Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9180 del 10/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9180 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BUCAIONI ADIO N. IL 15/03/1956
avverso la sentenza n. 2358/2010 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
23/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 10/01/2014

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta: vizio motivazionale ai
sensi dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. per avere la Corte di appello limitato il giudizio di non
versamento delle retribuzioni al solo periodo da agosto 2006 a gennaio 2007, ritenendo non
provata tale circostanza per i mesi precedenti.
Il ricorso è palesemente inammissibile in quanto, pur prospettando la censura sotto la rubrica
della contraddittorietà, in realtà censura la valutazione delle prove operata dalla Corte di
appello nel senso di richiedere a questa Corte una lettura diversa e alternativa del medesimo
materiale probatorio. Devono qui applicarsi i principi interpretativi in tema di limiti del giudizio
di legittimità e di definizione dei concetti di contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, nonché in tema di travisamento del fatto che sono contenuti nelle sentenze delle
Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre 1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e
n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale prospettiva di ordine generale va, dunque,
seguita la costante affermazione giurisprudenziale del principio secondo cui è “preclusa al
giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra
tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26 aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv
234148).
In effetti, la Corte di appello ha seguito un percorso motivazionale lineare, affermando: a)
quanto risulta dalle dichiarazioni che la parte ha reso all’Inps tramite i modelli c.d. “DM10”
induce a ritenere che si sia in presenza di pagamento delle retribuzioni ai lavoratori e al
conseguente obbligo di accantonare e versare le somme dovute all’ente; b) tale criterio di
valutazione delle prove può cedere qualora la parte privata dimostri positivamente che la
dichiarazione non risponde alla realtà e che le somme dovute a titolo di retribuzione, e indicate
nelle dichiarazioni all’ente, sono state in tutto o in parte non corrisposte; c) si tratta di
dimostrazione che deve avere carattere di fondatezza tale da rendere certa l’insussistenza
delle premesse in fatto dell’obbligo di versamento all’Inps; d) nel caso in esame l’unico dato
certo è il venire meno della linea di credito bancaria che consentiva di fronteggiare l’obbligo di
pagamento delle retribuzioni, con conseguente onere di versamento delle somme dovute
all’Inps, così che è dal momento in cui la linea di credito si è interrotta che può dirsi
ragionevolmente accettabile la ricostruzione operata dall’imputato.

Con sentenza in data 23/4/2013 la Corte di Appello di Brescia ha parzialmente confermato la
sentenza del 16/12/2009 del Tribunale di Mantova e, assolto il Sig. Adio BUCAIONI dai reati
e contestati in relazione al reato previsto dagli artt.81 cod. pen., d.l. 12/9/1983, n.463,
convertito in legge 11/11/1983, n.638, modificata dal d.lgs. 24/3/1994, n.211 relativo al
periodo settembre 2006-gennaio 2007 e dichiarato prescritto il reato relativo al mese di
settembre 2005, lo ha condannato in relazione ai fatti contestati per i mesi di giugno e luglio
2006.

La Corte non ravvisa in tale ragionamento alcuna contraddizione e alcun vizio logico,
apparendo corretto su piano ermeneutico che il giudice di merito ancori la decisione liberatoria
a circostanze concrete e certe che rendano non utilizzabile il criterio di valutazione ancorato ai
dati contenuti nelle dichiarazioni rese tramite i Mod. “DM10” dallo stesso datore di lavoro.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare

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in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la
somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 10/1/2014

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