Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 9157 del 02/02/2016


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 9157 Anno 2016
Presidente: GRILLO RENATO
Relatore: GAI EMANUELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Melillo Giuseppe, nato a Battipaglia il 09/07/1990

avverso l’ordinanza del 23/11/2015 del Tribunale di Salerno

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Paola
Filippi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 23/11/2015 ( dep. 25/11/2015), il Tribunale del riesame di
Salerno rigettava l’appello, ex art. 310 cod.proc.pen., proposto da Giuseppe
Melillo avverso l’ordinanza del Giudice delle indagini del Tribunale di Salerno con
la quale era stata rigettata l’istanza di revoca o sostituzione della misura
cautelare della custodia in carcere applicata il 25/05/2015; Giuseppe Melillo è
accusato – come da provvedimento impugnato – del reato associativo di cui
all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990 n. 390, quale affiliato al gruppo battipagliese
con mansioni di distributore- spacciatore, e due ipotesi di reato di cui all’art. 73

Data Udienza: 02/02/2016

comma 1 d.P.R. 9 ottobre, n. 309 ( capi 11 e 91) per aver distribuito cocaina. La
primigenia ordinanza cautelare era stata confermatk in puntokravi indizi ed
r
esigenze cautelari, dal Tribunale del riesame che aveva mantenuto la custodia
cautelare in carcere assumendo decisività la circostanza che, in presenza di
presunzione cautelare ex art. 275 comma 3 cod.proc.pen., non era dimostrato il
superamento della stessa: situazione che richiedeva – secondo il Tribunale – la
prova di avere trovato lavoro oppure l’essersi trasferito altrove, così da attestare
il recesso dall’associazione. L’ordinanza impugnata, emessa ai sensi dell’art. 310

ribadendo che non è decisiva la circostanza che il Melillo avrebbe lavorato
durante il tempo di commissione dei reati perché, all’evidenza, egli, nonostante il
lavor3 non si era astenuto dalla commissione degli stessi, e conclude che non
può ritenersi superata la presunzione cautelare di adeguatezza della misura
collegata alla appartenenza associativa.
2. Propone ricorso per cassazione Giovanni Melillo, a mezzo del proprio
difensore, deducendo un unico motivo:
– violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione alla
illogicità e carenza di motivazione sulle censure difensive avendo il ricorrente
evidenziato in sede di ricorso in appello avverso l’ordinanza del G.I.P. di rigetto
di revoca o sostituzione della misura, che il Melillo aveva sempre lavorato e
mantenuto la famiglia nel tempo trascorso tra la consumazione dei reati ( 2012)
e il momento dell’arresto, illogicità e carenza che risulta dal testo del
provvedimento che omette di rispondere alla specifica censura avendo fatto
riferimento al tempo di commissione dei reati. Sostiene, altresì, che essendo
cadute le incolpazioni cautelari di cui all’art. 416 bis cod.pen. e l’aggravante di
cui all’art. 7 legge 213/1990, anche la presunzione di pericolosità cautelare è un
riferimento non corretto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile attesa la manifesta infondatezza dei motivi.
4. Va preliminarmente ricordato che costituisce principio consolidato e più volte
affermato dalla Corte di cassazione, quello per cui, in tema di impugnazione delle
misure cautelari personali, il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se
denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità
della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di
diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei

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cod.pen., respinge l’appello proposto avverso l’ordinanza reiettiva del GIP,

fatti ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate
dal Giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, Lupo, Rv. 252178; Sez. 5,
n. 46124 dell’8/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997).
5. Deve rilevarsi, in fatto, che il Tribunale, era chiamato a pronunciarsi ai sensi
dell’art. 310 cod.proc.pen., in relazione al rigetto dell’istanza di
revoca/sostituzione della misura cautelare in carcere disposta al G.I.P. nei
confronti di Giuseppe Melillo, indagato dei reati di cui agli artt. 74 e 73 comma 1
d.P.R. 9 ottobre, n. 309, e dunque per un titolo di reato, l’art. 74 cit., per il quale

adeguatezza della misura della custodia in carcere, superabile in presenza di
elementi che attestino la rescissione di legami con l’organizzazione criminosa o
la radicale dissoluzione dell’organizzazione stessa ( ex multis Sez., 5, n. 24723
del 19/05/2010, Frezza, Rv. 248387), e che il ricorrente deduceva, quale
elemento di rilievo per attestare l’assenza di presunzione sopra indicata, lo
svolgimento di attività lavorativa che il Giudice prima e poi il Tribunale, in sede
!
/
di appello avverso l’ordinanza reiettiva, avevano ritenuto non idoneo a superare
la presunzione de quo in ragione del fatto che l’occupazione del Melillo presso la
omonima ditta individuale era non solo precedente ma anche coeva alla
commissione dei fatti e dunque non ne aveva impedito la sua commissione
sicchè ne è concretamente dimostrata la sua irrilevanza ai fini del mutamento del
comportamento del Melillo e, al contrario, dimostrava la persistenza del pericolo
di recidiva per fronteggiare il quale, in assenza di superamento della presunzione
di cui all’art. 275 cod.proc.pen., doveva essere mantenuta la custodia cautelare
in carcere.
6. Tanto premesso, il Tribunale ha adeguatamente e puntualmente motivato,
anche con il richiamo all’ordinanza del Giudice, l’assenza di elementi che
consentono di superare la presunzione, pur relativa, di permanenza dell’esigenza
cautelare del pericolo di recidiva I ribadendo che lo svolgimento dell’attività
lavorativa non solo precedente ma anche coeva ( e anche successiva) alla
commissione dei fatti non ne aveva impedito la sua commissione,: motivazione
che è perfettamente in linea con i presupposti di fatto dedotti ed appare logica e
pertanto immune da vizio logico sindacabile in questa sede. Il Tribunale,
contrariamente a quanto deduce il ricorrente, nel richiamare anche la
motivazione del GIP, ha puntualmente risposto al motivo del ricorrente con
riferimento all’irrilevanza dello svolgimento dell’attività lavorativa sia rispetto al
momento della commissione dei reati che successivamente. Motivazione alla
quale, peraltro, non sembrano opporsi efficacemente le deduzioni difensive,
invero del tutto generiche e meramente ripetitive di quelle già vagliate dal

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vige, ai sensi dell’art. 275 comma 3 cod.pen., la presunzione relativa di

Tribunale ed esaustivamente valutate. Infine, priva di rilievo, ai fini del
mutamento del quadro cautelare, l’affermazione della piena dedizione alla
famiglia nel periodo in cui sono stati commessi i fatti sicchè non può profilarsi
alcuna omissione motivazionale sul punto da parte del Tribunale.
7. Parimenti, del tutto priva di rilievo è la circostanza che al Melillo non sia stata
applicata la misura cautelare in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis e
all’aggravante di cui all’art. 7 legge 231/1991 essendo sufficiente,
all’applicazione dell’art. 273 comma 3 cod.proc.pen., la contestazione di cui

8. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della
sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella
fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il
ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a
norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende,
equitativamente fissata in euro 1.000,00.
9. La Corte dispone, inoltre, che copia del presente provvedimento sia trasmessa
al direttore dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma Iter, disp. att. cod.proc.pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento di € 1000 in favore della Cassa delle
ammende.
Dispone che copia del presente provvedimento sia trasmessa al direttore
dell’istituto penitenziario competente, a norma dell’art. 94, comma att. cod.
proc. pen..
Così deciso il 02/02/2016

all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.

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