglio
del personale ispettivo interno della banca.
3.2 Peraltro la Corte d’Appello ha ripercorso l’ iter argomentativo del giudice di
primo grado, tralasciando lo specifico esame di alcune posizioni relative ad
operatività su incassi e pagamenti solo perché di insignificante rilievo, dopo però
aver ribadito anche per esse l’ assenza di qualsivoglia rilievo di competenza del
giudice penale (vale a dire degli elementi costitutivi del reato secondo le
indicazioni in precedenza illustrate); le posizioni relative alla gestione del credito

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garanzia, essendo invece necessaria una condotta volontaria nella

sono state poi analizzate in via cumulativa, rilevando come la concessione di
credito a soggetti di dubbia solvibilità ancora una volta non consentiva di
delineare, oltre a condotte di rilevanza disciplinare interna alla banca, gli
elementi caratterizzanti le fattispecie penali in contestazione.
4. Da quanto sopra consegue il rigetto del ricorso in esame, con condanna della
parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna la parte civile ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma il 2 febbraio 2017
Il Consigliere estensore

Il Presidente
Piercamillo Davigo

P.Q.M.

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