Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9158 del 02/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9158 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: MENGONI ENRICO

SENTENZA

sui ricorsi proposti da
El Alami Daher, nato in Marocco il 2/9/1987
El Alami Abdelkhaleq, nato in Marocco il 1/1/1972
El Alami Khalid, nato in Marocco il 1/1/1981
El Alami Noureddine, nato in Marocco il 1/1/1979

avverso l’ordinanza del 18/8-14/9/2015 del Tribunale del riesame di
Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Paola Filippi, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 18/8-14/9/2015, il Tribunale del riesame di Firenze
rigettava i ricorsi proposti da Daher El Alami, Abdelkhaleq El Alami, Khalid El
Alami e Noureddine El Alami avverso il provvedimento emesso dal locale Giudice
per le indagini preliminari il 1°/7/2015 e, per l’effetto, confermava a carico degli

Data Udienza: 02/02/2016

stessi la misura cautelare della custodia in carcere; ai soggetti in esame erano
contestati plurimi episodi ex art. 73, d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, per aver
spacciato in numerosissime occasioni sostanza stupefacente del tipo cocaina.
2. Propongono ricorso per cassazione i quattro indagati, a mezzo del proprio
difensore, deducendo – con unico, complesso motivo – l’illogicità della
motivazione in ordine alla utilizzabilità delle video riprese realizzate dalla polizia
giudiziaria. In sintesi, tali immagini – pacificamente asse portante dell’intera
indagine – non sarebbero state depositate dal pubblico ministero all’atto della

G.i.p. o, successivamente, del Tribunale del riesame, che quindi non ne
avrebbero mai presa visione; in tal modo, si sarebbe realizzata una grave e
palese violazione dei diritti della difesa, che – al pari dei Giudici – non sarebbe
stata posta nelle condizioni di visionare questo fondamentale mezzo di ricerca
della prova. Così, pertanto, negandosi fondatezza all’assunto sia della Corte
costituzionale, di cui alla sentenza 10 ottobre 2008, n. 336, sia delle Sezioni
Unite di questa Corte, di cui alla sentenza n. 20300 del 22/4/2010, Lasala;
pronunce che avrebbero riconosciuto il carattere incondizionato del diritto, in
capo al difensore, di prendere visione ed estrarre copia del supporto contenente
le immagini (o le registrazioni audio), che pertanto dovrebbero esser depositate
agli atti dal pubblico ministero a prescindere da una esplicita richiesta in tal
senso da parte del legale, come invece sostenuto dal Tribunale del riesame.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. I ricorsi risultano infondati.
La questione posta al centro del riesame e, poi, dell’odierno giudizio
riguarda la necessità o meno – in capo al pubblico ministero – di depositare, in
uno con la richiesta di applicazione di misure cautelari, anche i supporti
(informatici o analogici) contenenti le intercettazioni audio o le riprese video
poste a fondamento della richiesta, per consentirne l’ascolto o la visione anche al
Giudice e di seguito, se del caso, al Tribunale del riesame; quel che,
pacificamente, non è avvenuto nel caso di specie, nel quale le immagini riprese
nell’abitazione degli El Alami – ritenute decisive per formulare l’imputazione a
loro carico – non sono state mai visionate dal G.i.p. o dal Collegio del riesame
(perché mai depositate dal pubblico ministero), i quali quindi ne hanno avuto
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contezza soltanto per quanto di esse descritte nell’informativa conclusiva redatta
dalla polizia giudiziaria.
Orbene, ritiene il Collegio che a tale quesito occorra fornire risposta nei
termini che seguono, proprio alla luce del (richiamato) contenuto della sentenza

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richiesta della misura cautelare, né sarebbero mai pervenute nel fascicolo del

Corte cost. n. 336 del 2008 e, di lì a poco, della pronuncia emessa dalle Sezioni
Unite di questa Corte il 22/4/2010, n. 20300, ric. Lasala.) da leggere – entrambe
– con riguardo alla specifica e peculiare vicenda in esame.
4. In particolare, con la decisione n. 336, il Giudice delle leggi ha dichiarato
la illegittimità costituzionale dell’art. 268 cod. proc. pen., nella parte in cui non
prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una
misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro
magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate,

depositate. In questa pronuncia – come peraltro ricordato dalle Sezioni Unite
Lasala – la Corte costituzionale ha affermato che «in caso di incidente cautelare,
se il pubblico ministero presenta al giudice per le indagini preliminari richiesta di
misura restrittiva della libertà personale, può depositare, a supporto della
richiesta stessa, solo i brogliaccì e non le registrazioni delle comunicazioni
intercettate»; e che «la trascrizione (anche quella peritale) non costituisce la
prova diretta di una conversazione, ma va considerata solo come un’operazione
rappresentativa in forma grafica del contenuto di prove acquisite mediante la
registrazione fonica». La Corte, quindi, ha rilevato come «l’ascolto diretto delle
conversazioni o comunicazioni intercettate non possa essere surrogato dalle
trascrizioni effettuate, senza contraddittorio, dalla polizia giudiziaria, le quali
possono essere, per esplicito dettato legislativo (art. 268, comma 2, cod. proc.
pen,), anche sommarie», sostenendo che «la possibilità per il pubblico ministero
di depositare solo i brogliacci a supporto di una richiesta di custodia cautelare
dell’indagato, se giustificata dall’esigenza di procedere senza indugio alla
salvaguardia delle finalità che il codice di rito assegna a tale misura, non può
limitare il diritto della difesa di accedere alla prova diretta, allo scopo di
verificare la valenza probatoria degli elementi che hanno indotto il pubblico
ministero a richiedere ed il giudice ad emanare un provvedimento restrittivo
della libertà personale». La sentenza ha, altresì, considerato che, «in caso di
richiesta ed applicazione di misura cautelare personale …, le esigenze di
segretezza per il proseguimento delle indagini e le eventuali ragioni di
riservatezza sono del tutto venute meno in riferimento alle comunicazioni poste
a base del provvedimento restrittivo, il cui contenuto è stato rivelato a seguito
della presentazione da parte del pubblico ministero, a corredo della richiesta,
delle trascrizioni effettuate dalla polizia giudiziaria»: e dunque, «la lesione del
diritto di difesa garantito dall’art. 24, secondo comma, Cost., si presenta nella
sua interezza, giacché la limitazione all’accesso alle registrazioni non è bilanciata
da alcun altro interesse processuale riconosciuto dalla legge». Di seguito, la
sentenza n. 336 del 2008 ha sottolineato che «l’interesse costituzionalmente

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utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non

protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni poste alla base del
provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente tutti i rimedi
previsti dalle norme processuali»; dal che la conclusione per cui «i difensori
devono avere il diritto incondizionato ad accedere, su loro istanza, alle
registrazioni poste a base della richiesta del pubblico ministero e non presentate
a corredo di quest’ultima, in quanto sostituite dalle trascrizioni, anche sommarie,
effettuate dalla polizia giudiziaria». Con la precisazione che «il diritto all’accesso
implica, come naturale conseguenza, quello di ottenere la trasposizione su nastro

5. Orbene, come ben affermato anche nell’ordinanza impugnata, questa
fondamentale pronuncia è stata poi ripresa dal Supremo Collegio di legittimità
con la citata sentenza Lasala del 2010, ancora in tema di intercettazioni
telefoniche; della stessa debbono esser qui ripresi i passaggi fondamentali,
certamente valevoli anche con riguardo alle riprese video, autorizzate nei
medesimi termini di quelle auditive.
In particolare, e rimandando al testo integrale della sentenza,
particolarmente diffusa ed approfondita, il Supremo Collegio ha nell’occasione
precisato che: 1) l’accesso alle registrazioni delle conversazioni captate serve a
rendere effettivo e completo l’esercizio del diritto di difesa della parte, come
chiarito nella suindicata sentenza del Giudice delle leggi, giacché «l’interesse
costituzionalmente protetto della difesa è quello di conoscere le registrazioni
poste alla base del provvedimento eseguito, allo scopo di esperire efficacemente
tutti i rimedi previsti dalle norme processuali»; e «l’interesse in questione può
essere assicurato con la previsione del diritto dei difensori ad accedere alle
registrazioni in possesso del pubblico ministero». L’acquisizione di quei dati,
dunque, è finalizzateli., proprio al controllo della legittimità della misura genetica
emessa nei confronti dell’indagato: e proprio tale scrutinio è demandato al
Giudice del riesame; 2) il diritto alla acquisizione della copia – riconosciuto in
capo al solo difensore – può concernere solo le intercettazioni i cui esiti captativi
siano stati posti a fondamento della richiesta della emissione del provvedimento
cautelare; non altri, né tantomeno diversi esiti captativi che concernono persone
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diverse dall’indagato, e che non rilevano al fine di valutare la posizione indiziarla
di quest’ultimo; 3) tale diritto è esercitabile dopo la notificazione o l’esecuzione
dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, come espressamente
specificato dalla Corte Costituzionale. Essendo esso finalizzato ad «esperire
efficacemente tutti i rimedi previsti dalle norme processuali», non è dato
individuare un termine ad quem nella proposizione dell’atto che quel rimedio
sollecita, in particolare nella proposizione della richiesta di riesame, nel senso,
cioè, che quella istanza debba necessariamente intervenire prima della richiesta

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magnetico delle registrazioni medesime».

di riesame: nessun termine perentorio al riguardo è ravvisabile ai sensi dell’art.
173 cod. proc. pen.; la richiesta di riesame può non enunciare i motivi della sua
proposizione (art. 309, sesto comma, cod. proc. pen.) e può riguardare anche
profili ulteriori e diversi da quello in questione; 4) tale diritto è configurato come
“incondizionato”, rilevandosi che le esigenze di segretezza per il proseguimento
delle indagini e le eventuali ragioni di riservatezza sono del tutto venute meno in
riferimento alle comunicazioni poste a base del provvedimento restrittivo, il cui
contenuto è stato rivelato a seguito della presentazione da parte del pubblico

giudiziaria. E, proprio da tanto, la Corte costituzionale – richiamata dalle Sezioni
Unite – ha tratto la conclusione che la pregressa normativa, che tale accesso in
quella fase e stato del procedimento non assicurava, ledeva il diritto di difesa
costituzionalmente presidiato dall’art. 24, secondo comma, Cost., ed il principio
di parità delle parti nel processo sancito dall’art. 111, secondo comma, della
Carta fondamentale. Con la precisazione che l’inottemperanza a tale obbligo può
comportare responsabilità disciplinari, stante il dovere di osservanza delle norme
processuali richiamato dall’art. 124 cod. proc. pen, e, ove ne sussistano le
condizioni di legge, anche penali; 4) ove il pubblico ministero non ottemperi
tempestivamente alla richiesta di accesso alle registrazioni e di trasposizione su
nastro magnetico delle conversazioni o comunicazioni captate, perché la
circostanza possa rilevare nel procedimento incidentale de libertate la parte ha
l’onere di specifica allegazione e documentazione al riguardo, in quella sede;
5) ove il rilievo sia stato, invece, specificamente e documentalmente proposto al
giudice del riesame, questi può esercitare sul punto poteri officiosi, ovviamente
in tempi utili per l’espletamento delle conseguenti incombenze.
Fino a concludere, quindi, che «ove al difensore sia stato ingiustificatamente
impedito il diritto di accesso alle registrazioni poste a base della richiesta del
pubblico ministero, tanto non determina la nullità del genetico provvedimento
impositivo, legittimamente fondato sugli atti a suo tempo prodotti a sostegno
della sua richiesta dal P.M.; non comporta la inutilizzabilità degli esiti delle
captazioni effettuate, perché questa scaturisce solo nelle ipotesi indicate dall’art.
271, primo comma, cod. proc. pen.; non comporta la perdita di efficacia della
misura, giacché la revoca e la perdita di efficacia della misura cautelare
conseguono solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (artt. 299, 300,
301, 302, 303, 309, decimo comma, cod. proc. pen.).
Determina, invece, un vizio nel procedimento di acquisizione della prova per la
illegittima compressione del diritto di difesa e non inficia l’attività di ricerca della
stessa ed il risultato probatorio, in sé considerati. Esso comporta, quindi, una
nullità di ordine generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 178, lett. c), cod.

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ministero, a corredo della richiesta, delle trascrizioni effettuate dalla polizia

proc. pen., soggetta al regime, alla deducibilità ed alle sanatorie di cui agli artt.
180, 182 e 183 cod. proc. pen.. Ove tale vizio sia stato ritualmente dedotto in
sede di riesame ed il Giudice definitivamente lo ritenga, egli non potrà fondare la
sua decisione sul dato di giudizio scaturente dal contenuto delle intercettazioni
riportato in forma cartacea, in mancanza della denegata possibilità di
riscontrarne la sua effettiva conformità alla traccia fonica. Esso, difatti, è stato,
bensì, legittimamente considerato, nella sua forma cartacea, al momento della
emissione del provvedimento cautelare; ma, dovendo, poi, il tribunale

provvedimento, la difensiva richiesta di accesso depriva quel dato di definitiva
valenza probatoria, nella sua presunzione assoluta di conformità, che rimane non
verificata prima che si dia ingresso e concreta attuazione alla espressa richiesta
della parte in tal senso formulata. In sede di riesame il dato assume tale
connotazione di definitività probatoria solo quando la parte sia stata posta in
condizione di verificare quella conformità, esercitando il richiesto diritto di
accesso. Deve condividersi, perciò, l’approdo cui è pervenuta la sentenza della II
Sez., 18 dicembre 2009, n. 4021/2010, secondo cui “gli atti di intercettazione
sono in sé pienamente validi e potranno essere considerati elementi probatori
non appena le difese avranno la concreta possibilità di prenderne cognizione
diretta e non limitata agli schemi riassuntivi ed alle trascrizioni effettuate dalla
p.g.”. Il giudice del riesame, quindi, in presenza di tale accertata patologia, non
potrà utilizzare quel dato nel procedere alla valutazione della prova: in tal senso
ed a tali fini quel dato, perciò, rimane in quella sede inutilizzabile».
6. Orbene, tutto ciò premesso, ribadito e condiviso, rileva la Corte che il
Tribunale di Firenze – richiamati gli stessi termini ermeneutici della questione ha ben evidenziato che, nel caso di specie, «il difensore non ha richiesto la
trasposizione su supporto informatico delle video riprese (riportate nella
informativa conclusiva, n.d.e.) e pertanto il richiamo alla giurisprudenza sopra
esaminata è assolutamente inconferente»; circostanza pacifica, che i ricorrenti
vorrebbero de ss ad elemento di puro contorno e nient’affatto rilevante,
ma che, per contro, costituisce il cardine della questione che occupa, negli stessi
termini nei quali ha costituito il necessario presupposto di entrambe le pronunce
appena riportate. In particolare, deve affermarsi che in tanto può esser
denunciata – e, se del caso, ravvisata – un’effettiva lesione/compressione del
diritto di difesa (con le citate conseguenze, nel caso di specie, in tema di nullità
ex art. 178, lett. c), cod. proc. pen.), in quanto dello stesso sia stato

illegittimamente ed immotivatamente negato l’esercizio, sia pur sollecitato nei
termini e nei modi consentiti; esercizio, nel caso in esame, invece giammai
avvenuto, poiché mai i ricorrenti hanno chiesto che le riprese video – si

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distrettuale (ri)esaminare la sussistenza delle condizioni legittimanti quel

ribadisce, già descritte nell’informativa – fossero da loro visionate o che fosse
loro consegnata una copia del relativo file.
Dal che, l’infondatezza della doglianza difensiva, già in sede di riesame, in
quanto proposta senza individuare alcuna effettiva lesione patita in ordine al
diritto di difesa, ma fondata apoditticamente, ex se, sul solo mancato deposito,
da parte del pubblico ministero, del file video o supporto simile; quel che – in
assenza di una richiesta di visione o di trasposizione in copia – non assume
invece alcun rilievo nell’ottica denunciata (come peraltro già affermato da questa

Fiorenza, Rv. 263798, a mente della quale, «con specifico riferimento alla
violazione del diritto di difesa, è sufficiente osservare che il Tribunale ha
correttamente evidenziato che era onere della parte, ove interessata, richiedere
presso la cancelleria del pubblico ministero di estrarre copia dei supporti
magnetici contenenti le registrazioni al fine di verificarne la rispondenza rispetto
a quanto riportato nella comunicazione di notizia di reato; cosa che nel caso di
specie non risulta avvenuta. Nessuna lesione del diritto di difesa si è, perciò,
verificata, anche in considerazione del fatto che la mancata corrispondenza tra i
supporti delle intercettazioni e i brogliacci di polizia giudiziaria risulta meramente
ipotizzata»).
I ricorsi, pertanto, debbono essere rigettati, ed i ricorrenti condannati al
pagamento delle spese processuali.
La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia
trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art.
94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma
att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2016

Il Consigliere estensore

Il presidente

1-ter, disp.

Corte in tema di intercettazioni telefoniche, Sez. 3, n. 19198 del 5/2/2015,

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