Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9169 del 10/01/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 9169 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MARINI LUIGI

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
RICORDO GENNARO N. IL 18/07/1970
NEGRINI CRISTIANA N. IL 28/03/1968
avverso la sentenza n. 1907/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
09/04/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI MARINI;

Data Udienza: 10/01/2014

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Con sentenza in data 9/4/2013 la Corte di Appello di Ancona ha confermato la sentenza del
23/3/2010 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Pesaro con cui i Sigg. Gennaro
RICORDO e Cristiana NEGRINI sono stati condannati, rispettivamente, alla pena di 2 anni
e 2 mesi di reclusione e 3.000,00 euro di multa e di 2 anni e 8 mesi di reclusione e 4.000,00
euro di multa in relazione al reato previsto dagli artt.110, 81 cod. pen. e 73, comma 3, del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n.309 commesso nei mesi di giugno e luglio 2005.

Ritiene la Corte che alla luce del contenuto dei motivi di ricorso debbano trovare applicazione i
principi interpretativi in tema di limiti del giudizio di legittimità e di definizione dei concetti di
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché in tema di travisamento del
fatto che sono contenuti nelle sentenze delle Sezioni Unite Penali, n.2120, del 23 novembre
1995-23 febbraio 1996, Fachini, rv 203767, e n.47289 del 2003, Petrella, rv 226074. In tale
prospettiva di ordine generale va, dunque, seguita la costante affermazione giurisprudenziale
del principio secondo cui è “preclusa al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto
posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti” (fra tutte: Sezione Sesta Penale, sentenza n.22256 del 26
aprile-23 giugno 2006, Bosco, rv 234148).
L’applicazione di tali principi al caso in esame impone di rilevare che i giudici di appello hanno
esposto con argomentazioni chiare e immuni da vizi logici le ragioni che hanno condotto a
respingere i motivi di appello, così come emerge dalla lettura delle pagine 6 e 7 della
motivazione che contengono la confutazione delle censure proposte avverso la prima sentenza
e che, individuando le fonti di prova e illustrandone la rilevanza per la decisione, non
presentano vizi tali da renderle meritevole di annullamento.
Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
conseguente onere per i ricorrenti, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n.186,
e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare
in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente
versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del
presente giudizio, nonché al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 11/10/2013.

Avverso tale decisione è stato proposto ricorso col quale si lamenta vizio motivazionale ai sensi
dell’art.606, lett.e) cod.proc.pen. con riferimento alla valutazione delle dichiarazioni
accusatorie e al contenuto delle conversazioni intercettate.

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