Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9174 del 10/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9174 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
VISCITO MICHELA ARCANGELA N. IL 14/11/1966
LUCIANO PAOLA N. IL 05/05/1989
avverso la sentenza n. 411/2013 CORTE APPELLO di SALERNO, del
11/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 10/01/2014

Con sentenza in data 11/4/2013 la Corte di Appello di Salerno ha parzialmente confermato la
sentenza del 9/7/2012 del Tribunale di Nocera Inferiore e ha ridotto la pena inflitta a Michelk
Arcangela VISCITO e Paola LUCIANO in relazione al reato previsto dagli artt.81 cod. pen.,
44, lett.b), 64-71, 65-72 e 93-95 del d.P.R. 6 giugno 2001, n.380, accertato il 15/7/2008.

Osserva la Corte che i motivi di ricorso sono palesemente infondati. Quanto al primo, le
ricorrenti dopo avere richiamato le disposizioni di legge applicabili e i principi interpretativi che
le reggono, omette del tutto di illustrare le ragioni per cui le modifiche apportate sarebbero
compatibili con gli strumenti urbanistici e non inciderebbero sugli elementi edificativi che
richiedono il previo permesso di costruire, essendo in presenza di opere che modificarono la
struttura dell’immobile, richiesero il ricorso a cemento armato e trasformarono radicalmente la
destinazione degli spazi inizialmente prevista. Altrettanto deve dirsi per il secondo motivo di
ricorso, posto che si è in presenza di reati contravvenzionali, punibili a titolo di colpa, e che le
ricorrenti effettuarono gli interventi senza alcuna autorizzazione e comunicazione, neppure
quelle rese necessarie dal ricorso a interventi con cemento armato, a dimostrazione della
totale assenza di legittime relazioni con le amministrazioni competenti. Sul punto, dunque, non
si ravvisano censure proponibili alla sentenza impugnata.
Quanto all’ultimo profilo, quello relativo alla prescrizione dei reati, la Corte di appello afferma
che le opere erano in corso di ultimazione (“stavano realizzando”) e che tale accertamento fu
effettuato sulla base di una segnalazione delle attività, così che non si vede come possa
antedatarsi la commissione e l’esaurirsi delle condotte illecite. Si tratta, peraltro, di valutazione
in fatto demandata ai giudici di merito e preclusa al giudice di legittimità.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per le ricorrenti, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascuna ricorrente
versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascuna ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma iI40/4 /2013.

Avverso tale decisione gli imputati propongono ricorso col quale lamentano: a) errata
applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. e vizio motivazionale ai sensi
dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. in ordine alla illiceità delle modifiche apportate e alla
necessità del permesso di costruire al fine di mutare la destinazione dell’immobile; b) errata
applicazione di legge ai sensi dell’art.606, lett.b) cod.proc.pen. con riferimento alla sussistenza
dell’elemento psicologico del reato e alla ormai maturata prescrizione dei reati.

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