Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9187 del 10/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9187 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PAPA LUCIA N. IL 12/07/1990
avverso la sentenza n. 1716/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
11/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 10/01/2014

Con sentenza in data 11/4/2013 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la sentenza del
4/2/2010 del Tribunale di Macerata, emessa ex art.442 cod. proc. pen. a seguito di arresto in
flagranza di reato, con cui la Sig.ra Lucia PAPA è stata condannata in relazione al reato
previsto dagli artt.73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 e 62-bis cod. pen., commesso il
24/1/2010.

Ritiene la Corte che alla luce del contenuto dei motivi di ricorso debbano trovare applicazione i
principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché in tema di travisamento del
fatto che sono contenuti nelle sentenze delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre
1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale
prospettiva di ordine generale va, dunque, seguita la costante affermazione giurisprudenziale
del principio secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26
aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di rilevare che i giudici di appello hanno
esposto con argomentazioni chiare e immuni da vizi logici le ragioni che hanno condotto a
respingere i motivi di appello. La Corte di appello, data come verosimile la condizione di
consumatrice dell’imputata anche alla luce delle produzioni operate nel corso del giudizio, ha
individuato i plurimi indicatori che, in linea con i principi fissati da questa Corte, supportano il
giudizio di responsabilità penale.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi
la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 10/1/2014

DEPOS!TATAI

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta: errata applicazione di
legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi dell’art.606,
lett.e) cod.proc.pen. mancata assoluzione dal reato difettando la destinazione della sostanza a
terzi.

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